Tommaso Tozzi (1960)
è stato tra i primi artisti italiani a utilizzare i nuovi media nel
proprio lavoro, non tanto per costruire installazioni o oggetti, quanto
per sfruttare la caratteristica distintiva dei media, ovvero la loro
capacità comunicativa. Prima di approdare a Internet, Tozzi ha realizzato
spazi di discussione e incontro con riviste via fax, fanzine da attaccare
ai muri, banche dati in BBS. È tra gli animatori di "la Stanza Rossa",
la prima rivista italiana dedicata ai nuovi media e agli sviluppi
artistici della tecnologia.
Ha realizzato numerose mostre, personali e collettive, tra le quali
ricordiamo almeno Anni 90; Medialismo; Forme di relazione;
Soggetto Soggetto.
In questo testo - presentato all’Università di Scienze Politiche di
Firenze, nel seminario Dal virtuale al reale - Tozzi si interroga
su come avvicinare la rete alla comunicazione reale, liberando Internet
dalla rigidità della macchina e dei codici, a vantaggio di uno scambio
aperto e in costante movimento.
Tommaso Tozzi (1960)
is probably the first Italian artist who works only on new media and
the net. Rather than building installations or objects, the artist
exploits new media as instruments of communication, creating spaces
for discussion and meeting places. Before getting wired, Tozzi had
developed a magazine transmitted by fax, artzine only readable through
BBS and an art magazine that used to be posted on walls. In this article
Tozzi explores the relationships between real life communication and
identity on the net: even though we are used to think of Internet
as a free place where identity can change and develop really easily,
we have to face up to the fact that so far in real life we still have
a much wider spectrum of communicational behaviours.
© Tommaso Tozzi
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La produzione
di senso nasce dalla mescolanza di codici.
L’uso deviato del codice produce nuovi sensi e nuove forme di comunicazione.
La vita quotidiana è permeata di atti intenzionali (oltre
che non intenzionali) che applicano codici di un determinato
campo semantico a un altro campo semantico.
L’uso arbitrario e ambiguo dei codici è la norma nella
quotidianità e nell’uso della lingua.
A esso corrisponde l’ambiguità dei ruoli, che è presente non
solo nei suoi aspetti più evidenti (seduzione, pubblicità, politica...)
ma anche negli aspetti più banali dell’uso quotidiano della lingua
(intesa come somma di linguaggi: verbale, cinesico, prossemico...).
L’identità di un individuo si forma su un’indeterminabile capacità
d’uso dei molteplici codici della lingua.
Il riconoscimento dell’identità di un individuo non si basa su un
unico caso o evento isolato nella vita di un individuo, ma è il riconoscimento
di un’identità sociale nel senso di identità molteplice
e di volta in volta mutuata e trasformata nelle relazioni
che l’individuo sostiene socialmente.
L’identità non si risolve in un magazzino individuale di cui si può
fare l’inventario, bensì è un processo in cui ogni qualità individuale
è strettamente connessa e coevolve con le trasformazioni sociali.
L’identità dipende dunque dalla vita sociale dell’individuo, non nel
senso che è un corpus determinato che si confronta (o si oppone)
con il sociale, quanto nel fatto che l’identità si forma nella
socialità ed è dunque socialità essa stessa.
L’identità è dunque di volta in volta un’astrazione di un’occorrenza
della socialità: partecipazione ambigua e deviata al processo
evolutivo dell’immaginario sociale.
In tale condizione di correlazione e inscindibilità dal divenire
sociale, l’imposizione e il congelamento di un’identità in
rete costringerebbe la rete a diventare puro codice immutabile.
La comunicazione in rete diverrebbe puro esercizio di stile,
mentre si perderebbero gli aspetti estetici della vita.
Se dunque un’identità fissa può essere utile all’interno della convenzione
e di un uso convenzionale della comunicazione, allo stesso tempo diventa
limite e costrizione all’interno della comunicazione sociale quotidiana.
