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NUOVO TEATRO |
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Casuali frammenti
da una conversazione con Fanny & Alexander
(ovvero Chiara, Luigi e Stefano)a cura di Oliviero Ponte di Pino
(L'incontro ha avuto luogo al Teatro dell'Arte di Milano il 3 novembre 1998, su sollecitazione del Crt)
Copyright Oliviero Ponte di Pino 1998, 1999istruzioni per l'uso di questo testo
Qui di seguito troverete alcuni frammenti di una chiacchierata tra Fanny & Alexander e me (tutti i miei interventi sono stati eliminati, così come molti brani dei miei interlocutori). Nel corso della lettura, sostituite mentalmente le parole scritte in neretto con altri termini a vostra scelta (per esempio sostituite gioco con caso, violenza, free climbing, letteratura, albicocche, nostalgia eccetera; se vi scaricate questo file, grazie alla funzione MODIFICA/SOSTITUISCI potete sostituire le parole fisicamente, non solo mentalmente). Immaginate le conseguenze, per l'evento teatrale che state per vedere e, se avete molta fantasia, per la vostra vita. Si consiglia di ripetere l'esercizio dopo la visione dello spettacolo. (opdp)
Luigi Io e Chiara andavamo nella stessa scuola, al liceo classico. Ci siamo conosciuti a sedici anni e a diciassette abbiamo fatto il primo spettacolo insieme, Hevel-Morte transizione. Poi abbiamo solo continuato il gioco che era nato lì. Ci vedevamo tutti giorni, provavamo...
Chiara Era sicuramente il gioco che ci divertiva di più. Il fatto che fosse un gioco per noi era fondamentale. Il teatro era il luogo in cui riuscivamo - davvero in maniera totale - a mettere in atto un po' tutti i nostri divertimenti fusi insieme. Il gioco dello spettacolo è il miglior gioco proprio perché è rigoroso e ti dà regole tremende. Ma, in qualche modo, sono proprio queste regole che ti esaltano di più.
Luigi Ci affascinava soprattutto il rapporto che si instaurava con le altre persone. Era molto divertente fare questo.
Chiara Noi diciamo sempre che in teoria ci potrebbe interessare tutto, perché l'elemento fondamentale è il rapporto con le persone in cui si costruisce qualsiasi cosa.
Luigi Si parte sempre da legami stretti, di amicizia e non solo.
Stefano Per me, al contrario, è stato abbastanza netto lo stupore nel momento in cui mi sono trovato a fare teatro. È successo assolutamente per caso, perché fino a quel momento mi ero mosso nell'ambito delle arti figurative. Da un giorno all'altro mi sono ritrovato a lavorare come attore con la Socìetas Raffaello Sanzio, come attore in Gilgamesh. È stata un'esperienza stupenda che sicuramente mi ha insegnato molto. Così come è stato importante il lavoro con Ravenna Teatro e in particolare con Ermanna Montanari.
Stefano La disciplina nell'ambito della quale mi muovevo — la scultura — poneva una limitazione a causa della solidità della materia lavorata. Il teatro mi ha portato a una visione dell'arte che attraversa tutte le discipline, che non si relega in un unico tipo di espressione — cosa che secondo me è la tara delle arti figurative in genere.
Stefano Prima di lavorare con la Raffaello, ero attratto da quasi tutte le manifestazioni artistiche tranne il teatro. L'esperienza che mi ha forse segnato in maniera indelebile fu L'Inferno letto da Carmelo Bene a Ravenna, quando avevo dodici anni. Ero appassionato di musica e arti figurative. Di fronte a quello spettacolo mi dissi: "Se questo è il teatro... teatro d'avanguardia, oltretutto...". Probabilmente ero talmente piccolo, e poi ero molto stanco, avevo lavorato tutto il giorno nei campi con i miei genitori...
Stefano Per me l'esperienza dello spettatore è ancora molto strana perché non ho memoria di una visione esterna. Posso dire di aver cominciato veramente a vedere spettacoli teatrali la prima volta che mi sono tirato fuori dalla scena.
Stefano In Fanny & Alexander esistono delle specificità che si stanno affinando e probabilmente ci porteranno a cambiare il nostro metodo di lavoro. Attualmente ne abbiamo individuate sicuramente tre. La prima è legata al testo e quindi al livello drammaturgico (Chiara). La seconda riguarda invece il ritmo del lavoro, l'aspetto musicale e il disegno delle luci (Luigi). L'ultimo aspetto è quello più scenografico (io). Proprio per la mia impostazione culturale e la sensibilità nei confronti della materia e dell'estetica, tendo a curare principalmente questo aspetto, ma non per questo la questione non viene affrontata in maniera paritetica con gli altri componenti del gruppo: se ne parla tutti insieme e poi io porto avanti e approfondisco questo discorso. Questo allo stato attuale, poi probabilmente evolverà in un altro modo.
