|
ateatro 32.8 All'inizio era la TV Françoise Parfait, Vidéo: un art contemporain, ed. Regard. di Anna Maria Monteverdi Una storia della videoarte raccontata attraverso gli autori storici (Paik, Vostell, Vasulka, Schum, Kuntzel, Viola), quelli più giovani (Stan Douglas, Steve McQueen, James Turrel, Pierrick Sorin, Tony Oursler), movimenti (Fluxus), pratiche artistiche (happening e enviroment), ma anche attraverso quelle modalità e tecniche (installazioni, performance, ambientazioni, décollage) sperimentate per provocare o inventare un'"altra" televisione (Tv as a creative medium era il nome della storica mostra del 1963 a Wuppertal nella quale Nam June Paik presentò i famosi 13 distorted television sets). "Altra televisione", che significa anche "controinformazione" (ovvero, l'altra storia della videoarte) quella promossa dai collettivi radicali anti-establishment statunitensi e canadesi (Raindance, Global village, General Idea, Ant farm) riuniti nella rivista "Radical software". E' un fatto che la nascita del video coincida con una sentita volontà di pluralismo politico, di rivoluzionare i sistemi di informazione e i network di stato grazie alla relativa accessibilità del mezzo video e ai suoi bassi costi. Michael Shamberg che crea la prima televisione alternativa via cavo, la "TVTV", definì la televisione di guerriglia (questo è il titolo del libro da lui pubblicato nel 1971 considerato all'epoca uno dei manifesti del movimento alternativo), come "l'applicazione delle tecniche di guerriglia, di combattimento nel campo della comunicazione. La televisione di guerriglia lavora con la gente, si fa portavoce delle sue proteste e insoddisfazioni". Purtroppo lo spazio dedicato a queste esperienze di video militanza è, nel libro, decisamente sacrificato. Ne parla invece diffusamente Illuminating video. An essential guide to video art di Doug Hall e Sally Jo Fifer (nel capitolo che Deidre Boyle dedica al video documentario americano e alla storia delle "Comunity Tv" e delle "Street tv") e Simonetta Fadda, Definizione zero. Origini della videoarte tra politica e comunicazione (Costa e Nolan, 2000). Anche la Francia (maggiore territorio d'interesse di Françoise Parfait) ha il suo movimento controculturale; all'inizio degli anni Settanta si costituiscono cooperative di produzione e collettivi video-militanti (Video out e Vidéo 00) che fanno capo a cineasti come Jean-Luc Godard e Chris Marker. La guerrilla television diventa, a Parigi, la télévision sauvage. Il libro mette, inoltre, in luce la relazione (diventata "classica") - tra similitudini e differenze, citazioni e prestiti - tra video e cinema, quello sperimentale e quello delle avanguardie: Léger, Duchamp, Moholy-Nagy, Vertov e il "new american cinema": Jonas Mekas a Stan Brakhage. "Il cinema di ricerca ha previsto il video", ricordava Sandra Lischi nel suo libro Cine ma video (Pisa, Ets, 1996), "la teorizzazione della potenza dell'occhio meccanico; la saturazione del quadro con stratificazioni di immagini; la scomposizione e moltiplicazione dell'immagine o degli schermi; le astrazioni; l'applicazione di dispositivi di visione particolare alla macchina da presa; la non-narratività; il lavoro non a partire da riprese ma direttamente sul supporto; la ricerca di forme e colori non naturalistici; la sperimentazione di nuovi spazi e nuove modalità di presentazione delle opere". La specificità del medium video è rintracciata da Françoise Parfait nel tempo: "La vidéo, technique temporelle par excellence qui fait partie de la catégorie générale des Time based media, c'est-à-dire un media défini par sa spécificité temporelle, a fortement affecté notre perception du temps et donc des représentations que nous pouvions en faire. La vidéo, c'est du temps, dans sa structure meme, avant de l'etre dans ce qu'elle représente". Gli artisti, insieme ad una sommaria descrizione delle loro opere o installazioni, non vengono presentati secondo un ordine cronologico, ma inseriti all'interno di numerose griglie tematiche: - la temporalità (Bill Viola, Thierry Kuntzel, Peter Campus, Bruce Nauman); - la telesorveglianza (Martial Raysse); - l'effetto "quadro" o "mosaico" (Zbigniew Rybczynski, Peter Greenaway); - il video-specchio (Dan Graham). Per quanto riguarda le installazioni (il corpo del video) sono analizzate le diverse possibilità di relazione del "dispositivo" con l'ambiente e di interazione o di "inclusione" dello spettatore, nonché l'effetto prodotto dalla proiezione di luci e immagini nelle più svariate superfici. Una brevissima sezione è dedicata anche allo spettacolo, agli schermi in scena. Riprendendo lo schema cronologico-storico e le argomentazioni di Béatrice Picon-Vallin (Les écrans sur la scene, Lausanne, 1999) la storia del video in scena è suddivisa in tre periodi: - gli anni Venti in Germania e Russia (Mejerchol'd e Piscator); - gli anni Cinquanta a Praga (Svoboda); - gli anni Sessanta in America (Rauschenberg, Kaprow). L'esempio (ancora un "classico") usato per mostrare l'uso del video a teatro è Il mercante di Venezia di Peter Sellars (1994), in cui la storia raccontata da Shakespeare di una "consuetudine" di antisemitismo e di ingiustizia sociale nella Venezia del '500 viene trasposta ai giorni nostri: i video in scena (in realtà veri e propri televisori) mostrano lo sguardo interiore, il dettaglio, il primissimo piano dei personaggi, mentre l'ebreo Shylock si difende in tribunale davanti a un televisore in cui scorrono le immagini del pestaggio da parte di poliziotti bianchi (poi assolti dai giudici di Los Angeles) del nero Rodney King ripreso casualmente da un videoamatore. "La televisione", dice Sellars, "ha cancellato il poter emozionale degli eventi". Arricchito da numerose immagini a colori tratte dalle opere (alcune delle quali analizzate nel dettaglio) che ne fanno una sorta di fotoracconto, il libro non sembra, però, mostrare "novità" né sul piano della teoria, né sul piano dell'impostazione generale, mentre la sintesi sacrifica purtroppo autori (non viene nominato nemmeno un artista italiano), mostra clamorose lacune bibliografiche (ancora una volta a farne le spese sono i critici italiani) ed elimina argomenti (tra gli altri, il rapporto tra video e musica o tra video e suono). The Merchant of Venice by Peter Sellars at the Goodman Theater, Chicago. Photo: L.Lauren. SEGNALAZIONI
| ||||||
|