ateatro 65.51 Tra "azione" e "contemplazione". I molteplici spazi possibili per le arti interattive Introduzione al volume Arte tra azione e contemplazione a cura di Silvana Vassallo e Andreina Di Brino di Silvana Vassallo
Tra la sferza del richiamo "non restare senza reagire" e la scusante a posteriori "non ho fatto che reagire" mi si aprono grandi spazi.
Jean Starobinski, Azione e reazione. Vita di una coppia
Ora l’interattività, arte dell’agire e dell’esserci, può rivalutare la possibilità di uno sguardo da più lontano, uno sguardo sospeso nelle profondità del senso. Un doppio modo di vivere le cose, di percepirle, di abitarle.
Paolo Rosa, Rapporto confidenziale su un’esperienza interattiva
Il presente volume raccoglie e approfondisce le tematiche affrontate in occasione del convegno Arte tra azione e contemplazione, tenutosi a Pisa nell’ottobre del 1998. L’intento del convegno era stato di proporre una riflessione sul tema dell’interattività nelle ricerche artistiche (prendendo in esame soprattutto, ma non esclusivamente, le installazioni interattive1) a partire da un approccio interdisciplinare, particolarmente adatto ad affrontare un argomento che chiama in causa diverse discipline2, un argomento di grande attualità ma scarsamente investigato – soprattutto in Italia – nelle sue implicazioni critiche e teoriche. Si è trattato di un’occasione rara di confronto e scambio tra saperi e pratiche artistiche, da cui è emersa la ricchezza delle problematiche sollevate dall’arte interattiva, riguardanti in prima istanza il rapporto tra arte e tecnologia e le modificazioni profonde che l’interattività comporta sia a livello di un’estetica della creazione sia di un’estetica della fruizione. La tecnologia svolge infatti un ruolo determinante in quella che comunemente viene definita "arte interattiva", generando una situazione creativa nuova, in cui una serie di dispositivi, di sistemi informatici e tecnologici, diventano parte integrante dell’opera, concepita dall’artista con l’intento di rendere lo spettatore attivamente partecipe al suo farsi, e non più, o non solo, come un oggetto da affidare alla contemplazione.
Il passaggio da un’arte della "contemplazione" ad un’arte dell’"azione", in cui il pubblico svolge un ruolo decisivo ai fini dell’esistenza dell’opera stessa, e una riflessione sull’interattività come fenomeno complesso della condizione sociale ed esistenziale contemporanea, legato allo sviluppo delle nuove tecnologie, sono dunque stati i temi attorno a cui si è strutturato il convegno. Il quale ha attinto importanti elementi di stimolo, sia per la sua ideazione che articolazione, da un saggio dell’artista Paolo Rosa, di Studio Azzurro, intitolato Rapporto confidenziale su un’esperienza interattiva3, e da ripetute conversazioni avute con lui durante l’allestimento della mostra Il Soffio sull’angelo, svoltasi a Pisa nel maggio del 19974. Nel saggio l’autore fa il punto sulla pluriennale esperienza di ricerca artistica di Studio Azzurro sull’interattività, proponendo una serie di considerazioni e suggestioni in forma volutamente aperta e interlocutoria, al fine di suscitare ulteriori discussioni e approfondimenti. "Azione" e "contemplazione", secondo Paolo Rosa, rimandano a due dimensioni esperienziali complementari, entrambe necessarie per attivare processualità artistiche e configurazioni di senso che tengano conto della complessità della condizione contemporanea, in cui "inevitabilmente e assai rapidamente ci stiamo spostando, in tutti i settori, dalla fruizione passiva a una dimensione partecipativa, senza fasi intermedie, così di colpo. Dall’essere investiti dall’interrotto flusso televisivo all’essere costretti a rispondere ad ogni sollecitazione"5. Contemplazione non è sinonimo di passività, ma al contrario di una modalità consapevole del vedere, che va recuperata proprio per contrastare l’inerzia, la passività indotta dal flusso ininterrotto di immagini cui siamo sottoposti e di cui la televisione è il simbolo massimo. Allo stesso tempo, nell’ambito dell’orizzonte interattivo che si sta delineando ad opera delle nuove tecnologie, spesso caratterizzato da forme di interazione "deboli", non autenticamente partecipative, la ricerca artistica può aprire nuovi scenari, ancora in gran parte da esplorare, in cui "l’essere proiettati dentro la rappresentazione", "l’emozione di perdersi nel caos", si accompagni alla possibilità di "uno sguardo da più lontano, uno sguardo sospeso nelle profondità del senso"6.