È la macchina (con i suoi codici) che devono essere usati dall’uomo
o divenirne parte, non l’uomo (e la sua indeterminatezza) ad essere
usato e divenire parte della macchina.
Le reti
telematiche sono il frutto di un adattamento dell’uomo alla sconfitta
verso la propria pretesa di:
- trasformare il proprio corpo
- trasformare e controllare il proprio ambiente
- trasferire il proprio corpo
- scindere la mente dal corpo per darne una rappresentazione
materiale
Le reti
sono il risultato del compromesso reso necessario dalla sconfitta.
Un compromesso che produce comunque buoni frutti:
- la costruzione di un ambiente indipendente da quello naturale
sebbene destinato a trasformarsi nel tempo in luogo naturale di comunicazione.
- la costruzione e trasmissione di comportamenti/corpi, messaggi/pensieri
che entrano in comunicazione tra loro, producono accordi, stipulano
patti (comportamentali, linguistici, normativi) tra gruppi sociali.
Le reti
non sono un mondo virtuale ma un sistema organico in
grado di creare un ambiente virtuale, un contesto, entro cui sviluppare
una forma della propria vita che non è resa possibile nel mondo
naturale.
Sono, forse, un passo avanti nella comprensione della sempre minore
distanza che separa i sistemi meccanici da quelli naturali e della
corrispondenza tra artefatti e natura.
Se dunque si vuole permettere la costruzione di senso e l’evoluzione
di esso, se si vuole che la comunicazione non sia solo una forma di
scrittura, ma sia contemporaneamente una forma di oralità,
allora l’identità deve essere interpretabile, non decodificabile.
La sua deformazione nell’atto informazionale e comunicativo
è il punto di partenza per la costruzione di comunità sociali spontanee,
non preprogrammate e contigue all’evolversi della complessità
evolutiva del reale.
Nella vita quotidiana l’emergere di un codice che determina un uso
è temporalmente preceduto da uno stato di indeterminazione
e provoca e autorizza uno stato presente di altra indeterminazione.
Tagliare ed escludere tali stati di indeterminatezza può far funzionare
una macchina, ma non può far funzionare l’uomo e tantomeno l’uomo
può riconoscersi e identificarsi in tale meccanismo.
Normalmente,
quando voglio verificare se la rete dà le stesse possibilità della
vita reale provo a fare un collegamento punto a punto tra le proprietà
della rete rispetto a una determinata funzione e quelle del reale
rispetto alla medesima funzione.
Il fare questo per l’identità tenderebbe a giustificare - come viene
fatto in molte discussioni sull’argomento - l’esigenza di una firma
riconoscibile, come avviene nel reale, in cui ognuno di noi è riconoscibile
attraverso un nome e un cognome.
Ma ciò
che accade nel reale è diverso per tre punti essenziali:
1) Durante
la vita quotidiana non giriamo con un cartellino attaccato sul petto
con nome e cognome. Questo, a differenza delle reti, ci permette di
fare tutta una serie di azioni private in modo anonimo,
quali: camminare per strada, comprare un libro, partecipare a una
manifestazione, alzare la mano durante una votazione in assemblea
pubblica ecc.
A questo tipo di constatazione si obietta che la persona ha però per
legge un documento che lo deve rendere riconoscibile in caso di reato.
Nascerebbe in questo caso un conflitto tra i diritti del cittadino
e la prevenzione del crimine.
Inoltre ciò non esclude un primo livello minimo che normalmente
non viene reso possibile, ed è quello di un’identificazione nell’accesso
in rete e un successivo uso della medesima tramite pseudonimo.
Questa procedura, che normalmente non viene adottata in Internet,
non è comunque sufficiente.
2) Per
comprenderne il motivo vi è una seconda considerazione che va fatta,
quella per cui l’identificazione in accesso costruisce automaticamente
un doppio dell’identità dell’individuo raccolto su file.
