ateatro 14.3 Tre parabole atomiche Il teatro della scienza di Rossotiziano di Antonio Marfella
Il materiale che segue è la base dalla quale abbiamo tratto le solite
chiacchiere che si stampano nei programmi di sala. Tuttavia queste sono
le premesse dell'intero progetto sulla scienza, e sono state scritte molto
prima che il progetto, nel suo insieme, prendesse, concretamente forma,
e assumesse la sua peculiare fisionomia teatrale.
Quello
di rileggere le premesse di un progetto quando questo è ormai già
realizzato è un mio vezzo.
Mi
diverte confrontarle con i risultati ottenuti, e sono soddisfatto quando
questi non le smentiscono.
Un
buon giocatore di biliardo, prima di piazzare il colpo, dichiara l'obiettivo.
E' questione d'onestà.
Certo
a volte capita che il percorso che si inizia a partire dalle premesse ti
porta a scoperte e risultati che neppure si immaginavano, e che questi
risultati si discostino dalle premesse stesse... non importa: solo se le
premesse sono chiare è possibile capire come e quanto ci si è
allontanati, e valutare i risultati ottenuti. Insomma, eccoti le premesse,
i risultati li hai visti, dunque valuta tu.
IL
TEATRO DELLA SCIENZA
la
parabola atomica
IL TEATRO DELLA
SCIENZA - la parabola atomica è un "programma" teatrale che
si articola in tre distinti progetti, ognuno dei quali è frutto
di un autonomo percorso di ricerca che si manifesta nella realizzazione
di un evento spettacolare. La giustapposizione di tali eventi fornisce
un quadro d'insieme complesso e variegato che conserva, come nota dominante,
l'argomento scienza, in particolare la fisica atomica.
Rivivendo l'esemplare
tragitto esistenziale del fisico catanese Ettore Majorana; ripercorrendo
l'incalzare degli eventi che hanno portato all'ecatombe di Hiroshima; osservando
la dolorosa parabola di Julius Robert Oppenheimer, il padre della bomba
atomica, abbiamo acquisito la consapevolezza di qualcosa che noi - inguaribili
umanisti - non riuscivamo a comprendere, non potevamo ammettere: i fisici
atomici con le loro scoperte, le loro invenzioni, hanno influito, non solo
sul nostro secolo, ma sulla nostra stessa vita quotidiana, più di
quanto riusciamo a immaginare e, forse, molto di più di quanto abbiano
potuto influenzarci forme o correnti artistico-letterarie.
Ma sono così
diversi gli scienziati geniali e i grandi artisti?
O non sono piuttosto
uniti dal fatto di possedere la capacità di mostrarci la vera essenza
della natura e dell'uomo, mettendo, di volta in volta, in crisi prospettive
e verità che consideravamo acquisite?
Dunque, se arte e
scienza non sono così lontane come sembrano, il teatro può
rappresentare il ponte dove possono incontrarsi e dove si possa finalmente
imparare che il mondo della scienza non è qualcosa di astruso, astratto,
lontano ma qualcosa di essenziale, concreto, che ci appartiene.
D'altra parte Majorana
potrebbe benissimo essere un personaggio uscito dalla penna di Pirandello;
la storia della bomba atomica è degna di un'epopea brechtiana e
Oppenheimer potrebbe a giusto titolo entrare nella schiera degli eroi che
funestano la Tragedia Greca, e questo è per noi teatranti uno stimolo
già sufficiente per affrontare quegli argomenti scientifici che,
di norma, salvo rare eccezioni, sono lontani dalle tavole del palcoscenico.
Con VARIAZIONI
MAJORANA si racconta la storia di chi, oppresso dal proprio "genio",
avverte un senso di distruzione al quale tenta disperatamente di sottrarsi,
finendo col sottrarre se stesso al mondo.
Nel breve volgere
di una giornata si consuma il mistero della scomparsa di Ettore Majorana.
Nonostante la lettera del 26 marzo: " (...) Il mare mi ha rifiutato e ritornerò
domani a Napoli. (...) Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli.
Aff.mo E. Majorana.", che smentisce i propositi di suicidio manifestati
in una lettera del giorno precedente, il fisico catanese non farà
più ritorno, né il suo corpo verrà mai ritrovato.