Su questa duplicità di registri – l’essere proiettati dentro la rappresentazione, agirla dal di dentro con il rischio di perdersi, e al contempo preservare dei nuclei di consapevolezza – si è modulata la poetica interattiva di Studio Azzurro, ancorandosi attorno ad alcuni criteri compositivi fondamentali: la creazione di spazi di "fruizione collettivi", di "ambienti sensibili", dove la relazione uomo-dispositivo viene utilizzata per favorire quella tra uomo e uomo; l’utilizzo di "interfacce naturali", non mediate da protesi tecnologiche (tastiera, mouse, ecc.), in cui vengono privilegiate modalità comunicative familiari, quali il toccare, il calpestare, o l’emettere suoni; infine, la suggestione di "percorsi narrativi" derivanti dal montaggio e dall’articolazione tra spazi, oggetti, immagini, suoni e comportamenti, vale a dire di tutti quegli elementi che compongono la dimensione complessa delle installazioni interattive7.
Poetiche, estetiche, sperimentazioni tra scienza e arte
Essendo l’arte interattiva un’arte in divenire, di cui mancano apparati critici consolidati, ci è sembrato significativo mettere a confronto le poetiche degli artisti con interpretazioni di carattere più teorico. Interventi di filosofi, artisti, scienziati, di esperti d’arte e nuovi media si sono alternati nel corso del convegno. Questo libro li ripropone – dopo un’attenta revisione da parte degli autori, che in certi casi ha rappresentato una vera e propria riscrittura – secondo una suddivisione per aree tematiche e di competenze specifiche8.
La prima parte è suddivisa in due sezioni, di cui la prima, Interattività e contemplazione nelle ricerche artistiche, raccoglie saggi critici, mentre la seconda, Monografie d’Artista, affida agli artisti il racconto dei loro percorsi interattivi.
Alcune riflessioni di Paolo Rosa, scritte appositamente per questo volume, inaugurano la prima sezione, riflessioni che ribadiscono l’urgenza sociale da cui scaturisce l’interesse artistico per l’interattività. In L’arte fuori di sé. Pensieri ancora sommari sull’estetica delle relazioni, Paolo Rosa contestualizza scelte estetiche in uno scenario dominato sempre più dal peso e dalla diffusione che i dispositivi interattivi hanno nella società, enucleandone in maniera puntuale gli elementi innovativi rispetto a vecchie forme di interazione.
Ad un’analisi del contesto all’interno del quale si è sviluppata l’arte interattiva – in particolar modo nella forma di installazioni interattive –, ad una formulazione delle sue principali caratteristiche e modalità di esistenza, nonché ad una messa in evidenza di alcuni nuclei problematici ad essa connessi, sono dedicati i saggi di Silvia Bordini Più che un’immagine. Considerazioni sull’arte interattiva e di Simonetta Cargioli L’arte del visitatore. Spunti di riflessione su installazioni e ambienti interattivi9.
Molte delle premesse dell’arte interattiva vanno ricondotte alla rivoluzione in campo artistico verificatasi negli anni ’60 ad opera di movimenti quali Fluxus, il Minimalismo, la Land art, la Body art, che hanno modificato radicalmente lo statuto dell’arte e le sue condizioni di fruizione. Pur nelle diversità specifiche, tali movimenti si sono mossi in direzione di un rifiuto della dimensione statica, unica e immodificabile dell’opera d’arte, privilegiando processualità artistiche sotto forma di happening, performance e installazioni, che hanno portato a nuove situazioni di incontro del fruitore con l’opera "principalmente attraverso una riscoperta della partecipazione fisica e lo sviluppo di occasioni di interazione che lo hanno reso consapevole della propria attività percettiva e del proprio ruolo" (Cargioli). Nel solco di queste sperimentazioni si sono infine inserite negli anni ’80 le potenzialità interattive delle nuove tecnologie, che hanno impresso un’ulteriore svolta alle forme di partecipazione e ai modi di produzione e comunicazione, proponendo "forme d’arte in cui – sul denominatore comune della reciprocità degli scambi – si intrecciano artificialità e natura, immaterialità e alta definizione, la macchina e il corpo. Dalla sostituzione di realtà (incorporante, immersiva) della realtà virtuale, come nelle flessibilità dinamiche dell’arte in rete" (Bordini).
All’artista che opera con le tecnologie interattive sono richieste nuove competenze, in particolare una padronanza nell’uso di sofisticate strumentazioni tecnologiche, se non altro per evitare che siano le macchine a suggerire contenuti precostituiti, ad imporre la loro "intelligenza programmata"10; ciò favorisce il lavoro di équipe e la collaborazione creativa tra artisti, scienziati e tecnici. Inoltre, sempre più il ruolo dell’artista si configura quale progettista di esperienze altrui e l’opera si presenta come opera aperta, costituita da un’insieme di co-varianti che il pubblico può attivare.
