ateatro 39.11
 
Resistance: "Dentro l'oscuro problema, una speranza brillante"
La Resistenza: esempio storico, modello attuale
di Lorena Cristini
 
"…Vanno a fatica contro i venti freddi,
i senza patria, …
cercando una terra di pace,
senza il tuono, senza l'incendio…"1
(1942) B. Brecht
 
Rocchetta Ligure, un piccolo villaggio attraversato dal torrente Borbera che dà il nome alla sua valle è il piccolo paese che ospita la sede europea del Living Theatre. E' proprio questa una delle zone implicate nel movimento della Resistenza e che ora rappresenta il principale spunto storico dell'ultimo lavoro teatrale del Living Theatre, Resistance2.
Come spiega l'ex partigiano Giambattista Lazagna, nel 1944 le forze partigiane estesero il loro territorio di combattimento da Genova in tutte le valli dell'alessandrino, e "la Val Borbera, formata com'era da una gola incassata tra due monti dirupati"3, costituiva un luogo di rifugio per chi aveva ideologie diverse da quella nazi-fascista, o per chi aveva disertato il servizio nell'esercito o abbandonava il potere fascista per passare dalla parte dei ribelli4.
Il gruppo del Living raccoglie documenti storici, libri scritti da ex partigiani, testimonianze degli abitanti dei villaggi e filmati, portando sulla scena un momento della storia molto contraddittorio: terribile e violento, ma spinto da profondi valori di unità e libertà. Una fonte molto importante per il gruppo, oltre ai vari racconti degli abitanti di Rocchetta Ligure, è costituita dall'esperienza di Giambattista Lazagna, il quale ventiduenne e a soli sei mesi dalla liberazione d'Italia, scrive di getto il suo libro, Ponte Rotto, giunto attualmente alla settima edizione. Ora, dopo oltre cinquant'anni l'autore intende affidare al suo libro e a Resistance del Living Theatre un'importante funzione: quella di ricordare, capire e assegnare nuovi valori e reali funzioni alla Resistenza di oggi, che può trovare la sua forza guardando al grande esempio di chi si è opposto al potere assolutista.
Negli scritti e nelle testimonianze dei partigiani viene costantemente sottolineata l'importanza di valori condivisi da tutti i combattenti: l'unità, la solidarietà e l'onestà tra i compagni, come testimoniano le parole di Lazagna:
 
La vita in comune, lo stesso desiderio di lotta, le fatiche, i pericoli vissuti insieme cementarono una unione ed una compattezza tra noi che ci permise di affrontare le situazioni e le prove sempre più difficili […] e ci consentì di educare con quello stesso spirito le migliaia di giovani che vennero gradualmente ad ingrossare le nostre file.5
 
Ciò che colpisce è dunque il fatto che lo spirito di comunità e di unione tra i partigiani ha costituito per "chi è venuto dopo" un modello su cui basare il proprio comportamento. Ma ai giorni nostri, come rendere vivo e valido l'esempio dei partigiani? Come rivivere e comprendere l'esperienza della Resistenza alla luce dei problemi e dei bisogni di oggi, si chiede il Living? Il gruppo intende recuperare non solo i valori politici della Resistenza, ma anche quelli morali; "quando siamo arrivati a Rocchetta Ligure", spiega Judith Malina, "abbiamo iniziato ad instaurare un rapporto di dialogo con gli abitanti, in gran parte anziani, e ci siamo accorti che ricordavano molto bene di quando la vita per loro aveva un senso, era bruciante. Abbiamo capito che essi hanno lottato, un tempo, per la vita che ora hanno, ma che ancora non li soddisfa, perché i valori sono assopiti, si sono addormentati sotto la calda coperta della vecchiaia".
Resistance
nasce dalla necessità di risvegliare quegli ideali così vivi un tempo e così necessari oggi per opporsi contro i nemici e gli invasori dei giorni nostri: l'abuso di potere, lo sfruttamento dei paesi poveri, la violenza. Il concetto di "resistenza", inoltre, ha da sempre significati cruciali per il Living Theatre: prima di tutto viene inteso come impegno a rimanere uniti e ad affrontare con il gruppo le difficoltà del vivere e del lavorare collettivamente, inoltre in esso è insita la duplice lotta: la ricerca teatrale e politica.

