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S h i n y a T s u k a m o t o
Tetsuo: come nasce un cult movie

dichiarazioni raccolte da Manlio Benigni

 

Shinya Tsukamoto (Tokyo, 1960), regista, produttore, sceneggiatore e attore, fondò nel 1986 il Kaijyu Theater ("teatro dei mostri marini"), per il quale produsse tre testi drammatici. Nel 1989 diresse Tetsuo - The Iron Man, vero cult-movie del nuovo cinema giapponese e vincitore del primo premio al Fantafestival di Roma. Nel 1991, dopo alcune concessioni al mercato delle major, uscì Tetsuo II: the Bodyhammer, considerato da molti il capolavoro del regista e vincitore di otto premi internazionali tra cui quelli di Montreal e Taormina. Nel 1995 un nuovo film: Tokyo Fist, dedicato al mondo della boxe. Progetti futuri: dirigere insieme a Tarantino Tetsuo III: Flying Tetsuo.

Shinya Tsukamoto (Tokyo, 1960), director, producer, writer and actor, founded Kaijyu Theater ("Theatre of Seamonsters") in 1986. He directed - among others - the cult movie Tetsuo - The Iron Man in 1989, Tetsuo II: the Bodyhammer in 1991 and Tokyo Fist in 1995. Coming soon: Tetsuo III: Flying Tetsuo, codirected with Quentin Tarantino.

© Trax

Ho iniziato a interessarmi di cinema alle scuole medie quando mio padre mi ha regalato una cinepresa. Prima di iscrivermi alle superiori avevo già realizzato sette cortometraggi. Al liceo mi sono allontanato dal cinema per avvicinarmi al teatro, che è stato per molti anni la mia passione, anche mentre ero all'università. Non ho mai frequentato scuole di cinema e teatro: all'università studiavo arte, dipingevo, a volte facevo qualche scultura, un po' di teatro per i fatti miei, ma nessun film.
Ho riscoperto il cinema quando ho iniziato a lavorare per una TV commerciale. Ci sono rimasto per quattro anni e lì ho avuto la fortuna di incontrare un direttore molto aperto, che mi lasciava molto spazio. Così ho ripreso a pensare al cinema, immaginandolo come un diretto discendente della mia attività teatrale. Gli spettacoli che scrivevo e dirigevo non erano concepiti per il teatro: si svolgevano tutti in esterni e quindi, in un certo senso, erano già cinema in potenza. Il mio primo film in otto millimetri è stato una versione cinematografica di un mio spettacolo: stesso cast, stesso materiale. Dialoghi, sceneggiatura e personaggi identici alla partitura teatrale.
L'attività teatrale mi ha insegnato a controllare tutte le fasi della lavorazione, dalla scrittura alla regia, fino ai trucchi e allo sviluppo. Solo per Hikuro - Yokai Hunter, girato dopo Tetsuo, ho seguito unicamente la regia: il film era prodotto dalla Sochiku, una major, quindi c'erano più soldi, più controlli e più impiegati. Ma con Tetsuo II: The Bodyhammer sono tornato a fare tutto da solo. Per Tetsuo era stata una scelta obbligata, poi è diventata una consapevolezza estetica.

Ho girato Tetsuo quando non avevo una lira. Quelli della TV mi avevano pagato un lavoro: 2.500.000 yen, più o meno trentacinque milioni di lire. Con quei soldi ho comprato giusto una cinepresa a sedici millimetri - naturalmente la più economica -, tre lampade, le più economiche naturalmente, e la pellicola. Poi ho convinto gli attori a lavorare gratis. Abbiamo girato, fatto tutto in gran fretta e mi sono ritrovato con la pellicola, ma senza i soldi per lo sviluppo. Così il film è rimasto fermo per un po' finché non ho avuto il coraggio di chiedere un anticipo sullo stipendio. Con l'aiuto della TV sono riuscito a pagare lo sviluppo.
Gli effetti speciali e i trucchi di Testuo sono tutti artigianali. Per le scene con i mutanti andavamo a cercare tra i rifiuti dell'emittente televisiva. C'era una specie di discarica vicino al magazzino: lattice, scarti, tubi, metallo e lamiere. Raccoglievamo la spazzatura e l’appiccicavamo direttamente alla pelle degli attori con un potentissimo scotch biadesivo. Era un collante straordinario che non cedeva nemmeno con il sudore. L'unico problema era riuscire a staccarlo alla fine delle riprese: quando abbiamo finito di girare tutti sembravano sfigurati, avevano la pelle abrasa, macchiata e irritata dai collanti. Si erano trasformati in tanti mostri, dei veri e propri Testuo.

Le scene oniriche, gli effetti speciali sono semplicemente girati a passo uno, un fotogramma alla volta, che è il mezzo più economico e barbaro per riuscire a bluffare dignitosamente.
D'altra parte a me non interessano gli effetti speciali, non voglio illudere nessuno. Il mio pubblico sa di assistere a una finzione, sa e vuole distinguere il sogno dalla realtà. La bravura del regista consiste proprio nel giocare sugli scarti tra finzione e realtà.

Qualcosa di simile si potrebbe dire a proposito della violenza nei miei film: nelle mie opere la sopraffazione, lo scontro fisico e la lotta sono finzione.
In Giappone non esiste violenza nella vita quotidiana. I film americani sono violenti e realistici perché in America un ragazzino più benissimo prendere una pistola, va a scuola e spara ai compagni. Questo non accade in Giappone dove la violenza è sistematicamente rimossa.
Gli impiegati giapponesi si alzano alla mattina, salgono su treno affollatissimo, viaggiano schiacciati uno all'altro. Vanno in ufficio e si inchinano al capo per otto, dieci ore. Poi tornano a casa e si inchinano alla moglie. Ora dopo ora accumulano un'incredibile quantità di rabbia, eppure la loro violenza è sempre trattenuta.
Per questo nei miei film la violenza si collega al potere ma contemporaneamente al sogno. La violenza è l'esasperazione di un carattere - la rabbia - rimosso e represso, che non si manifesta mai se non in forma di fantasia.

 

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