Nelle forme d’arte interattiva le interfacce, i dispositivi informatici che consentono l’interazione tra pubblico ed opera, assumono un ruolo determinante, costituendo, come nota Anne-Marie Duguet "il luogo di un lavoro metaforico e concettuale"11. Attraverso le interfacce, immagini e mondi virtuali vengono attivati secondo combinazioni inedite, inattese, in grado di creare nuove costellazioni di senso, nuove esperienze percettive, mobilitando nello spettatore una sensorialità diffusa, allargata ad altri organi sensoriali oltre la vista. Mouse, caschi e datagloves per accedere alla realtà virtuale, oppure interfacce più sofisticate – che magari simulano forme di interazione più naturali tra uomo e ambiente – costituiscono vie d’accesso a spazi complessi, architettati per una fruizione singola o collettiva, a seconda delle esigenze comunicative, delle strategie compositive e delle poetiche dei singoli artisti, come viene illustrato ampiamente nei saggi di Silvia Bordini e di Simonetta Cargioli.
Il fatto che l’azione di un potenziale pubblico sia inscritta nei parametri compositivi delle opere interattive comporta un radicale mutamento delle condizioni di fruizione: allo spettatore viene richiesto di assumere il ruolo di performer o co-autore, di immergersi in un’esperienza partecipativa e sinestetica, al contempo psichica e fisica, secondo modalità associate frequentemente ad una dimensione ludica. Attorno a questo mutamento di paradigmi nelle situazioni d’incontro del pubblico con l’opera, si addensano una serie di nodi problematici. In primo luogo il ruolo di performer assunto dallo spettatore innesca una dialettica complessa tra "contemplazione" e "azione", tra un atteggiamento di "distanza critica" e un atteggiamento di "coinvolgimento attivo", carico di potenzialità ancora in gran parte da esplorare, ma che talvolta rischia di trasformarsi in mera operatività, in una reattività automatica in risposta ad uno stimolo, come molti critici dell’arte interattiva non mancano di sottolineare12. Trovare un equilibrio tra distanza e partecipazione ci sembra che sia una delle maggiori poste in gioco con cui l’arte interattiva debba confrontarsi. Anche la dimensione "co-autoriale" attribuita allo spettatore, se da un lato può risultare mistificante, poiché, comunque, è l’artista che rimane responsabile dell’ideazione e della tenuta estetica dell’opera, dall’altro può dare accesso a stimolanti forme partecipative. Come nota Lucilla Meloni, infatti, "certo che ogni lavoro […] nasce dall’idea dell’artista e questi, in ogni caso, ne resta unico ideatore; certo che l’osservatore o coautore partecipa ad un gioco disegnato dall’artista, certo che la sua libertà non è concepibile che all’interno di alcune ipotesi da questi fornite e, pertanto, si tratterebbe di una libertà fittizia. Ciononostante, una volta chiarito il problema della libertà, l’opera partecipata ha il merito di responsabilizzare l’osservatore per le ragioni suddette, e mi sembra che nasca da un atto di generosità, da un invito alla partecipazione di un’idea"13. È tuttavia importante tener presente che le tematiche connesse con l’entrata dello spettatore nella rappresentazione e il suo slittamento da osservatore ad attore sono antiche e complesse, come fa notare Sandra Lischi nel suo saggio Fatica e meraviglia: strategie dello spett-autore fra cinema e video14, ricco di spunti e di riflessioni teoriche stimolanti, e costellato di riferimenti suggestivi ad opere d’arte che spaziano dal passato al presente, dalla pittura al cinema, dal teatro alle videoinstallazioni. Come sostiene giustamente l’autrice "cercare gli antecedenti [storici e teorici] del lavoro dello spettatore – una ricerca difficile di senso che dialoga con un’altra ricerca difficile, quella proposta dall’opera – […] può risultare illuminante, aiutarci a ritrovare un filo che ci conduce sul versante della complessità invece che su quello di una "tattilità" primaria e di un attivismo ludico di scarso spessore".
