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  R a m a d a n S u l e m a n
Fools
Il cinema e la memoria in Sudafrica

 

Ramadan Suleman (Durban, 1955) ha diretto nel 1996 il primo film girato in Sudafrica con un cast e una produzione di colore. Nel 1983 - in pieno regime di apartheid - Suleman aveva già creato il primo teatro nero sudafricano. Studia a Parigi, realizza due documentari tra il 1984 e il 1985 e lavora come aiutoregista di Souleymane Cissé. Fools è il suo primo lungometraggio.
Il film descrive le ripercussioni dell'apartheid all'interno della comunità nera, insistendo sul significato di piccoli gesti di insurrezione quotidiana: al centro della narrazione è il tessuto lacerato delle relazioni umane dei neri, privati non solo dei diritti civili ma anche della propria identità sociali.

Ramadan Suleman (Durban, 1955) directed in 1996 the first Southafrican feature film shot by a black crew and production.
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Fools invites us to explore our memory. It's important to question our past and to think about our selves. The impact of apartheid won't be going away tomorrow. Politicians have to become aware of the deep-rooted implications of this system. Fools is a mirror I'm holding up to them. For today and for tomorrow. The movie tells of a people, the Southafricans, their souls and their contradiction, their frustrated desires and their psychological make-up. Everyday human beings confronting one of the most crushing systems ever: apartheid".

© Trax

Fools è il primo film sudafricano realizzato da un nero. Per me è come una specie di viaggio dentro il Sudafrica, è la prima occasione che i neri sudafricani hanno di raccontare attraverso il cinema le storie del proprio paese, di far ascoltare la voce dei neri sudafricani. Ci sono voluti più di quattro anni per dare vita a questo film, ma il progetto risale agli anni Ottanta, quando io e lo sceneggiatore Bhekizizwe Peterson stavamo a Londra a studiare e vedevamo uscire al cinema film come Cry Freedom o Un’arida stagione bianca. La cosa che addolorava in quei momenti noi sudafricani era il fatto che provenivamo da una storia di grande resistenza e lotta, eppure gli eroi di quei film erano sempre bianchi, bianchi contrari all’apartheid ma pur sempre bianchi, mentre i neri erano sempre presenti solo come soldati sullo sfondo. Decidemmo allora che era necessario riuscire a raccontare al mondo, e anche agli stessi africani, che anche noi neri avevamo delle storie da raccontare. Credo che anche ora non abbiamo nemmeno iniziato davvero il nostro lavoro: dovrete vedere nei prossimi dieci, quindici anni, altri venti film come questo per riuscire a comprendere cosa è accaduto nel nostro paese. È esattamente la stessa cosa che è successa alla Germania dopo il regime nazista.

È stato molto difficile trovare i mezzi per produrre questo film. Abbiamo chiesto l’aiuto di alcuni paesi europei, della comunità europea, di altri paesi africani, ma volevamo che la produzione rimanesse principalmente sudafricana, per gettare le basi di un cinema a venire nel nostro paese. Una delle grosse difficoltà era il fatto che tutti ci dicevano: "Ma come volete che qualcuno qui in Africa via dia dei soldi per fare un film diretto da un regista nero che parla male della comunità nera", ma la scommessa era quella di riuscire a realizzare un film che ci aiutasse a spiegare (e a comprendere noi stessi) gli effetti di 50 anni di apartheid sui neri sudafricani, sulla loro situazione sociale e personale. C’era dunque una resitenza sia da parte dei paesi europei sia da parte del Sudafrica. Si è creato quindi un gruppo di produttori, di amici più che altro, che in Sudafrica, Mozambico e Zimbawe si sono uniti per far nascere Fools e per creare un precedente che permettesse di sperare in un qualche futuro per il cinema nero dell’Africa australe.