Luigi Le storie personali e di vita entrano nelle dinamiche di gruppo. A un certo punto io e Chiara abbiamo proposto a Stefano di lavorare insieme a un progetto, in cui la ricerca vocale e sonora sul Cantico dei Cantici si univaa al lavoro che lui faceva sulla scultura, in particolare le traversine scolpite su cui lavorava all'epoca. Da quell'incontro è nato Con mano devota, in cui le sculture di Stefano erano il fulcro di tutti gli ex voto accumulati in ogni stanza di un museo d'arte devozionale.
Luigi Gli ex voto sono rappresentazioni che rimandano alla tragedia che è avvenuta. Noi abbiamo immaginato che fossero avvenuti alcuni eventi che venivano contestualizzati in questo museo tramite fogli illustrativi o cartelli. Così si poteva seguire il filo che collegava i vari ex-voto di questo ipotetico e immaginario museo d'arte devozionale. Le sculture di Stefano diventavano il monumento funebre, il feticcio dell'incidente. Poi c'era una colonna sonora live, le nostre voci erano come le voci dei bambini che guardano la zona del disastro da sopra: che è lì, ai loro piedi, ed è composta dal museo stesso.
Luigi Gli spettatori di Con mano devota avevano lo stesso ruolo dei visitatori dei musei. Come in tutti i nostri lavori, c'era una totale corrispondenza di spazio-tempo, un'unità spazio-temporale. Perché comunque tutto quello che avveniva aveva senso proprio in quel momento lì, e solo in quel momento lì. Lo spettatore poteva andarsene o restare quanto voleva.
Chiara La religiosità non è vissuta come qualcosa di incombente. In un gioco di un certo tipo, al fondo di ogni gioco serio, c'è qualcosa di terribile. Tutti i giochi hanno qualcosa di estremamente pericoloso, non solo perché se infrangi le regole ti trovi ingarbugliato e quindi esiste un pericolo "mortale". Ma anche perché nel perseguire la coerenza del gioco, nella disciplina del gioco, c'è quel senso della direttiva che porta al vero divertimento. Se fallisci questo obiettivo, distruggi tutto.
Luigi C'è una cosa che ci ha accomunato subito: fare del gioco la propria religione. Poi il discorso religioso può essere decontestualizzato, cioè utilizzato come struttura e come codice.
Luigi In questo gioco abbiamo la necessità di trovarci ogni volta una casa, un po' come la casa delle bambole. Un contenitore. All'inizio è stata anche una questione logistica: non lavoravamo in teatro, e avevamo automaticamente una visione a 360 gradi. Il nostro prossimo lavoro, invece, sarà sul palco di un teatro all'italiana, e sfrutterà tutte le sue regole: anche in teatro, ci sarà sempre il realismo del luogo; come dicevo prima, per noi è importante l'unità spazio-temporale, il luogo in cui andiamo è quello in cui in quel momento accade quella cosa, non rimanda a un tempo narrativo differente, è lì! Allora lo spettatore-visitatore va in quel luogo, paga il biglietto, paga per andare a vedere quella cosa che ha senso in quello spazio.
Luigi Stiamo preparando una conferenza che faremo sul palco di un teatro. Il tema sarà la "turchinità della fata".
Chiara Questo lavoro nasce da una richiesta che ci è stata fatta. Ci hanno chiesto una conferenza sul tema della fata secondo Fanny & Alexander. Sarà una conferenza drammatizzata o drammatica, il testo avrà una struttura che potrei definire narrativa, forse non nel senso in cui s'intende comunemente questa parola, però ci sarà un pretesto narrativo in cui tutto si inserisce.
Luigi La fiaba di Ponti in core è solo uno degli aspetti, quello che accade non è scandito da quel racconto. La vera narrazione è che la casa di Dorotea e Cipresso è stata aperta al pubblico, il fatto che Dorotea e Cipresso sono lì per i turisti-visitatori. Poi ci sono rimandi continui alla fiaba, cioè le informazioni che vengono date ai turisti-visitatori. Ma non è quella la narrazione che scandisce il tempo.
Chiara Nel prossimo lavoro stiamo tentando di creare tanti riverberi di specchi. Ci sarà un filo pretestuosamente narrativo che rimanda a un altro filo che è fortemente illusorio e riflette l'illusione immaginaria di quella narrazione; ci sarà anche un altro filo, totalmente astratto.