La dimensione ludica è un ulteriore elemento caratterizzante l’arte interattiva e rimanda ad una relazione tra gioco e arte che, come ci ricorda Silvia Bordini, ha radici profonde e diramazioni diverse nella tradizione artistica. Di nuovo ci troviamo di fronte a tematiche che andrebbero approfondite, per non cadere in facili entusiasmi sulle potenzialità innovative dell’arte interattiva15. Le opere d’arte, come i giochi, aprono spazi all’immaginazione e alla creatività, aiutano a pensare oltre le convenzioni, a superare il conformismo, sono una spinta potente per il rinnovamento. È in questa direzione che si muovono le sperimentazioni più significative nell’ambito dell’arte interattiva, in contrasto con le logiche aggressive, distruttive, competitive che sottendono molti attuali videogames, anche se, talvolta, proprio ad essi questa forma d’arte è associata, soprattutto quando vi è un eccessivo sbilanciamento sull’aspetto ludico rispetto ad altre componenti16.
Vi sono artisti, come Bill Viola, che pur non usando generalmente dispositivi interattivi17, utilizzano tecnologie sofisticate per creare opere (video ma soprattutto videoinstallazioni), che richiedono un forte coinvolgimento del pubblico. In La parola silenziosa. Contemplazione e l’arte di Bill Viola, Deirdre Boyle analizza in maniera puntuale, e al contempo emotivamente partecipe, alcuni lavori di Bill Viola dai profondi significati spirituali, che innescano nello spettatore esperienze contemplative, attraverso l’immersione sensoriale e mentale in spazi simbolicamente densi e le suggestioni evocate da immagini di grande potenza espressiva. Anche Tullio Brunone, in Pisanello e l’immagine sporca, muovendo da considerazioni di carattere generale, sottolinea come l’incontro creativo tra le tecnologie informatiche e le arti visive possa fornire nuove chiavi d’accesso agli strati profondi dell’essere, ed aprire nuovi scenari, non soltanto sotto l’aspetto estetico formale, ma anche riguardo la dimensione del relazionamento, e quindi della "partecipazione" all’evento.
Un atteggiamento più critico nei confronti delle tecnologie elettroniche ed informatiche applicate alla musica è invece presente nel saggio di Luciana Galliano Contr(-)azioni, in cui l’autrice analizza le problematiche relative allo sviluppo della musica elettronica, centrando la sua indagine soprattutto su un tipo di interattività interna alla composizione musicale – quella che si stabilisce, attraverso l’uso di strumenti informatici, tra compositore e programma e fra interprete e programma – senza tuttavia tralasciare l’impatto che tali sperimentazioni comportano a livello di fruizione e di un’estetica dell’ascolto. Il saggio, estremamente articolato, affronta in maniera interlocutoria una serie di questioni cruciali: se in questi ultimi decenni di sperimentazione musicale con le nuove tecnologie vi sia stata una reale "espansione del campo compositivo, della percettività, dell’intelligenza oppure una contrazione", se non si stia assistendo ad uno "scivolamento dalla rappresentazione alla manipolazione, dall’apprezzamento all’intrattenimento", ponendo infine, in maniera un po’ provocatoria, un quesito, sul perché "un pubblico avvertito reagisca con maggior emozione all’ascolto di due pigmei, che suonano con due strumentini minuscoli una musica che non arriva all’ambito di un’ottava, che non all’ascolto delle più recenti opere prodotte nei maggiori centri di ricerca, con l’ausilio dei calcolatori più avanzati, delle procedure più raffinate e degli interpreti migliori".
Nella sezione Monografie d’Artista, Piero Gilardi, Giacomo Verde e Mario Canali, tre autori particolarmente significativi per le loro sperimentazioni con l’interattività, illustrano i loro percorsi artistici e le loro poetiche, segnate, al di là delle specificità, da profonde istanze cognitive ed etiche. Emerge dagli interventi la molteplicità di spazi di sperimentazione che l’interattività apre: dalla possibilità di nuove vie d’accesso all’inconscio collettivo e all’interiorità, anche attraverso l’intercettazione, per mezzo di sensori, di stati emotivi e corporei (ritmo cardiaco, onde cerebrali) che possono essere visualizzati e condivisi (Mario Canali); ad un uso dell’interattività per sviluppare forme di autocoscienza critiche e collettive nei confronti di una società caratterizzata sempre più da identità multiple e dalla pervasività dell’universo informatico (Piero Gilardi); oppure l’interattività come strumento per restituire l’arte agli spettatori, per smitizzare la tecnologia ed attivare contesti fondati su relazioni empatiche, socialmente ed eticamente significative tra artista e pubblico (Giacomo Verde).