"Nel tempo che resta continuo a cercare le memorie del mondo.
Nel tempo che resta cercherò di costruire la pace."6

Una pace che secondo il Living Theatre può essere raggiunta solo attraverso la lotta non violenta, posta quindi in contrapposizione alla resistenza armata. "Abbiamo sempre espresso la nostra ferma posizione contro le forze violente", spiega Judith Malina, "e vogliamo mostrare che è possibile opporre un modo alternativo a quello di combattere con le armi. E' difficilissimo." Il Living Theatre, in particolare, prende come esperienza esemplare quella della Resistenza non armata, condotta dalle donne, dai sabotatori, da chi diffondeva le notizie, intendendo così mostrare che alla violenza, all'aggressione di chi detiene il potere non può essere contrapposta altra violenza. Il seguente brano di Julian Beck esprime, forse, al meglio l'assurdità del concetto di violenza insito nella cultura dell'uomo:
 
"La vita è immaginata come un campo di battaglia, e per buone ragioni, ma questa idea ci riduce in schiavitù, e diventiamo tutti soldati, coscritti, pronti anche noi a uccidere o ad essere uccisi. […] Il problema è riuscire a considerare ciò come un'idea, una chimera che ha occupato l'immaginazione e si è infiltrata attraverso i canali della cultura fino a una mentalità segnata-da-paura, il problema è non accettare questa iniezione demoniaca come un assioma."7
 
Visioni e rumori di guerra per un teatro della memoria.
Frankenstein
e Angelus Novus: figure in lotta con il Tempo.

 
"L'accavallarsi delle immagini e dei movimenti condurrà,
mediante collusioni d'oggetti, silenzi, grida e ritmi, alla creazione di un autentico linguaggio fisico fondato sui segni e non più sulle parole."8
A. Artaud