Tutte le azioni realizzate durante l’uso della rete, che se coperte
da pseudonimo possono essere riconoscibili pubblicamente come anonime,
ridiventano però identificabili in quel doppio dell’identità
individuale che documenta su un file di testo ogni atto in rete dell’individuo,
abbinandolo non allo pseudonimo, ma al nome reale identificato durante
l’accesso.
Nasce quindi un problema sulla proprietà di questi dati.
Il problema nasce dal fatto che non vi è controllo sicuro (oltre la
legge) dell’uso di tali dati.
Un abuso di tali dati può dare luogo a:
a) conoscenza di aspetti profondi e privati della psicologia
di un individuo, che potrebbero non voler essere resi pubblici.
b) uso politico dei dati relativi all’individuo.
c) uso commerciale dei dati relativi all’individuo.
d) manipolazione dell’immagine privata di un individuo.
Tale ultimo aspetto ci conduce al terzo e ultimo punto della questione,
quello che più specificatamente dimostra le differenze tra il mondo
vissuto nelle reti e il mondo naturale.
3) Mentre
la comunicazione reale implica la presenza materica del corpo
dell’individuo (o delle tracce che tale materia lascia: fonetiche,
visive, calligrafiche...) il soggetto della comunicazione in rete
non ha un suo referente materiale nell’atto semiotico,
ma è pura sostanza.
In rete il corpo, l’identità fisica e materiale, o riferimento dell’individuo,
è sostituita dal suo nome.
Se questo per molti versi è indice di una spaventosa perdita nel piano
comunicativo, ciò non toglie che, per altre ragioni e in altri modi,
questo corpo simulacrale dato dal nome consente delle articolazioni
semiotiche e delle libertà di non poco conto.
Permette di costruirsi un corpo narrativo in cui le forme stereotipate
dell’immaginario sono reinterpretate e diventano carne linguistica
attraverso pratiche di un loro uso deviato. Sostituiscono quelle parti
della lingua che sono prioritariamente collegate al corpo fisico.
Ogni connotazione possibile di un nome multiplo sostituisce
un modello di comportamento sociale. Un atteggiamento e una
movenza femminile sono sostituite da un nome di donna, o viceversa
per l’uomo.
Un abbigliamento sportivo può essere sostituito dal nome di un famoso
atleta ecc.
Le infinite capacità espressive del corpo (dei suoi gesti,
del suo abbigliamento, del suo calore, della sua tattilità ecc.) sono
sostituite (in perdita) dal nome multiplo, consentendo allo stesso
tempo nuove potenzialità reintepretative attraverso la narrazione.
Se dunque già il reale è impoverito dall’uso stereotipato di comportamenti
e ruoli, se già il reale si concede all’alienazione stereotipata,
la rete accentua la narrazione.
Ma in molti casi è la comunicazione stessa, l’uso del linguaggio verbale,
a trasformarsi per compensare tale perdita (accentuando alcune modalità
enfatiche o retoriche, oppure producendo artifici ortografici e narrativi
che arricchiscono o rendono ambigua l’interpretazione del messaggio,
aprendone in tal modo l’intreccio di sensi possibili) mentre il nome
multiplo resta un appiglio utile a cogliere molti degli aspetti profondi
e simbolici nel carattere di una persona.
Nell’immaginario
sociale gli stereotipi sono artefatti del comportamento
che se sovrapposti in modo prevaricante alla vita degli individui
possono produrre alienazione (come avviene nella pubblicità
o attraverso l’uso persuasivo dei media), ma esiste una soglia
per cui lo stereotipo, attraverso l’estrema ripetizione o la riappropriazione
in un uso liberato, può essere gestito in prima persona e da
artefatto trasformarsi ed evolvere in una nuova forma naturale
in grado di produrre nuovo senso o di reinterpretare in modo nuovo
forme archetipiche e simboliche profonde.