Nella seconda parte del volume, Arte e nuove tecnologie nelle riflessioni estetiche, il tema dell’interattività viene affrontato da varie angolazioni e prospettive teoriche. In un intervento che non lascia spazio né a facili entusiasmi né ad altrettanto facili atteggiamenti liquidatori, Remo Bodei, in Considerazioni su alcune premesse dell’arte interattiva, ne evidenzia elementi di novità e limiti: se da una parte l’arte interattiva comporta per il fruitore un’accresciuta e più tangibile consapevolezza del suo contributo al completamento del senso dell’opera, d’altro canto un eccessivo sbilanciamento in direzione dell’arbitrio soggettivo e del gusto semplicemente ludico, può inibire i "possibili sensi che l’opera stessa potrebbe sprigionare posta davanti a una interrogazione più stringente e articolata"; importante è anche storicizzare il concetto di contemplazione, evitando eccessive semplificazioni ed un suo appiattimento su un modello di passività ereditato soprattutto da una concezione museale dell’arte. Il tema di una dialettica "produttiva" tra azione e contemplazione è affrontato da Alfonso M. Iacono in Questo è un gioco? Metacomunicazione e attraversamento dei linguaggi. Partendo da una serie di riflessioni ispirate al pensiero di Gregory Bateson, l’autore analizza alcuni meccanismi alla base sia del gioco sia dei processi di immedesimazione del pubblico nell’esperienza estetica, consistenti essenzialmente in una condizione di "coinvolgimento/non coinvolgimento", per cui sappiamo di essere all’interno di una dimensione illusoria, eppure proviamo emozioni e/o agiamo come se non lo sapessimo. Ciò deriva dalla facoltà dell’uomo di dominare contesti e universi di significato differenti, dando "un senso ai confini" e padroneggiando "le molteplici cornici che ci fronteggiano e ci circondano", facoltà che pertiene all’uomo in quanto essere duplice, e che richiede, per essere esplicata al meglio, l’acquisizione di una consapevolezza critica. In questa prospettiva, il rapporto tra azione e contemplazione diventa interessante se la contemplazione non si riduce ad una "condizione totale di distanza" ma ci permette un’operazione, quella cioè del "trarci fuori" e del saper guardare "con altri occhi, come dall’esterno, quel che facciamo come attori".
Dai saggi di Mario Costa, Appunti per l’estetica a venire, e di Giuseppe O. Longo, Corpo narrazione estetica, emergono due diversi sguardi sull’impatto delle nuove tecnologie in ambito estetico-artistico, epistemologico ed esperienziale. Mario Costa affronta l’argomento in un’ottica prevalentemente estetologica, enucleando alcuni fondamentali mutamenti verificatisi per effetto di una tecnologia sempre più invadente, che oramai fa parte della nostra realtà. In primo luogo, la produzione e la fruizione artistica si risolvono sempre più in fatti sostanzialmente sensoriali, poiché nelle nuove produzioni – o almeno in quelle che secondo Costa sono più significative – "prevale la volontà di produrre un’esperienza dei sensi, scombussolandoli, sollecitandoli, estendendoli e stravolgendoli", un’esperienza che non fa presa sul livello dei contenuti e del simbolico o delle narrazioni ma soprattutto "sull’attivazione estetica dei nuovi significanti tecnologici". Sempre più l’artista si trasforma in "soggetto epistemico ad intenzionalità estetica", e la sua indagine assume dei caratteri di tipo epistemologico all’incrocio tra arte, scienza e tecnologia. Un altro mutamento fondamentale consiste nel processo di indebolimento del soggetto, avviato già da tempo, ma che adesso, per effetto dell’accelerazione tecnologica, arretra nella direzione di un "iper-soggetto" di cui l’interattività, le reti, non rappresentano che una prima emergenza, di cui gli esiti e gli sviluppi ci sono ancora in gran parte sconosciuti. La formazione di questo iper-soggetto tecnologico è motivo di preoccupazione per Giuseppe O. Longo, che nel suo intervento pone l’accento sui disagi e le disarmonie dovute ad alcuni aspetti di incompatibilità tra uomo e macchina. Longo teme gli "effetti semplificanti" di una tecnologia che confligge con alcuni valori fondamentali dell’uomo, etici, estetici e culturali, attraverso cui meglio si esprime la sua complessità costitutiva, fatta di un’unione inscindibile di anima e corpo. L’homo technologicus che si sta formando, in parte come risultato di macchine programmabili, "dotate di una loro capacità autonoma di elaborazione, per quanto embrionale e rudimentale" si configura come "creatura planetaria" frutto dell’intelligenza connettiva delle reti, come un essere "acefalo, disseminato e inconsapevole" che "sa e sa fare cose che nessuno di noi sa fare". Ciò apre interrogativi inquietanti, che il saggio di Longo pone in maniera interlocutoria e aperta.