Lo spettatore giunto nel luogo destinato allo spettacolo, il chiostro della biblioteca comunale di Novi Ligure, cerca un posto a sedere tra le sedie che formano una cornice intorno allo spazio scenico. Tra pochi minuti le voci e i rumori degli attori lo indurranno a compiere un salto nella storia del 1943, dove gruppi di partigiani lo circondano, scappano, si nascondono, vegliano, difendono il loro territorio. Ed è il dipinto dell'Angelus Novus9 di Paul Klee che suggerisce al Living Theatre lo spunto per l'incipit di Resistance. In esso è raffigurato un angelo, il cui sguardo, posizione del corpo e delle ali sembrano voler mostrare un'imminente fuga da qualcosa di spaventoso. Il suo viso, secondo l'interpretazione di Walter Benjamin10, è rivolto verso il passato, nel quale egli vede una lunga, indivisibile catena di mali, una catastrofe. Forse egli vorrebbe fermarsi, chiudere gli occhi o rimediare agli errori, invece è condannato a procedere vorticosamente verso il futuro da una tempesta. L'Angelus Novus arriva allo spettatore portandosi appresso tutte le disgrazie del passato costruendo quindi, un presente di macerie; si crea così un'analogia con il mostro di Frankenstein11 creato con cadaveri di impiccati, prostitute e ladri, ovvero da ciò che costituisce la storia della società stessa. La creatura di Frankenstein e l'immagine dell'Angelus Novus possono essere accostate in quanto entrambe rendono presente, pulsante ciò che per l'uomo è vergogna, ciò che vorrebbe seppellire. Esse rappresentano il risultato della storia e mostrando all'uomo il suo passato, gli svelano la sostanza di cui egli stesso è fatto.
Tuttavia, la tempesta che sospinge l'angelo, sebbene non possa far disperdere le rovine accumulate, può rendere l'uomo più consapevole e stimolarlo a migliorare il suo tempo; come sostiene Anna Maria Monteverdi, lo sviluppo del mostro di Frankenstein e, per analogia quello dell'Angelus Novus, "corrisponde al passaggio nodale della tragedia greca dal non conoscere al conoscere, attuato secondo il principio eschileo del pathei mathos: attraverso la sofferenza, la conoscenza"12.
Lo spettacolo ha inizio: sospiri, ansimi, grida, spari emessi dagli attori nascosti nei quattro angoli fuori dalla scena. Un senso di inquietudine, di pericolo imminente, un'atmosfera di attesa assalgono lo spettatore. Sono le stesse sensazioni che abitualmente provava dentro di sé la sentinella partigiana, quando con gli occhi sgranati nella notte fonda, vegliava sui compagni partigiani del casolare di montagna. "Un fruscio negli sterpi del bosco mi faceva voltare", ricorda nel suo libro Lazagna, "fissavo nell'ombra immobile, poi continuavo il mio giro senza far rumore. [...] La nebbia frattanto ci aveva sepolti […]Mi misi in ascolto, pieno di freddo, con l'arma in mano, cercando di sentire e discrutare."13
Tra sibili e fruscii prodotti da loro stessi, gli attori provenienti dai quattro angoli, arretrano lentamente: l'Angelus Novus trova respiro nel corpo degli attori e sta per giungere lentamente di fronte allo spettatore. Le braccia sono aperte e si muovono come ali, la lenta e ampia gestualità crea la corrispondenza tra il movimento del corpo che arretra e il processo mentale del ricordo. Gli attori arrivano al centro della scena. Essa diviene, diviene dunque il luogo in cui si rende possibile la "presenza del passato", che "è ben consapevole di essere passato, ma rinnega questa sua condizione": nel luogo teatrale Chronos, il Tempo, e Mnemosyne, la Memoria, perenni antagonisti, rinsaldano il loro legame fraterno accettando l'innegabile: "il Tempo cesserebbe di essere percepito senza la misura della Memoria che segna il suo scorrere; la Memoria, senza lo scorrere del Tempo, perderebbe la sua identità."14 Ed è proprio su di essa che ora gli attori-Angelus Novus, arretrando, hanno gli occhi: essi riconoscono l'unione tra Chronos e Mnemosine come inscindibile creando un teatro di "memoria vissuta", un passato che diviene esperienza sulla scena. Tale luogo si sviluppa dalla sensibilità intuitiva di ognuno; trasformare il suono, il colore, l'odore in immagine mentale. Non c'è bisogno di una scenografia tangibile; ciò che si delinea nella mente dello spettatore è molto più incisivo. E' ancora attuale, quindi il principio di Julian Beck, secondo il quale
 
"Se la scenografia non può dire allo spettatore qualcosa che la scena nuda può dir meglio, non farla: l'ornamento superfluo distoglie la concentrazione dal centro… Affascinare mille occhi con il mistero della vista e dei sensi."15

Tradurre il concetto in gesto, l'idea e l'intenzione in azione teatrale è una scelta costante del Living Theatre, la volontà di superare i limiti della comunicazione convenzionale e della tradizione. Un teatro che "si diriga verso la creazione di condizioni in cui il pubblico", e gli attori possano "sentire fisicamente loro stessi, esaminare il loro essere… il corpo sacro,"17 E tale linguaggio ha costituito per il gruppo l'insieme di mezzi espressivi volti a sperimentare i modi della comunicazione e, secondo le convinzioni di Artaud, a "trattare temi e soggetti che corrispondano all'agitazione e all'inquietudine tipiche della nostra epoca […] Dunque, i grandi sconvolgimenti sociali, i conflitti tra i popoli e tra le razze, le forze naturali […] si manifestano nei movimenti e nei gesti di personaggi"18. Il Living Theatre non vuole incorniciare il gesto in una sterile rappresentazione: esso, come scrive Mastropasqua non deve “essere nuovamente confermato, ma messo sotto giudizio, compiuto per essere negato”19: il dolore umano, il male vissuto nella guerra sono soltanto il punto di partenza di una lunga strada che deve portare, attraverso il teatro, alla rimozione di tale gesto assassino. Proveniente da un passato storico, il mito del partigiano resistente, viola le leggi del tempo e dello spazio, ritrova forza e vita nel presente, osa rinnegare e reinventare il suo gesto assumendosi ora il compito di guidare lo sguardo dello spettatore al di là dell’orizzonte, proprio come avveniva nel teatro greco quando teatro significava spingere il proprio sguardo varcando il limite concesso alla vista , “guardare le cose che ci stanno attorno con occhi più penetranti, guardando davanti a noi, oltre.”20

