P a u l H a r r
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Paul Harril - documentarista e filmmaker - ci guida in un'inconsueta battuta di caccia. Da Godard a Spielberg, inseguiamo il battito d'ali delle mosche che si sono conquistate quindici minuti di fama svolazzando davanti alle cineprese dei registi più intransigenti. E sulle tracce di questi insetti scopriamo le relazioni pericolose che legano cinema e realtà: "André Bazin, zitto e mosca" verrebbe da dire. Filmmaker Paul Harril guides us in an unusual hunt: we're looking for flys in celebrated movies. From Godard to Spielberg, following the buzz of these unfriendly insects, we learn the mysterious ties that link moviemaking to reality: sometimes bugs can tell us more about realism than André Bazin himself. © Harrill & blimp |
Una
mia amica, una professoressa di storia del cinema, sta lavorando da
qualche mese a un saggio intitolato La
realtà e il cinema. È un argomento vago e generico e forse proprio
per la sua genericità si rivela un problema quanto meno stuzzicante.
"Sì, la realtà entra nel cinema" saremmo portati a rispondere istintivamente.
Ma come avvenga questo processo e cosa si debba intendere per realtà
sono domande molto più complesse.
Probabilmente se
la mia amica non dovesse scrivere quel saggio per un importante antologia
di storia del cinema, avrebbe già rinunciato preferendogli qualche
occupazione più frivola, il giardinaggio magari o la cucina, questioni
di reale importanza insomma. Grazie a dio, io non ho saggi da scrivere
né scadenze da rispettare e quindi posso lambiccarmi con questioni
filosofiche di assoluto rilievo. Sfortunatamente
penso che né lei né tanto meno io verremo mai a capo di quel dilemma. Paradossalmente
per parlarvi delle cose, devo partire da una storia: e vedete
subito come la realtà si smaterializza in finzione... Ma tant'è:
l'altro giorno stavo lavorando al montaggio del mio ultimo film,
Hospitality. È la storia di una donna che vive in una fattoria.
La protagonista sta preparando la casa per l'arrivo di un'amica
(una donna di città) che vuole seppellire il proprio cane in campagna.
Per dare un po' di respiro ai momenti drammatici ho deciso di
spezzare la narrazione con alcune inquadrature di paesaggi rurali.
Scenari disabitati: case, colline e natura. E invece nel bel
mezzo del mio stacco, per un secondo o due al massimo, una mosca era
venuta a posarsi sulla cinepresa: aveva volteggiato nella mia inquadratura,
si era regalata un primo piano da diva e poi se ne era andata. Quell'incidente
è stato una vera e propria rivelazione: ecco quello che cercavo, mi
sono detto. E ovviamente ho inserito nel film solo i pochi secondi
in cui la mosca danzava davanti alla mia cinepresa. Di mosche poi nella storia del cinema ce ne sono di molto più celebri. Quella che ricordo meglio compare nei Predatori dell'Arca perduta di Spielberg. Se non sbaglio, pochi minuti prima della scoperta dell'arca, Indiana Jones viene catturato dai nazisti; Belloq, l'avversario di Indiana, fissa il suo acerrimo nemico, scoppia in una minacciosa risata e grida "L'arca è mia, mia" o qualcosa del genere. Proprio in quel momento una mosca atterra sulle labbra di Belloq e passeggia sulle sue guance per qualche secondo. L'attore continua a recitare come se niente fosse. E la sua stoica indifferenza rivela la natura fittizia dell'attore: una persona in carne ossa o un personaggio avrebbero istintivamente mosso una mano per scacciare l'insetto. Un attore invece rispetta un copione e non risponde agli incidenti della realtà. So di sembrarvi
un maniaco, un cinefilo con qualche tendenza zoofila, ma - credetemi
- la scena della mosca è il mio momento preferito di tutto il film
di Spielberg. Ogni volta in cui ricordo o rivedo quella sequenza non
posso fare a meno di chiedermi perché Spielberg ha deciso di conservarla. Perché mi affascina così tanto quella mosca? Non trovo altre risposte: perché è vera. Una vera mosca che passeggia sulla pelle di un vero uomo. Nessuno di noi ha un rapporto diretto, reale con le azioni e le sensazioni messe in scena in un film complesso e fantasioso come I predatori dell'Arca perduta; ma tutti conosciamo fin troppo bene la sensazione spiacevole che producono le zampette luride di una mosca quando ci solleticano la pelle. Tanto più grande è lo scarto rispetto al reale di un film o di un'opera d'arte, tanto più viscerale sarà la percezione del reale che si annida in dettagli insignificanti e tuttavia familiari. Solo di recente ho scoperto che anche in un film di Godard, Le Mépris, si aggira un'altra mosca (che sia la stessa? che esista un sindacato per le mosche attrici? a quando i contratti, e gli oscar e il doppiaggio, signori, il doppiaggio...). Tuttavia la mosca di Godard non è affascinante quanto quella di Spielberg: non è una questione di look, né di inquadratura, per quanto nel film francese la mosca abbia un ruolo secondario, svolazza tranquilla intorno a una casa senza conquistare un primo piano come quella di Spielberg. È che Godard ci ha abituato a interruzioni e a brusche intrusioni del caso. Al contrario di Spielberg, Godard non costruisce una finzione, quindi la sua mosca non ha la stessa forza spiazzante di quella dei Predatori dell'Arca perduta. Torniamo alla domanda
principale: come la realtà entra nel cinema? Dal mio racconto autobiografico
sarebbe lecito supporre che il reale è pur sempre costretto a ubbidire
alle scelte del regista. Sono stato io a scegliere quel dato fotogramma
invece di un'altra sequenza. Ma l'esempio di Spielberg
sembra attestare che, dopo tutto, la realtà può imporsi da sola, che
ci piaccia o no. Come ha detto Bazin, "il cinema ha un legame di parentela
molto stretto con la realtà", ne è permeato. Mi dispiace contraddire Bazin, ma Spielberg ci insegna che a volte la realtà si rivela in modo più graffiante e incisivo proprio laddove gli spazi sono più compressi, cioè in quei film che si sforzano di negare il reale. Il mondo del cinema
di fiction è un universo quanto mai fittizio, governato dalle leggi
dell'intenzione, della ripresa riuscita e dalla performance
migliore. È un mondo disegnato al tavolo della moviola. Noi spettatori
conosciamo le regole del gioco, eppure ci abbandoniamo alla finzione
non appena in sala si spengono le luci, felici di prendere per vera
una magnifica illusione. |