Nelle opere interattive, come abbiamo visto, le interfacce assumono costellazioni di senso complesse, alla cui origine vi è spesso un lavoro di collaborazione creativa tra artisti, scienziati e tecnici. La terza parte del libro, Le ricerche sull’interattività tra scienza e arte, è dedicata alla presentazione dell’attività di alcuni importanti centri universitari, in cui si sono stabilite sinergie feconde tra ambiti di ricerca artistici e scientifico-tecnologici, situazione piuttosto rara nel panorama italiano. In Interazione e gestualità, Leonello Tarabella, oltre a tracciare un interessante resoconto dello sviluppo della musica informatica a partire dagli anni ’60, descrive la pionieristica attività svolta in questa direzione dal CNUCE di Pisa, attività attualmente confluita nelle ricerche condotte dal ComputerART Lab del CNR, dove negli ultimi anni sono stati realizzati una serie di sistemi e dispositivi di riconoscimento gestuale, utilizzati per la composizione e l’esecuzione di opere multimediali, e nati dalla collaborazione tra ingegneri, informatici musicisti e artisti visivi. Anche il Laboratorio di Informatica musicale InfoMus del Dist (Dipartimento di Informatica Sistemistica e Telematica), della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Genova svolge ricerche multimediali, volte allo sviluppo di interfacce multisensoriali per l’analisi e la sintesi
di gesti espressivi nella musica, nel movimento e nei visual media, coinvolgendo discipline che vanno dall’informatica alla psicologia, dalla biomeccanica allo studio di varie forme di espressione artistica (coreografia, montaggio audiovisivo nel cinema, composizione e prassi esecutiva in musica). La sperimentazione sul versante artistico è parte integrante dell’attività del Laboratorio InfoMus e contribuisce in maniera determinante a connotarne la fisionomia e i percorsi di ricerca18.
Il laboratorio PERCRO (PERCeptual RObotics), della Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna di Pisa, ha maturato una considerevole esperienza nel campo delle tecnologie di Ambienti Virtuali ed interfacce aptiche applicate ai beni culturali. Dalle attività di ricerca del laboratorio PERCRO è scaturita l’idea innovativa del Museo delle Pure Forme, progetto illustrato nel saggio di Massimo Bergamasco, Antonio Frisoli e Marco Radesca. Il Museo delle Pure Forme nasce con l’intento di esplorare e fornire nuovi e diversi paradigmi d’interazione per la fruizione delle opere scultoree e, in generale, di tutte le opere d’arte tridimensionali, attivando la percezione aptica (dal greco "apthestai", toccare). Se da un lato ciò consente di abbattere "virtualmente" uno dei maggiori tabù legati alla fruizione museale di opere d’arte (il toccare statue e altri manufatti), d’altro canto permette anche di avvicinarsi "notevolmente all’esperienza vissuta dall’artista all’atto di creazione della sua opera". Oltre a prefigurare inesplorate modalità di fruizione dei beni culturali, la tecnologia innovativa impiegata nel progetto Museo delle Pure Forme apre nuovi filoni di ricerca nei campi della psicologia cognitiva e dell’interazione uomo-computer.
Emerge, dai contributi a questo volume, un quadro estremamente composito, che riflette a pieno lo scopo del convegno, vale a dire fornire sollecitazioni per ulteriori riflessioni. Un dato rilevante, che ricorre come un filo rosso, è che comunque i termini interazione e interattività, quando non vengono banalizzati, rimandano a fenomeni complessi della contemporaneità, in particolare ad una perdita di centralità del soggetto che si confronta con un bisogno di agire, di intervenire, di assumersi delle responsabilità. Come nota Starobinski, che all’analisi della coppia verbale "azione e reazione" ha dedicato uno studio approfondito: "Questo fenomeno di diffusione lessicale [del termine reazione], coniugato al favore di cui gode il termine più recente di interazione, è di per sé sintomatico. Riguarda uno "stato della lingua" quasi mondiale e permette di parlare di un iperattivismo contemporaneo. Sotterraneamente o allo scoperto interviene in molti sistemi […]. E la domanda che i nostri contemporanei più responsabili si pongono di fronte alle sfide attuali è comunemente formulata nei termini di un "come reagire?" non privo di un accento ansioso, già segno della consapevolezza che ogni reazione sarà solo un evento parziale in un’interazione più ampia che nessuno può dominare"19.
NOTE
1 Per approfondimenti sul tema cfr. A.M. Duguet, Installazioni video e interattive. Definizioni e condizioni di esistenza, in Valentina Valentini (a cura di), Visibilità Zero, Graffiti, Roma, 1997; A.M. Duguet, Dispositivi, in A. Amaducci e P. Gobetti (a cura di), Video Imago, n. speciale de "Il nuovo spettatore", anno XIII, n. 15, Franco Angeli, Milano, 1993; S. Cargioli, Sensi che vedono, Nistri-Lischi, Pisa, 2002; P.L. Capucci, Arte e tecnologie, Edizioni dell’ortica, Bologna, 1996; V. Valentini, Conservare l’inconservabile. Il ruolo dello spettatore nelle installazioni multimedia, in V. Valentini, Dirottamenti, Progetto giovani, Comune di Milano, Milano, 1997.
