Lo
spettacolo dal vivo in Europa è un settore rilevante, non solo per merito di
grandi e prestigiose istituzioni di solida e annosa tradizione, ma anche grazie
a una galassia di brillanti microrealtà non profit che animano la vita
culturale del continente agendo “dal basso” del loro profondo radicamento
sul territorio e raggiungendo spesso un alto profilo artistico.
Naturali
le ricadute: un ragguardevole numero di operatori coinvolti, quindi
occupazione; richiamo di pubblico, quindi creazione di indotto,
vivacizzazione del richiamo turistico, incremento del mercato locale.
Quali
e quante sono le risorse, non solo economiche, che alimentano una tale fioritura
di iniziative non istituzionali?
Qual
è l’approccio premiante nei confronti di potenziali finanziatori pubblici e
privati?
Quali
forme di collaborazione fra organizzazioni risultano più efficaci per
incrementare l’attività e la stabilità delle strutture stesse?
L’incontro svoltosi a
Bologna il 28 settembre aveva diversi obiettivi: oltre a relazionare sui
risultati – seppur non definitivi - della ricerca NOFRET
(Networking to
Outfit Fund Raising for Employment in the Third sector), promossa dalla DG V
della Commissione Europea, proponeva anche interventi di esperti di fund raising
volti a fornire ragguagli generali sui fondamenti della materia e un momento di
confronto tra ricercatori, esperti e operatori, per scambiare idee ed esperienze
al fine di inquadrare e verificare sul campo le best practices relative
all’attività di fund raising per le organizzazioni non profit dello
spettacolo, con particolare attenzione agli aspetti occupazionali.
Dopo i saluti di rito da parte del comune di Bologna, il responsabile del progetto Pier Giacomo Sola di Scienter ha brevemente introdotto i temi oggetto del progetto NOFRET, cui è seguita l’enunciazione dei primi risultati della ricerca, a cura di Enrico Giovannetti e Tindara Addabbo, ricercatori del Dipartimento di Economia Politica dell’Università di Modena. Come accennato, l’elaborazione è ancora in corso e gli esiti definitivi saranno diffusi, a partire dal prossimo mese di dicembre, in una pubblicazione (cartacea e CD rom) e on line al sito http://www.amitie.it/nofret.
Doveroso a questo punto fornire il punto di vista accademico, affidato alle riflessioni e agli approfondimenti di Massimo Coen Cagli (esperto di fund raising e di formazione per il non profit del gruppo CERFE di Roma) e di Marco Crescenzi dell’ASVI (Associazione Sviluppo Non Profit). Entrambi, a fronte di un primo intervento introduttivo sulla materia effettuato da Coen Cagli nel corso del primo incontro NOFRET del 12 luglio a Santarcangelo di Romagna (cfr. ateatro n. 16 del 27/7/2001) hanno trattato il problema della validità di una cultura manageriale all’interno delle associazioni culturali nel non profit (cfr. Relazione Coen Cagli e Relazione Crescenzi).
Ma
cosa ne pensano i finanziatori? Come vedono le organizzazioni non profit e,
soprattutto, con che criteri ne valutano l’affidabilità e scelgono chi e
quanto finanziare?
Spazio
allo scambio di esperienze, buone prassi e riflessioni nel corso della
tavola rotonda, brillantemente condotta da Massimo
Marino, che ha animato la seconda parte dell’incontro: il giro di tavolo ha
coinvolto i
rappresentanti di alcune organizzazioni teatrali, insieme agli stessi relatori
del convegno e all’assessore alla cultura del comune di Riva del Garda Luigi
Marino.
Roberto Naccari, intervenendo a nome dell’associazione Santarcangelo dei Teatri, manifesta il problema della costante precarietà nella quale vive la sua organizzazione. L’Associazione, di piccole dimensioni, si trova spesso a dover fronteggiare situazioni d’emergenza: basti pensare, a titolo esemplificativo, che lo scorso anno è riuscita a proporre una manifestazione esclusivamente grazie al sostegno di una sponsorizzazione privata. E privati sono solitamente i finanziamenti cui Santarcangelo dei Teatri si affida. In questo contesto si avverte la sensazione palpabile di non possedere una capacità manageriale nella gestione della struttura e delle sue attività; la ricerca di un sostegno economico per i propri progetti, il fund-raising, rimane una prassi confinata al buon senso e alle buone occasioni; non si sviluppano delle strategie mirate al reperimento di fondi e, più in generale, all’organizzazione ed alla gestione dell’Associazione. Questa situazione deriva dal passaggio da una grossa struttura - un consorzio pubblico con un organo gestionale molto vasto, costituito da quindici amministratori nominati dai relativi comuni appartenenti al consorzio – ad una realtà decisamente più piccola, a gestione mista, quale è quella di Santarcangelo dei Teatri: la cornice attuale che delinea il contesto della vita dell’Associazione, presenta un elemento di provvisorietà, che è il risultato, da un lato, della messa in discussione delle modalità operative tradizionali e, dall’altro, della mancanza di una valida alternativa. Il fund-raising, elisir di lunga vita delle piccole realtà culturali, è figlio di una consapevole gestione delle strutture e di una formazione manageriale di chi opera al loro interno; solo appoggiandosi su questi pilastri può costituire una via d’uscita all’opprimente precarietà quotidiana.