Luigi Per cui quello narrativo è solo uno dei possibili aspetti dello spettacolo, che può essere usato anche solo come ritmo, come musica. Così come possiamo usare la luce o una parola per ottenere diversi effetti.
Stefano Lo spazio dev'essere consono all'ambientazione richiesta dalla drammatizzazione del lavoro. Deve essere possibilmente totalizzante: per noi, per aiutarci a entrare pienamente in questo tipo di condizione; ma deve anche essere straniante per il pubblico, deve fargli dimenticare da dove viene.
Luigi Generalmente la prima cosa che emerge nel nostro processo di lavoro è proprio il luogo, cioè il modo di percepire e vedere. Per il prossimo lavoro la prima idea, la base di tutto è stato il modo di percepire: come sarà visto questo lavoro.
Stefano Vengo da un rapporto preferenziale con il ferro e il legno, materiali abbastanza poveri e primari, quelli che preferisco. Poi nell'evolvere del lavoro abbiamo fatto uso un po' di tutto, ma sempre di materiali che non sono frutto di elaborazioni tecnologiche particolari.
Chiara Nello spettacolo potrei avere a che fare con un oggetto o un materiale che, se lo vedessi singolarmente, magari mi potrebbe fare repulsione, o comunque potrebbe essere lontanissimo dal mio gusto. Ma lo utilizzerei ugualmente, perché in quel momento il gioco può funzionare solo in relazione a quel tipo di materiale, magari anche un materiale "plasticoso", un oggetto di cui non direi mai "quello è il mio materiale del cuore".
Luigi Con mano devota ha segnato l'incontro con gli insetti. È stato fondamentale. Abbiamo fatto delle teche in vetro con vari tipi di insetti che per noi erano contestualizzati negli ex-voto ad evocare una putredine immaginaria, nel complesso scultoreo che evocava la bambina di Grottarossa di ceronettiana memoria.
Luigi In greco enthomos significa "ciò che è spezzato". È il Cristo degli insetti, il "secato". Quindi l'insetto mi piaceva quasi a livello politico. È il più forte degli animali, il più potente. Nella sua anatomia, in quel corpo composto da più pezzi che in apparenza può sembrare una debolezza, sta invece la sua forza. Prima gli insetti li odiavo, il mio è stato proprio un interesse estetico. Poi abbiamo scoperto questo preziosissimo tuttofare sardo-bolognese, assistente di Giorgio Celli, che abita vicino a Bologna, a Muffa, e alleva insetti per la lotta biologica. Ha anche altri animali...
Chiara In Ponti in core l'uso degli insetti sta tra la putrefazione e il gioiello, mentre in Con mano devota era solo funereo.
Luigi Il discorso riferito all'anatomia o alla putrefazione è nato a livello di riflessione, leggendo Ceronetti. Ci piaceva l'espressione "CAsa DA VERmE", cioè il cadavere come casa del verme, come luogo di grande fertilità. Di qui siamo partiti per Ponti in core: fare del teatro il luogo della dissezione più fertile. Il teatrino che abbiamo costruito ci obbliga a un'anatomia feroce, perché abbiamo una visione a 360 gradi, che però produce un liquore per noi favoloso: cioè Ponti in core, lo spettacolo stesso, che magari per qualcuno ha un tanfo insopportabile.
Chiara In Ponti in core, anche se non lo utilizziamo in maniera esplicita, è certamente presente come ispirazione Guido Ceronetti. Poi Lewis Carrol su cui stiamo lavorando da sempre, il nostro sogno è fare Alice, che in realtà sta in tutti i nostri lavori. Poi ancora Piero Camporesi, sempre per il discorso dei liquidi organici, e Marina Cvetaeva. E anche alcune leggende: Dorotea e Cipresso, i due protagonisti di Ponti in core, sono personaggi totalmente inventati, però alcune delle vicende che li coinvolgono sono rielaborazioni di cronache e leggende.
Chiara Nella grammatica e nella lingua usiamo un certo tipo di decostruzione sintattica e stilistica tale da trasformare l'apparente latrocinio in reale amore filologico.
Chiara La lingua che usiamo deve sempre essere molto caratterizzata, a seconda delle direzioni che ci diamo. C'è uno stile, che però non è cristallizzato, uguale per tutti gli spettacoli. Ogni volta ha una sua specificità.