Il campo di battaglia di Resistance
Fughe, inseguimenti, ingranaggi di corpi: una scenografia di uomini


Judith Malina dà inizio alla seconda scena. Seduta ad un lato della scena, vestita di nero con un grande grembiule che le copre le gambe e una pentola piena di castagne sulle ginocchia, proclama: "Sono immagini di un incubo distante"21. Sono quindi i ricordi che affiorano dai racconti degli abitanti anziani di Rocchetta e dai libri, il cui terrore viene rappresentato in scena attraverso una serie di tableau vivants, quadri viventi (solo però, per quanto riguarda la brevità dell'azione e l'immediatezza dell'immagine, invece il gioco di luce tipico dei tableau vivants qui è assente), nei quali un attore schiaccia con lo stivale la testa ad un altro, un ribelle viene ucciso, una donna viene capovolta (allusione alla violenza carnale), un'altra è fucilata, un soldato è preparato per la sepoltura.
Lo spettatore ora si è reso conto di trovarsi "in tempo di guerra"; nel bosco, nella trincea, sulla cresta della montagna. La paura e il senso del pericolo si sostituiscono alla sensazione di smarrimento. Ma il ritmo si spezza: improvvisamente gli attori corrono disordinati e ansiosi dopo che la voce di Judith Malina ha annunciato l'inizio della terza scena: "1943: dopo l'armistizio, la confusione". Qualcuno bisbiglia ansiosamente: "I tedeschi… i tedeschi…", gli attori-partigiani vagano fino a quando uno di loro riporta l'ordine gridando: "Popolo d'Italia". Obbedienti a questo comando si dispongono con disciplina e rigidità su due file. "Scena quarta: il fascismo strizza l'Italia" scandisce Judith Malina. Il ritmo si fa incalzante: gli attori, che ora divengono esponenti del movimento futurista, gridano ed esaltano il gesto aggressivo: lo schiaffo e il pugno; elogiano la velocità e la lotta, il pericolo e la guerra, la violenza, pronunciando solenni alcuni punti del Manifesto del Futurismo di Marinetti.22 Allo stesso tempo realizzano con i loro corpi una struttura al centro della scena: due uomini a terra in posizione equina, una donna sale su di loro mettendo un piede sulla schiena di un attore e l'altro su quella del ragazzo vicino. Dà così inizio all'intreccio di corpi umani esaltando la guerra intesa come igiene del mondo, seguita dagli altri che, passando sotto le sue gambe formano un varco, una soglia e si posizionano ai lati. "Non v'è più bellezza che nella lotta!"- urlano, "canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche!"23
La realizzazione di ingranaggi di corpi, di momenti in cui gruppi di attori vengono posti uno di fronte all'altro rappresentando così lo scontro, o di attimi in cui colui che si oppone è in un angolo e tutto il gruppo al lato opposto sono strutture che fanno parte del repertorio visivo del Living Theatre. Rivedendo l'impianto coreografico di Antigone24, possiamo osservare che gli attori seguono una struttura scenica ben definita, atta "a tradurre il testo in una vera e propria partitura fisica e gestuale"25, in cui la struttura di uomini tesse la trama tematica e scenografica, esprimendo la convinzione secondo la quale l'uomo deve essere impavidamente signore dello spazio che occupa e di ciò che sta per creare insieme agli altri.
Ora anche in Resistenza "la massa appare compatta e indistruttibile"26, ma terminato l'elogio al futurismo, l'ingranaggio dei corpi si scompone per procedere in senso circolare con movimenti che si associano facilmente a quelli di meccanismi meccanici: braccia e gambe ruotano in modo simultaneo e rigido. Ma un "No" limpido, urlato verso il pubblico rompe l'ingranaggio umano: dal gruppo dei futuristi un attore avanza da solo più veloce degli altri allontanandosi fino all'angolo. Il "No" del primo resistente è l'espressione del pensiero che fino a quel momento era stato represso dal potere assoluto: egli ha tracciato il suo limite, oltre il quale non può più accettare alcun compromesso. Il suo rifiuto può essere paragonato al duplice "No" di Antigone: no alla vita se non è libera, no alla morte se non è preceduta da ideali e valori. Ancora torna valido un passo della descrizione dell'Antigone del Living compiuta da Mastropasqua:

"Per un momento si determina tra loro una rottura, quando il gruppo è spostato sulla sinistra del palco e un attore isolato occupa la parte destra […]un dissidente si è separato dal gruppo"27

Figurazioni umane, vere e proprie costellazioni28 pongono come oggetto di ricerca la relazione diretta tra corpo, gesto e gli altri elementi costitutivi del teatro: suono, parola, luce; un corpo collettivo, dunque, nel quale concorrono, come spiega Judith Malina,

l'intero potenziale mimico-gestuale del corpo e del volto, le qualità vocali e tutta la gamma di segni e segnali di una comunicazione verbale veramente profonda, […] un tipo di espressività corporea con cui riuscire, come gruppo, a rappresentare il mondo attorno a noi in tutte le sue manifestazioni.29

E non solo gli attori ma anche lo spettatore con il suo linguaggio deve concorrere a creare la comunicazione: pubblico e attori formeranno una linea diagonale che taglia a metà lo spazio scenico, una trincea di corpi che, nella storia della Resistenza, rappresenta la battaglia di Pertuso descritta nel libro di Lazagna come un esempio di lotta resistente.

Le pietre: arma d'offesa, sentiero di pace. Quando i gemiti delle vittime diventano suono di campane.30

A questo punto il "corpo collettivo" si scinde in due gruppi contrapposti: gli attori nelle vesti dei comandanti fascisti raggiungono i partigiani facendo cenno di scagliare contro di loro pietre avvolte da stoffa nera. Chi recita in scena le chiama "pesi", chi guarda comprende il riferimento alle leggi repressive, le stragi, il furto della libertà. Mentre alcuni attori urlano l'insensatezza e la miseria provocata dalle tasse e dai prezzi inaccessibili per la popolazione, altri intrecciano a questa sofferenza quella espressa in uno dei passi più commoventi del libro di Lazagna: un'attore, Christian Vollmer grida: "Vigliacchi, uccideteci!Allora quei cani lanciano quattro bombe a mano; pezzi di carne volarono sul prato. Si udì qualche lamento. Poi seguirono raffiche di mitraglia e colpi di moschetto, finché tutti furono irriconoscibili"31
Dopo la rappresentazione dell'atrocità, la miseria, l'ingiustizia, segue un momento di riflessione. Gli attori, alcuni in piedi, altri accucciati tengono le pietre sopra la testa e chiedono ad alta voce: "Un peso enorme, è così che viviamo? Perché la guerra? Perché l'assassinio?" La signora Castagna, ora, dichiara la sua convinzione anarchica: "Il potere non è mai misericordioso". E alcune voci le fanno eco: "Siamo stati noi a farlo succedere, siamo noi i responsabili!" Lo spettacolo ora giunge a un momento centrale; oltre alla presa di posizione contro il male, il gruppo guardando al presente diviene consapevole del fatto che tutta l'umanità è colpevole. Lo spiega chiaramente Judith Malina, durante il nostro incontro a Rocchetta:

Oggi sappiamo chi è il nemico, ma il nemico siamo anche noi, la nostra voglia di avere una nuova telecamera, l'ultima penna che scrive fluorescente, con la giustificazione che si tratta di cose utili per il nostro lavoro: siamo parte di quello contro cui protestiamo. Sappiamo tutto questo, ma non abbiamo un programma. Quello anarchico è un buon programma di società futura. Ma oggi manca di credibilità. Ed è qui che entra in gioco l'arte e la sua capacità dicostruire il futuro."32

Ora in un momento di raccoglimento nasce la speranza e la reazione contro il potere: "nell'oscurità", annunciano: "cosa fa brillare la lampadina?" All'unisono gli attori rispondono: "La Resistenza!". Dagli involucri neri si estraggono le pietre bianche, ora il loro colore riflette nel buio. L'immagine della luce nell'oscurità ci riporta immediatamente a quella della luce fioca della candela nel casolare montano dei partigiani, o del flebile fuoco acceso per riscaldarsi dopo una camminata tra il ghiaccio e la paura. L'oggetto ha subìto una metamorfosi totale: le pietre inizialmente di colore nero associato simbolicamente al potere assolutista, alla sottomissione, alle tenebre, hanno acquisito tutta la luce possibile: ora sono bianche. Ma tale metamorfosi non è soprattutto espressione dell'eterno duello tra Tenebra e Luce? Non è dunque dimostrazione dell'unità, che si nutre appunto di irrisolvibili accostamenti ossimorici? La pietra bianca ovvero la fonte di luce sorge dalla cavità del sacco nero, simbolo della profonda oscurità, ci dimostra che ogni contrapposizione è in fine unità inscindibile, vive delle sue metamorfosi e conferma che eternamente, "smembramento di furia titanica e unità cosmica si legano, come l'oscuro Dioniso si congiunge allo splendente Apollo, e che ogni ente si riversa in quello a cui deriva e se ne fa creatore."33
La luce vuole raggiungere anche gli spettatori, così si rivolgono a loro offrendo le pietre bianche. L'invito a prendere parte alla lotta è esplicito: "Noi resisteremo, e tu?". La pietra è il loro punto d'incontro, e l'incontro tra loro dà la possibilità allo spettatore di creare azione. Se accetta sarà un partecipante.
Una dopo l'altra, le pietre vengono riposte per terra con le altre formando un sentiero, allegoria della via verso la speranza che guida alla pace.
Solo ora può iniziare la parte sulla Resistenza non armata: la Signora Castagna annuncia: "Il chiasso della battaglia è forte!… ma lì dietro c'è anche un'altra campagna di resistenza…"; quella non armata, in gran parte anonima e tuttora poco conosciuta. L'ensemble da sempre contrappone alla lotta armata un modo diverso di lottare: le voci degli attori suggeriscono: "boicottaggio, sabotaggio, scioperi, manifestazioni popolari, stampa clandestina." Sono questi, infatti, i tipi di lotta non violenta che hanno ricoperto un ruolo importantissimo per la liberazione del paese dagli oppressori. Ed è proprio alla lotta non armata che il Living si è sempre affidato nella sua lunga protesta. Durante la scena sul movimento non armato non manca una voce femminile che ricorda il ruolo di grande rilevanza svolto dalla donna nella Resistenza: "L'assistenza ai ricercati e ai feriti diventa ben presto un fenomeno assai vasto. Condotto da donne" annuncia con orgoglio un'attrice. Il gruppo inizia a commemorare le donne partigiane: ad ogni nome pronunciato viene consegnata una castagna allo spettatore vicino, un piccolo frutto nascosto nel sottobosco, ma come la donna, tanto utile per la sopravvivenza. La dodicesima scena si apre con l'arrivo della pace; tutti fanno sospiri di sollievo annunciando che il nemico è stato sconfitto, non c'è più. Inizia la "danza della pace": con le pietre bianche in mano le braccia e le gambe ondeggiano armoniosamente; i movimenti lenti, i suoni dolci e un atmosfera soave rievocano il suono e il movimento delle campane a festa.