Basta questo per far avanzare ipotesi che vanno ben al di là di
un "normale" suicidio. C'è chi sostiene che Majorana abbia organizzato
fin nei minimi dettagli la sua scomparsa dal mondo. Perché? Per
sottrarsi a cosa? un fatto è certo: Ettore Majorana era un genio
assoluto della fisica moderna, come non esitava a definirlo lo stesso Enrico
Fermi, col quale ebbe una conflittuale collaborazione all'interno del gruppo
di via Panisperna. Ma era un genio atipico, si poneva ai margini. Odiava
congressi e conferenze, non diffondeva e non pubblicava le sue teorie spesso
illuminanti e anticipatrici. In che misura questa genialità ha influito
sulla sua scomparsa, autentico suicidio o finzione che sia? Difficile stabilirlo.
Nella cassaforte dei ricordi si alternano, con dinamiche di atemporalità
onirica, diverse vicende. Soprattutto il soggiorno in Germania, le frequentazioni
avute con il gotha della fisica mondiale, l'ultimo periodo a Napoli. Rifiuto
e scomparsa. Incapacità di adattarsi. Impossibilità di una
redenzione. Coscienza del singolo e occulti meccanismi del potere. Responsabilità
individuale e decorso della Storia. Non un resoconto biografico. Piuttosto
un tragitto esistenziale complesso, sorretto da una ironia spesso crudele
e tragicomica, che conduce Majorana sulla soglia del non ritorno. Uno spettacolo
dove realtà storica e fantasia si mescolano fino a confondersi,
nella speranza di tessere un racconto il più possibile originale
e autentico.
Con GLI APPRENDISTI
STREGONI di come un pugno di pacifisti diede il via alla costruzione
della bomba atomica si racconta, invece, attraverso un teatro di narrazione,
la storia delle più grandi menti del nostro secolo. Il tempo delle
grandi scoperte scientifiche e dei padri del nucleare, da Curie a Fermi,
da Bohr ad Heisenberg, da Rutherford a Szilard, da Oppenheimer a Teller.
Mezzo secolo di ricerche nel mondo dell'infinitamente piccolo che hanno
messo davanti agli occhi dell'umanità le sconvolgenti possibilità
di applicazione del nuovo simbolo della scienza: l'atomo. I nostri protagonisti,
infatti con i loro studi e i loro esperimenti hanno sì svelato i
segreti più intimi della materia, ma legandosi a doppio filo alla
politica e alle sue esigenze non ne hanno saputo controllare le enormi
valenze distruttive, emergendo così come i principali responsabili
di una delle pagine più tristi della nostra storia: il lancio della
bomba atomica su Hiroshima. Ma l'aspetto paradossale sta nel fatto che
si costruì la bomba esclusivamente per "scopi di pace" e che a lanciarla
fu proprio la più grande democrazia libertaria, gli Stati Uniti
d'America, provocando così un disastro di dimensioni colossali che
superò di gran lunga il folle disegno criminoso di Hitler.
L'AMERICA contro
JULIUS ROBERT OPPENHEIMER: Julius Robert Oppenheimer fu salutato nel
1945 come il "padre della bomba atomica", titolo semplificativo ma quanto
mai meritato se, unanimemente, tutti coloro che parteciparono, a vario
titolo, alla costruzione della bomba, furono concordi nel sostenere che
senza il "sacro zelo" di Oppie, la bomba non sarebbe mai stata realizzata.
Bambino prodigio,
ancora dodicenne, confessò al suo maestro di scuola di sentirsi
"...l'uomo più solo della terra..."; ventotto anni dopo tradì
il suo migliore amico nell'ansia di dimostrare la sua totale dedizione
al piano di costruzione della bomba atomica: il "Progetto Manhattan". Dopo
l'esplosione sperimentale di Alamogordo, che attestava che la bomba era
riuscita, "camminava come Gary Cooper in Mezzogiorno di fuoco" e
dopo l'ecatombe di Hiroshima non esitò, in pubblico, ad alzare le
mani intrecciate nel classico gesto di autocongratulazione di chi ha vinto
un premio. Era amatissimo. Il simbolo della vittoria americana. Ottenne
riconoscimenti d'ogni sorta e acquisì la carica di presidente del
comitato consultivo per l'energia atomica.