2 P. Rosa, intervento intitolato L’opera fuori di sé - l’estetica della interazione, presentato al workshop Percezione e Rappresentazione fra Arte e Scienza,
tenutosi a Pisa presso la Scuola Normale Superiore (Pisa, 12-13 giugno 2003). Cfr. anche F. Cirifino, P. Rosa, S. Roveda, L. Sangiorgi (a cura di), Studio Azzurro. Ambienti sensibili. Esperienze tra interattività e narrazione, catalogo della mostra, Electa, Milano, 1999; P. Rosa, Tra azione e contemplazione, in S. Lischi (a cura di), Le forme dello sguardo. Video d’arte e ricerca, Charta, Milano, 1997; P. Rosa, Immagini sensibili (dal villaggio globale all’uomo totale?), in D. De Gaetano (a cura di), Mutazioni elettroniche. Le immagini di Studio Azzurro, Lindau, Torino, 1995.
3 J.J. Wunenburger, Philosophie des images, Universitaires de France, Paris, 1977 (tr. it. S. Arecco, Filosofia delle immagini, Torino, Einaudi, 1999),
p. 20.
4 P. Rosa, workshop cit.; P. Rosa, intervento durante il dibattito sull’interattività Arte, tecnologia e interattività, Spazio Oberdan 14 gennaio 2003, Milano, in occasione della mostra Techne 02. Tra arte e tecnologia. Viaggio nel mondo dell’interattività, Spazio Oberdan 30 ottobre 2002 - 2 febbraio 2003, Milano.
5 "Le installazioni […] Non hanno un solo modo di esistenza ma almeno due. In effetti quello che un collezionista acquista è un argomento, una descrizione tecnica, a volte delle immagini, degli elementi, un materiale, ma si tratta in realtà innanzitutto di un insieme di istruzioni e di un diritto di esposizione. A questo stadio si può dire che l’opera è compatibile con una partitura musicale o un progetto architettonico". A.M. Duguet, Installazioni video e interattive… cit., p. 13.
6 C. Metz, Essais sur la signification au cinéma, Klincksieck, Paris, 1968 (tr. it. di A. Aprà e F. Ferrini, Semiologia del cinema, Garzanti, Milano, 1972), p. 47.
7 G. Genette, Figure III, Paris, Seuil, 1972 (tr. it. di L. Zecchi, Figure III. Discorso del racconto, Torino, Einaudi, 1976), p. 59.
8 A seguire saranno prese in considerazione le installazioni allestite in occasione di Mediamorfosi ’98, e in mostra per un tempo prolungato, dal 15 al 30 ottobre 1998 (nel caso di R. Cahen, dal 27 ottobre al 10 novembre 1998). Il Soffio sull’angelo di Studio Azzurro, pur non essendo stata esposta durante Mediamorfosi ’98, ma l’anno prima, è oggetto di questo testo perché è stata, assieme al saggio di P. Rosa Rapporto confidenziale su un’esperienza interattiva, motivo propulsore del convegno Arte tra azione e contemplazione. Cfr. in proposito l’introduzione di S. Vassallo, p. 14.
9 Adesso sede universitaria: Il Soffio sull’angelo di Studio Azzurro è stata presentata a Pisa, dall’Associazione culturale L’Occhio, nel 1997, ed allestita presso il Polo Didattico Fibonacci, sede dei Dipartimenti Scientifici dell’Università degli Studi di Pisa. Per una descrizione più dettagliata cfr. Studio Azzurro, Il Soffio sull’angelo, primo naufragio del pensiero, in S. Vassallo (a cura di), Studio Azzurro. Il Soffio sull’angelo, catalogo della mostra, Associazione Culturale L’Occhio, Pisa, 1997, p. 6; si rimanda inoltre al saggio di S. Bordini, presente in questo volume a p. 47.
10 Il Soffio sull’angelo è stata allestita in modo diverso a: Roma, Ambienti sensibili, Palazzo delle Esposizioni, 1999; New York, Aristocratic Artisans, Ace Gallery, 2000; Ferrara, L’arte elettronica. Metamorfosi e metafore, Palazzo dei Diamanti, 2001.