Paradise Now e Resistance: nessun luogo è troppo lontano.

Colui che si spinge oltre i confini non conosce la meta,
non sa dove approderà,
ma quel lontano irraggiungibile porto
è la casa perduta.
Perciò ogni viaggio verso l'ignoto
è un ritorno, ed è insieme fisico e metafisico
come la vita.34

Resist Now è il titolo dello spettacolo collettivo presentato a Genova in occasione del vertice dei Grandi Otto. Il titolo deriva da Resistance ed è analogo a quello del 1968, Paradise Now. L'accostamento di questi tre lavori è possibile soprattutto per quanto riguarda il tema della "non violenza" e, in termini di ricerca teatrale per la creazione di una scenografia di corpi, di colori e suoni che non abbia soltanto finalità estetiche, ma che sia atta a consegnare allo spettatore un linguaggio immediato e istintivamente significativo. In Resistance, come in Paradise Now si può cogliere il comune intento alla trasformazione della realtà attuale attraverso un'immagine utopica: l'ensemble intona un suono estatico e si avvicina ai partecipanti e li conduce al centro dove tutti si mescolano in modo paradisiaco e formano un sentiero di pietre percorso da "angeli che resistono l'ineguaglianza del presente, angeli che danzano la giustizia e la misericordia per il presente ed il futuro"35. In Resistance diviene però più chiara la consapevolezza della propria dimensione utopistica: "sappiamo da sempre che ci sono delle contraddizioni come quella tra ciò che è e ciò che è stato sognato e di cui sogniamo la riconciliazione." Tendere verso il sogno significa che la vita, il pensiero, le azioni sono animati dall'intento di raggiungere il punto più vicino all'impossibile.
Ora un attore, Tom Walker dà inizio all'ultima scena e intona un canto: "Sempre più vicini ad una musica nuova, sempre più vicini al mondo di là." L'immagine di utopia torna e viene a costituire l'insieme di ideali che guidano il percorso della propria vita e della vita sociale; per questo gli attori con alcuni spettatori escono dallo spazio scenico camminando sul sentiero di pietre. E dove porta questo sentiero? E' la rincorsa per spiccare il volo? Non è forse per mutare la propria condizione umana che l'uomo si rivolge verso l'alto per raggiungere il suo stato originario, ciò che lo conduce all'unione totale con la terra e l'aria? Quel volo doveva essere il risultato finale di Paradise Now che come ora voleva guidare verso la realizzazione terrena di un "mondo di là" attraverso una ricerca-viaggio dell'uomo di teatro che cerca le sue origini e del resistente che cerca la sua patria perduta, per questo sul sentiero di Resistance si incamminano nella direzione da cui sono arrivati.