Discorso analogo quello di Marco Cavalcoli, rappresentante di Fanny e Alexander e testimone della realtà artistica ravennate. Fanny&Alexander è un’associazione culturale senza scopo di lucro che, come tante altre piccole realtà artistiche, si trova costantemente al limite della sopravvivenza: nata come gruppo di giovanissimi appassionati di teatro, disposti a lavorare nella completa gratuità, è stata sempre costretta a programmare la propria attività dall’oggi al domani, senza avere la certezza di una base solida su cui contare, conditio sine qua non per una progettazione di più ampio respiro. Solo di recente ha superato un ostacolo ritenuto prima quasi insormontabile, ottenendo un finanziamento da una fondazione bancaria, ente privato non direttamente coinvolto nelle attività artistiche eppure fondamentale per il loro svolgimento. Con la consapevolezza di aver sfondato un muro, con la speranza di un futuro meno precario, è possibile soffermarsi su una serie di domande che assillano gli operatori di tutte le piccole associazioni culturali, costretti a confrontarsi quotidianamente con la necessità di un sostegno economico: quanto la ricerca di fondi influenza l’attività artistica? Un artista può invertire l’ordine delle priorità, anteponendo una tale ricerca alla natura del proprio progetto? La risposta, coraggiosa ma forse inevitabile quando si parla di arte, è chiara: anche a costo di passare attraverso dei momenti di crisi, il vero artista non dovrebbe mai cedere alla tentazione di snaturare il proprio progetto in cambio di un sostegno; è ai limiti della contraddizione cercare una base solida per qualcosa in cui non si crede più. In attesa di essere notati è possibile continuare a perseguire i propri obiettivi attraverso, per esempio, l’aiuto reciproco: è stato questo il caso di Fanny&Alexander, che ha costituito assieme ad altre microrealtà di Ravenna una sorta di consorzio di fatto, inesistente sulla carta ma operante in modo determinante sul piano concreto. Per mezzo di una progettualità comune si è sconfitta la concorrenza e si sono realizzate manifestazioni altrimenti costrette a sperare, come sempre, in un eventuale, provvidenziale, finanziamento esterno.
Leonardo Tirabassi, di Fund Raising Italia, afferma che l’universo culturale italiano pullula di enti artistici, operanti nel mondo dello spettacolo, di dimensioni notevolmente ridotte. Questi microcosmi sono spesso caratterizzati da una grave mancanza di professionalità nella gestione di tutto ciò che esula dall’aspetto propriamente artistico della loro attività; nelle piccole associazioni non profit non esiste consulenza sul fund-raising – la ricerca dei mezzi economici atti a sostenere le iniziative di cui si fanno promotrici – né, tantomeno, una particolare attenzione alle tecniche di marketing. Il risultato di questa carenza è un totale sbilanciamento a favore della mission del progetto, ossia una profonda incapacità di conferire un sostegno solido al progetto stesso; in breve, una netta prevalenza della sostanza sulla forma. Se è vero che esistono delle realtà in cui la precarietà si fa sentire come elemento di assoluta gravità – si pensi, per esempio, al problema della sanità degli immigrati – è vero altresì che la questione delle piccole strutture italiane non è da trascurare: assumendo come ottimo punto di partenza il presupposto di avere un buon prodotto, rimane la necessità irrinunciabile di imparare a venderlo. Ecco che bisogna quindi cominciare a considerare l’associazione come parte di un contesto più vasto, con cui deve entrare in comunicazione; ecco che si deve sviluppare la consuetudine di dare una formazione manageriale ed orientata verso l’acquisizione di tecniche di marketing a chi opera all’interno delle strutture; ecco, in definitiva, che ci si deve porre in condizione di saper valutare lo stato organizzativo dell’ente e di poter predisporre delle strategie mirate per la sua tenuta e per la sua solidità a lungo termine.
Sguardo ottimistico quello di Alba Ferrari, che descrive il sistema di rete informale realizzato con tanti altri piccoli enti, che ha permesso alla sua associazione Da Bach a Bartok di espandersi, di proporre un maggior numero di spettacoli e di migliorarne la qualità. L’Associazione, nata a Imola nel 1992, era in origine molto piccola e la sua attività, interamente concentrata sul territorio comunale, consisteva nella presentazione di circa sei concerti all’anno. Ora il suo organico è costituito da quattro operatori fissi, affiancati, nei periodi intensi, da cinque o sei collaboratori; le sue proposte vantano un respiro più ampio, venendo realizzate non solo in varie parti d’Italia, ma anche all’estero. Un’espansione di questo tipo è stata resa possibile essenzialmente da un sistematico lavoro “in rete”: come tanti altri piccoli enti, non in grado di proseguire il proprio cammino rimanendo isolati, anche Da Bach a Bartok ha intessuto una molteplicità di relazioni che le hanno consentito, nel tempo, di crescere. Essa ha quindi cominciato a proporre spettacoli in collaborazione con molte altre strutture, riuscendo così ad eliminare il tragico dilemma che impone la scelta di un costo contenuto a scapito della qualità di una rappresentazione o, viceversa, la proposta di una buona iniziativa a caro prezzo. L’estensione sul territorio, regola guida dell’Associazione, è da interpretare in più modi: da una parte è relazione con una decina di assessorati comunali, partners considerati non diversamente dagli sponsor privati; dall’altra parte è ricerca di un pubblico sempre più vasto e composito, che comprenda persone di tutte le età – in modo particolare i giovani – e che si identifichi sempre meno con una élite. L’attività dell’ente, infatti, consiste interamente nella presentazione di opere di musica classica, oggi più che mai relegata ad un pubblico ristretto, appartenente alla fascia della popolazione over 50. Si comprende quindi perché troviamo l’Associazione non solo nei teatri, ma anche nelle scuole, nelle piazze, nelle aziende. Resta il fatto che il reperimento di fondi per il finanziamento delle proprie attività è un discorso sempre aperto; non c’è certezza; ciò che si è fatto in passato non serve come trampolino di lancio, ma ogni successo è il guadagno di una nuova esperienza.
Luigi
Marino
Georges
Kiss
Conclude Fulvio
Liberatore, dell'Associazione Thomas Consulting Group