Luigi È un momento in cui stiamo andando a chiudere tutte le nostre attività extrateatrali per occuparci soltanto di Fanny & Alexander. Personalmente non faccio più nulla fuori dal gruppo, se non occasionalmente come i Peep-show a Berlino o la perfomance nella teca con le cavallette e le mosche che ho fatto di recente nell'ingresso della Stazione Centrale di Milano. Stiamo andando nella direzione di una concentrazione sempre più assoluta sulla macchina Fanny & Alexander. Adesso siamo in cinque, con Marco Cavalcoli, che ha fatto con Fanny & Alexander e il Teatrino Clandestino la Sinfonia Majakovskiana, e aveva lavorato con il Teatrino Clandestino in Mondo (Mondo). Con noi ha già lavorato in La felicità di tutti e sarà anche nella Turchinità. Con noi lavora anche una ragazza, Simona, che si occuperà dell'organizzazione, perché noi piano piano vogliamo allegerirci in parte da questo compito totalizzante e concentrarci sempre più sull'aspetto artistico.
Stefano Lavorare scenograficamente in relazione ad attori richiede sicuramente un approccio diverso da quello che avevo con il legno e con le traversine, un materiale grezzo, quasi primario e di provenienza industriale. Lavorare con Fanny & Alexander mi ha indotto a ingentilire le forme, ad addolcirle di più, ad avvicinarmi al mondo dell'infanzia e della fanciullezza, che a me non appartiene più ma che a Luigi e a Chiara appartiene ancora.
Luigi Io spero che l'infanzia ci apparterrà per sempre.
Chiara L'infanzia è uno dei luoghi mitologici dell'immaginazione: anche quando uno è vecchio o adulto
Stefano L'approccio con la scultura è di carattere estetico ma anche molto artigianale, se vogliamo. L'aspetto pittorico, dovendo lavorare nell'ambito di un'illusione, ti aiuta di più a sviluppare una concezione scenica dell'uso dello spazio, dell'equilibrio tra le forme; probabilmente la pittura mi è utile per questo aspetto.
Stefano Le mie sculture e i miei dipinti stanno coincidendo sempre più con le scenografie di Fanny & Alexander. È un fatto di dedizione, energie e forze: anch'io ho cominciato ad abbandonare tutte le attività collaterali, devo concentrare tutta l'attenzione perché l'opera scultorea o pittorica non sia fine a se stessa ma vada nella direzione del lavoro.
Chiara Le reazioni degli spettatori di Ponti in core sono molto variegate e ciò non riguarda solamente il giudizio ("Mi è piaciuto", "Non mi è piaciuto"), ma anche certe caratteristiche ancora più rilevanti: per esempio, ripugnante o non ripugnante. Lo spettacolo è vissuto in modo totalmente diverso: dipende dalla soggettività, da idiosincrasie, da fastidi fisici. Noi mettiamo come indicazione un'attenzione particolare per i claustrofobici. L'ambiente è veramente piccolo e a un certo punto viene chiuso, per cui ci possono essere dei problemi. Abbiamo avuto delle reazioni fisicamente forti, che ci hanno addolorato tantissimo. Ci sono persone che hanno visto l'intero spettacolo in una condizione di forte disagio. Non è certo questo il nostro obiettivo, e tutte le volte che è successo anche noi non siamo riusciti a trovare il divertimento.
Luigi Quando sono anche attore, sono veramente il primo spettatore, il primo fruitore godereccio del lavoro.
Luigi Probabilmente vogliamo creare uno stupore, un crescendo di stupore.
Chiara Nello spettacolo confluisce tutto quello che anche casualmente in quel momento si sta vedendo, facendo, studiando...
Stefano Tutto è preso e poi portato lì, in questo luogo. Tutto viene convogliato e contaminato, comunque sempre in quella direzione, portato lì, e quindi anche assorbito.
Luigi Ho anche un problema di sdoppiamento, di mancato controllo di me stesso rispetto alla visione completa del lavoro. Se invece del pubblico avessi davanti a me uno specchio, potrei autoregolarmi completamente. In quel momento potrei liberarmi e trovare il massimo dell'intensità. Quando non ho questo controllo, soprattutto nelle repliche, a volte diventa più difficoltoso.
Luigi Io non sono soddisfatto del Teatro in genere quando siamo in scena, perché poi alla fine mi annoio, oppure finisco per star male, perché sono lì a pensare sempre a troppe cose. Dunque ho deciso di concentrarmi sul ritmo dei lavori in maniera più tecnica e precisa. È il discorso che mi è più vicino. La musicalità per me viene prima ancora della visione.
Chiara Per me stare in scena è tutt'uno con il pensiero sulle cose. Mi diverto in modo grandissimo.
Chiara Abbiamo appena iniziato quindi penso che soddisfatti non lo saremo mai.
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