NOTE
 
1. Bertold Brecht, "La crociata dei ragazzi", in Poesie e Canzoni, Einaudi, Torino, 1961, p. 155
2. Resistance: rappresentato per la prima volta in Italia il 29 luglio 2001 a Novi Ligure
3. Giambattista Lazagna, Ponte Rotto, Edizioni Colibrì, Milano, 1996, p.102
4. Ribelli venivano chiamati i primi partigiani che si opponevano al regime fascista.
5. Giambattista Lazagna, Ponte Rotto, Edizioni colibrì, Milano, 1996, p. 32
6. Dal copione di "Resistenza", Scena 15: La Resistenza al servizio del Pianeta, p. 14
7. Julian Beck, Theandric, Edizioni Socrates, Roma, 1994, p. 216
8. Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, Einaudi, 1968, p. 238
9. Angelus Novus: dipinto di Paul Kee nel
10. Walter Benjamin comprò Angelus Novus nel 1921, col quale egli si identificava profondamente. Numerosi sono anche i riferimenti al dipinto in suoi saggi o scritti
11. Frankentein del Living Theatre, spettacolo rappresentato per la prima volta in Italia alla Biennale di Venezia nel 1965
12. Anna Maria Monteverdi, Frankenstein del Living Theatre, Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 2002, p. 62
13. Giambattista Lazagna, Ponte Rotto, Ed. Colibrì, Milano, 1996, p. 38-39
14. Alessandro Fersen, Il Teatro, dopo, Laterza, Bari, 1980, p. 117
15. Julian Beck, La vita del Teatro - L'artista e la lotta del popolo, Einaudi, 1975, p. 81-82
16. Julian Beck, La vita del Teatro - L'artista e la lotta del popolo, Einaudi, 1975, p 67
17. Alessandro Fersen, Il teatro, dopo, Laterza, 1980, p. 97
18. A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino, 1968, pp. 236-37
19. Fernando Mastropasqua, Contro il Teatro, in In cammino verso Amleto, Biblioteca Franco Serrrantini, Pisa, 2000, p. 125
20. Fernando Mastropasqua, La Creatura ovvero il Teatro del Vivente, Postfazione a Anna Maria Monteverdi, Frankenstein del Living Theatre, Biblioteca Franco Serrantini, Pisa, 2002, p. 165
21. Dal copione di Resistenza donatomi da Stefano Striano, attore del Living Theatre.
22. Filippo Tommaso Marinetti: il 20 febbraio 1909 fa pubblicare il suo primo scritto sulle idee futuriste sul giornale francese Le Figaro. Oltre a numerosi manifesti sulla pittura, danza e musica futuriste, nel 1933 viene stilato da Marinetti un Manifesto del Teatro Radiofonico che prevede l'uso della radio per una nuova forma di conunicazione artistica dche abolendo l spazio cominci "dove cessano il teatro , il cinematografo e la narrazione", con la "utilizzazione delle interferenze tra stazioni e del sorgere e della evanescenza dei suoni" e con la "captazione amplificazione e trasfigurazione di vibrazioni emesse dalla materia".
23. Tratto dal Manifesto del Futurismo di Marinetti, 1909. Vedi anche copione di "Resistenza"; scena 4, p. 2
24. Antigone del Living Theatre, rappresentato per la prima volta in Italia a Roma nel 1967
25. Cristina Valenti, Conversazioni con Judith Malina, edizioni Elèuthera, Milano, 1995, p. 173
26. Fernando Mastropasqua, "Guardare lo spettatore: L'incipit dell'Antigone del Living Theatre", in F. Mastropasqua, Maschera e Rivoluzione, Biblioteca Universale Utopie, Pisa, 1999, p.120
27. Fernando Mastropasqua, "Guardare lo spettatore: L'incipit dell'Antigone del Living Theatre", in F. Mastropasqua, Maschera e Rivoluzione, Biblioteca Universale Utopie, Pisa, 1999, p. 119
28. Vengono così definite da Giuseppe Bartolucci, Il Living Theatre, Roma, Samonà e Savelli, 1970, p. 54
29. Cristina Valenti, Conversazioni con Judith Malina, Elèuthera, Milano, 1998, p. 175-176
30. Nota di regia di Frankenstein (Versione di Venezia), Berlino, set. 1965, in Julian Beck, Judith Malina, Il lavoro del Living Theatre, p. 180
31. Giambattista Lazagna, Ponte Rotto, Edizioni Colibrì, Milano, 1996, p. 117-118
32. Intervista a Judith Malina, 28 luglio 2001. Registrazione video.
33. Fernando Mastropasqua, Metamorfosi del Teatro, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1998, p. 107
34. Fernando Mastropasqua, In cammino verso Amleto, Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 2002, p. 11
35. Dal copione di Resistance, p. 15

 
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