Il nome multiplo in rete - quando ne sia reso possibile un uso libero,
e quando sia affiancato e contestualizzato all’interno di processi
e rapporti comunitari in cui la narrazione e la costruzione
di storie vada oltre un uso funzionale della rete -
rende possibile e partecipa a delle pratiche, le cui caratteristiche
sono un corpus unico non scindibile che produce nuove forme possibili
dell’identità.
All’interno di questo corpus correlato, il nome multiplo partecipa
contestualizzando i comportamenti e dunque l’identità.
Molti comportamenti individuali diventerebbero ambigui se astratti
dalla situazione contestuale in cui si svolgono e osservati da un
solo punto di vista.
Se al contrario a ogni comportamento corrisponde un nuovo contesto,
la comunicazione e con essa la disambiguazione di un’identità può
essere sostenuta socialmente anche nella mutuazione dei codici e dunque
nella produzione di sensi e immaginari collettivi sempre differenti.
Al contrario i doppi dell’identità individuale registrati su
file sono in ogni caso (che siano abbinati a uno pseudonimo
o al nome vero) una menzogna.
Sono informazione pura e in quanto tale falsi.
Sono indice di una trasformazione che nel far diventare la vita di
un individuo un segno ne codifica gli aspetti convenzionali
perdendone altresì il reale riferimento.
Se questo può essere un meccanismo utile per certe parti della
vita funzionali ad aspetti e questioni meccaniche della
stessa, non deve nel suo svolgimento oltrepassare i propri confini
o lasciare tracce di sé usabili in altri contesti della vita
sociale.
Dunque l’anonimato e quindi l’uso dello pseudonimo nell’accesso,
oltre a essere una necessità espressiva della comunicazione, devono
essere, in ogni momento e luogo della vita, una protezione
disponibile, che implichi la difesa della privacy.
La complessità
con cui i sistemi economici e mediali stanno confluendo in Internet
e nelle reti amatoriali rende di fatto le reti sempre più vicine a
un sistema virtuale vivibile in senso naturale.
Navigare in rete è sempre più simile al camminare per strada: si incrociano
negozi, si fanno acquisti, si leggono libri, si fanno incontri per
strada, si chiacchiera, si tentano approcci o li si negano.
Ma soprattutto si usa un linguaggio della comunicazione che è proprio
del linguaggio del quotidiano anziché di quello lavorativo.
Nella navigazione emergono sempre più le tracce della propria
emotività, delle passioni, dei dubbi e delle
perplessità. E se nella vita reale è possibile mantenere privata
la memoria delle proprie esperienze intime del quotidiano, nelle reti
accade che l’essere telematico è un essere duplicabile
e quasi sempre già duplicato. Il sistema (individuo) che naviga
è determinabile (e dunque duplicabile) con la certezza propria
del sistema digitale. Il sé delle reti è un sé separato
dall’individuo che lo produce. La separazione avviene nella differenza
tra un sistema non lineare, indeterminato e complesso
(l’individuo reale) e un sistema determinabile quale diventa
il sé digitale in rete.
Ogni traccia delle proprie scelte o indecisioni realizzate
nel sistema virtuale non è più patrimonio dell’individuo, ma del metaorganismo
rete.
La memoria individuale privata - quella che nella vita reale dà luogo
a eventi di rimozione e mutazione, che la psicologia da Freud
in poi ha tanto approfonditamente studiato - diventa un archivio determinabile
in cui la necessità del ricordo negato (o nascosto),
o meglio la propria diversità (o in termini psicologici alterità)
non può essere nascosta ma si dà in modo immutabile al sociale.
L’essere delle reti rischia di non poter essere un essere in divenire,
e rimanere un essere separato immutabile che potrebbe avere
un feedback nella vita reale dagli effetti devastanti.
L’organismo digitale si separerebbe dall’organismo analogico
(l’individuo reale) mostrando dell’individuo reale solo una piccola
parte, un determinato istante a cui viene negata la possibilità di
evolvere nel tempo.