A un certo punto del film il protagonista, Zamani, un insegnante che ha violentato una sua studentessa, va a casa della famiglia di questa studentessa ad accompagnare il fratello di questa, ferito in una rissa. La nonna della ragazza lo accoglie come viene accolto un ospite in ogni famiglia africana. Gli chiede cosa è successo al figlio, e lui lo spiega. Poi la vecchia chiama la figlia, e le chiede di servire l’insegnante nella tazza dalla quale beveva suo marito. Suo marito è morto. E lei vuole che l’insegnante beva dalla tazza del marito morto, come se considerasse Zamani morto anch’esso. Lo tratta come se non esistesse, come se fosse invisibile. Questa è la condanna della comunità tradizionale nera, e Zamani cercherà di redimersi sfidando l’uomo bianco, l’unico bianco che appare nel film oltre al poliziotto. Cercherà di pagare il suo debito con la comunità, usando il bianco. In questo film abbiamo cercato di mostrare le scelte estremamente limitate che noi neri avevamo sotto l’apartheid. In molti casi queste scelte limitate non potevano portare a prendere alcuna decisione chiara, qualsiasi cosa decidessimo di fare, avrebbe avuto per noi delle conseguenze negative. Se si pensa a questa situazione quando si guarda l’atteggiamento della nonna della ragazza, si possono osservare le diverse risposte a uno stesso evento. Il fatto di fare bere l’insegnante nella tazza del marito morto, è l’unica condanna che quella donna potesse esprimere a causa delle scelte limitate che venivano poste a un nero - e ancora di più a una donna nera - nella situazione in cui il Sudafrica si trovava. Sono le contraddizioni tra quello che una società civile si potrebbe aspettare e gli effetti delle vecchie ferite in un contesto del genere.

Il film, in Sudafrica, è stato mostrato a qualche distributore (teniamo conto che in Sudafrica la distribuzione è di fatto un monopolio americano), e loro ci hanno detto che il nostro era un film per la televisione. Ci hanno detto che i sudafricani - come gli ebrei nella Germania nazista - non erano e non sono interessati a vedere le immagini delle cose terribili che sono loro successe. Paradossalmente era la stessa casa che aveva distribuito in Sudafrica Shindler’s List. La UIP - anche questa una multinazionale americana - ci ha detto che poteva darci una mano, ma che non potevano fare molto, perché il nostro non era un film commercializzabile in Sudafrica. Per cui nel 1998 distribuiremo in modo indipendente il film, ma bisogna pensare che un posto come Soweto, che ha quattro milioni di abitanti, non ha neanche una sala cinematografica.

La storia da cui Fools è tratto fu pubblicata dall’autore nel 1983, e si ispirava a fatti avvenuti nel 1966. Erano passati moltissimi anni, e la storia era ancora perfettamente attuale. Il fatto che in Sudafrica si sia raggiunto un accettabile livello di democrazia non significa che immediatamente i neri possano iniziare a comportarsi in maniera diversa. Le ferite di 50 anni di apartheid sono ancora lì, e lì rimarranno per almeno altri 50 anni, se saremo fortunati. E non solo per i neri, ma anche per i bianchi che credevano nell’apartheid e si sono ritrovati improvvisamente con un sistema sovvertito, dove i neri che consideravano come delle specie di animali hanno (o perlomeno dovrebbero avere) i loro stessi diritti. Ci vorrà molto tempo per riuscire a venire a patti con queste ferite, questi pregiudizi. I neri sudafricani solo ora iniziano a rendersi conto veramente di quanto siano stati privilegiati i bianchi: in Sudafrica c’era un sistema di previdenza sociale e sanitaria che funzionava solo per i bianchi e che Mandela ha esteso a tutti, e solo allora i neri hanno compreso cosa aveva significato non poterne godere. In Sudafrica, oggi, bisogna ripensare tutti i tipi di relazione, anche all’interno della comunità nera, a partire dalla relazione tra le diverse generazioni, tra i giovani e gli anziani, e poi - ancora più rilevante - bisogna ripensare la relazione tra uomini e donne nere. Durante l’apartheid si era sviluppato un sistema di relazioni estremamente violento tra i neri e le loro donne, le loro mogli, le loro sorelle, le loro madri, le loro amanti

 

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