11 "Sono sottoposti ad una continua e lenta trasformazione: ruotano si allungano e allargano […] con una lentezza ossessiva" Studio Azzurro, Il Soffio sull’angelo, in S. Vassallo (a cura di), op. cit., p. 6.
12 S. Lischi, Atterrare stanca, in S. Vassallo (a cura di), op. cit., p. 16.
13 R. Cahen, Suaire, 1997, video installazione, video, B/N. Produzione: Agence culturelle d’Alsace/Departement audiovisuel (Sélestat), in collaborazione con Saint Gervais Genève Images. Suaire è stata presentata a Pisa, dall’Associazione culturale Ondavideo (Pisa), in prima italiana ed è stata visibile dal 27 ottobre al 10 novembre 1998 all’Abbazia di San Zeno. "Suaire (Sudario) si basa sulla doppia proiezione di immagini labili e incerte (dei volti umani) su un telo bianco di seta sospeso a mezz’aria e leggermente fluttuante. L’ambiente è semibuio e silenzioso, e il visitatore cammina su uno strato di ghiaia. Le immagini e le sparizioni lente dei volti creano uno stato di sospensione contemplativa e inquietante, accresciuto dal rumore cadenzato dei passi sulla ghiaia". S. Lischi, scheda di presentazione dell’opera distribuita durante il periodo espositivo.
14 Robert Cahen s’installe, FRAC Alsace à Sélestat, 23 novembre 1997 – 26 aprile 1998.
15 General Intellect, P. Gilardi in collaborazione con E. Bertrand, 1997, installazione interattiva, sonoro e realtà virtuale. Supervisione alla produzione: Ines Rossi.
General Intellect è stata presentata a Pisa dal 15 al 30 ottobre 1998, in uno spazio della Corte San Domenico. La mostra è stata curata da I. Mariotti e S. Vassallo (Associazione Culturale L’Occhio). "Il pubblico trova all’esterno della installazione sei postazioni sonore […]. Ogni partecipante è invitato a selezionare e scegliere uno dei 6 suoni […] [corrispondenti a] sei diverse culture etniche: africana, araba, indocinese, latino americana, slava ed europea. […] I partecipanti possono identificare la propria posizione nel paesaggio virtuale individuando il proprio cursore. […] I cursori, toccando determinati punti della spianata virtuale, producono la nascita di edifici la cui architettura corrisponde alla cultura etnica di cui ogni partecipante è portatore. […] Dopo 2 minuti di questo gioco collettivo di costruzione, il paesaggio virtuale appare costituito da un quartiere multietnico. I partecipanti possono allora iniziare la fase di ibridazione degli edifici. […] L’esplorazione-ibridazione del quartiere multietnico si conclude con un evento predeterminato. […] In quest’ultima fase l’interazione si sposta dallo spazio virtuale all’ambiente fisico dell’installazione. […] I partecipanti, muovendosi nello spazio buio, intersecano casualmente dei punti di rilevamento provocando in quel punto il seguente evento: l’accensione di un raggio di luce colorata sul proprio corpo e l’emissione di una musica vocale molto intensa, corrispondente a una delle sei culture etniche in gioco". Descrizione di General Intellect contenuta nella cartella stampa, a cura dell’Associazione Culturale L’Occhio, presentata in occasione di Mediamorfosi ’98. Il tra parentesi è mio.
16Ibidem.
17 G. Perretta, Piero Gilardi. Dalle macchine del futuro alla drammaturgia virtuale del dolore, in G. Perretta (a cura di), Techne 02. Tra arte e tecnologia. Viaggio nel mondo dell’interattività, A+G Edizioni, Milano, 2002, p. 25.
18 Cartella stampa a cura dell’Associazione Culturale L’Occhio, Mediamorfosi ’98… cit.
19 Le opere di T. Oursler qui citate sono state presentate dalla Fondazione Teseco per l’Arte ed esposte, presso la propria sede di via Sant’Andrea, 50 (Pisa), dal 15 al 30 ottobre 1998. "Messa in scena in maniera violenta, frammentata o ridotta allo stato di fantoccio, la figura umana è catturata in tutta la sua fragilità, si dibatte in un’atmosfera di catastrofe e dissoluzione. Anche in quest’occasione si vedono opere realizzate proiettando immagini a cristalli liquidi di corpi, bocche e teste parlanti, su pupazzi e bambole di stoffa ambientati in situazioni domestiche. Ne risultano così figure e frammenti di figure che si lamentano, piangono, ripetono mormorii convulsivi, che tremano incessantemente senza riposo, indifferenti all’assenza o alla presenza di chiunque". R. Selvaggio, in scheda di presentazione della mostra distribuita durante il periodo espositivo.
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