L’identità digitale, se separata in un file di testo, archiviata e
non lasciata vivere ed evolvere nel continuum di scambi comunicativi
telematici, rischia di diventare una fredda riproduzione a cui è stata
sottratta la quarta dimensione, quella del tempo, del movimento
e del divenire. Lo stesso rischio denunciato dalla pittura cubista
si avrebbe nell’archiviazione digitale.
L’essere digitale potrebbe essere il riflesso di un sé negato. Un
attimo del proprio quotidiano che ci è dato rimuovere nella vita reale
privata e che invece diverrebbe patrimonio collettivo e pubblico nella
vita virtuale.
In definitiva non sarebbe possibile difendere le "necessità" del diritto
alla privacy individuale.
Non solo, ma la qualità digitale dell’essere separato aprirebbe a
chiunque la possibilità di una sua manipolazione senza che di ciò
ne resti traccia.
Ogni profilo dell’essere digitale dato dai login (il
nome tecnico dei file di testo che mantengono traccia di ogni evento
nelle reti telematiche, abbinando ogni azione dell’utente al suo identificativo)
potrebbe non solo essere usato per scopi statistici di controllo
e/o emarginazione dal sistema sociale, ma potrebbe essere anche
manipolato (senza che di ciò ne resti traccia) per accusare liberamente
l’essere reale di cose di cui sembrerebbe responsabile il suo
doppio digitale.
La qualità digitale, quella di duplicare e manipolare dati (immagini,
suoni, testi ecc.) senza che di ciò risulti traccia, quella che tanto
fa vendere le case di produzione software attuali, diventerebbe una
possibile manipolazione dell’essere individuale di cui non rimarrebbe
traccia e in tal modo essere causa di conseguenze penali, oltreché
sociali, disastrose.
Tale separazione è ricuperabile solo nei termini di un uso anonimo
delle reti, nella possibilità di usare identità multiple e
di crittare l’informazione prodotta.
Solo in tal modo il sé digitale potrebbe diventare una raccolta di
più istanti del proprio quotidiano.
Una raccolta in divenire e in mutazione.
Solo l’identità multipla è in grado di restituire all’essere la sua
qualità intrinseca di mutevolezza e evoluzione.
L’identità
non è un insieme di caratteristiche specifiche di un singolo, bensì
uno schema di relazioni che garantiscono l’esistenza, l’evoluzione
e la trasformazione di caratteristiche specifiche del singolo; evoluzione
e trasformazione autogestibili dal singolo grazie all’essere
parte attiva di tale schema di relazioni.
Nello
specifico di un discorso sulla società, l’essere esiste solo come
parte in continua relazione e compenetrazione con un sistema dinamico
in coevoluzione.
In tale condizione, un atto di riappropriazione del sé, di definizione
di un’identità e insieme di autonomia, può essere esclusivamente
un atto individuale.
In esso si recupera un principio di libertà inelusibile di ogni singolo
individuo.
Il processo di identificazione dell’individuo non può essere affidato
né agli altri, né a interfacce tecnologiche qualora se ne verifichi
un’impossibilità gestionale da parte dell’individuo.
L’affermazione
del sé deve essere un processo pilotato a livello individuale, con
cui gli altri possono confrontarsi esclusivamente fornendo le proprie
interpretazioni e senza renderne possibile una determinazione.
Le reti
telematiche possono dar luogo a forme comunitarie di coevoluzione
mutuale se e solo se ogni individuo all’interno della comunità
può fornire un continuum di reinterpretazioni della propria identità
e di quella altrui, in un confronto e scambio sociale
libero e orizzontale.
Solo attraverso forme cooperative di dialogo sociale
che allo stesso tempo permettano l’autonomia individuale è possibile
l’emergere di nuove forme evolutive della specie che
siano allo stesso tempo mutuali per ogni singolo individuo.
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