Ma quando ottenne
questa carica era già profondamente mutato. Dilaniato da sensi di
colpa e crisi di coscienza si sentiva direttamente responsabile della terrificante
spirale di morte innestata dal lancio della bomba atomica. La sua angoscia
era tale che lo spinse a mostrare il palmo delle mani al presidente Truman
dicendogli: "...Signor presidente, c'è sangue sulle mie mani". Profondamente
depresso, perse per sempre il suo "sacro zelo" e quando capì che
il comitato che presiedeva aveva il "solo compito di fornire armi atomiche"
al governo americano, cominciò a vagheggiare di adoperarsi per un
controllo internazionale sulla produzione di armamenti, per ostacolare
quel crescendo che presto avrebbe trascinato il mondo nell'angoscia della
guerra fredda. Rifiutò, perciò, di aderire al progetto della
"super bomba" - la bomba all'idrogeno, molto più potente dell'atomica
- e divenne ben presto inviso agli ambienti scientifici, politici e militari
che sostenevano tale progetto.
Quando gli Stati
Uniti subirono lo shock dei progressi sovietici in campo atomico Oppenheimer
fu impietosamente accusato del ritardo americano. La commissione per l'energia
atomica decise di ritirargli la fiducia, ma quello che doveva essere un
comune procedimento amministrativo contro un pubblico funzionario, si trasformò
immediatamente, in pieno "maccartismo", in un accanito processo contro
quello che era ormai considerato un traditore della patria. Le accuse formali
ai danni di Oppenheimer riguardavano la sua passata appartenenza a movimenti
comunisti e nascondevano la convinzione che avesse sottilmente frenato
e sabotato il programma per la "super bomba", consentendo così il
sorpasso sovietico in campo atomico. L'isteria "maccartista" aveva trovato
in Oppenheimer il suo "capro espiatorio", distruggendo la vita pubblica
e privata dell'uomo che, appena sette anni prima, era stato acclamato come
un eroe.
Basato su verbali
d'inchiesta e materiali giornalistici L'AMERICA contro JULIUS ROBERT
OPPENHEIMER - è un excursus teatrale di quel "processo". Fra
azione e narrazione l'incredibile parabola di un eroe nazionale ridotto
dall'isteria maccartista a traditore della patria.
Ogni
esperienza porta con sé la speranza (o l'illusione) di aver imparato
qualcosa, ma cosa si sia effettivamente imparato è difficile valutare.
In
questi anni in cui abbiamo avuto a che fare con grandi temi, grandi scienziati
e con l'obiettivo di tradurre tutto ciò in "teatro", abbiamo sempre
lottato contro una tremenda sensazione di inadeguatezza: troppo sfuggente
Majorana per poterlo raccontare; troppo complessa la storia della bomba
atomica per poterla degnamente restituire; troppo giovani per poter rappresentare
Oppenheimer... insomma un casino.
Ci
siamo disperatamente aggrappati all'idea di partenza, abbiamo ostinatamente
creduto che le storie che volevamo raccontare dovevano essere raccontate,
non importa come...Forse
abbiamo imparato che quando ci si affeziona a delle storie (non importa
quanto grandi, difficili o complicate) bisogna raccontarle, anche se, inizialmente,
non ci si sente all'altezza; i limiti strutturali, espressivi, economici
contribuiscono a creare il canone, la forma attraverso la quale queste
vengono raccontate.
Perché
poi ci si affezioni a delle storie piuttosto che ad altre, quello poi è
un mistero.
Quando
abbiamo deciso di fare Oppenheimer i nostri limiti di budget erano
molto severi: potevamo permetterci soltanto quattro attori, a fronte di
almeno otto personaggi; altrettanto severi erano i nostri limiti espressivi:
avevamo, mediamente, trentun anni e tutti i personaggi erano fra i cinquanta
e i sessant'anni. La scelta dell'excursus a metà fra azione e narrazione
è stata la (sofferta ) soluzione formale capace di contenere i nostri
limiti, altrimenti paralizzanti.
La
forma non è particolarmente originale, per carità!, nulla
di nuovo sotto il cielo... ma nella nostra trilogia questo è stato
il criterio di lavoro.
Criterio
che, per ora, ci ha tenuto lontano da compiaciuti esercizi di formalismo
e astruse scelte "misticheggianti", pur esponendoci al rischio di fare
spettacoli magari troppo didascalici.
L'esperienza
del Teatro della Scienza si è conclusa, non sappiamo ancora se i
progetti futuri possano contenere degli elementi di continuità rispetto
a questa trilogia, è ancora troppo presto per poterlo valutare.
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