ateatro 37.1 Comunicazione di servizio Continua il dibattito sul "caso Martone" di Redazione ateatro Ferve il dibattito, su vari fronti.
Come prevedibile l'intervento di Carla Benedetti sul ruolo degli intellettuali
suscita reazioni di vario genere. Al di là della puntuale ricostruzione del "caso Martone",
il punto centrale del suo saggio, credo, è il rapporto tra l'intellettuale e
il potere. Ma non il potere in termini astratti, quanto il potere all'interno del
sistema-cultura - dalle redazioni dei giornali ai festival, dalle giurie ai consigli d'amministrazione,
eccetera eccetera eccetera.
Insomma, quanto bisogna essere militanti? O, dall'altro punto di
vista, quanto è lecito sporcarsi le mani? Quanto è necessria politica culturale e quanto
interesse personale (o conflitto di interessi)?
Non credo sia possibile una risposta in
astratto, un sistema di regole valido per tutti in qualunque situazione. Perché in materia le regole
possibili sarebbero solo due: o si rifiuta qualunque commistione (gli artisti fanno solo gli artisti,
e per esempio quando dirigono un teatro o un festival rinunciano a fare i loro spettacoli; i critici
fanno solo i critici e rinunciano a qualunque collaborazione con teatri, festival,
rassegne, case editrici,
istituzioni); oppure conta solo il potere e allora l'unico problema è capire
i suoi meccanismi e intervenire (con il rischio che la linea corretta per l'intellettuale
consista nel correre in soccorso dei vincitori).
Certo, nell'attuale scenario culturale italiano ci sono pastrocchi che gridano vendetta,
immoralità individuali e distorsioni di sistema (a cominciare dal ruolo dei cda degli
stabili). Ed è altrettanto vero che quelle appena tracciale sono solo due caricature di comodo:
l'intellettuale perennemente "contro" (una posizione ideologicamente facile, ma impraticabile);
oppure l'intellettuale come portavoce del Principe.
Ma in linea di principio credo che ciascuna situazione vada valutata
per quello che è. E tuttavia quando emergono situazioni di questo genere
l'unica necessità è che il dibattito sia pubblico, sui casi concreti,
e resti non confinato al pettegolezzo e alle allusioni ricattatori sui favori fatti e ricevuti:
perché altrimenti
l'unico risultato è, partendo dalla constatazione che ciascuno di noi qualche compromesso
lo fa, allora qualunque compromesso diventa legittimo. Insomma, la logica dell'autodifesa craxiana.
A questo punto, se quella del dibattito pubblico diventa una esigenza,
il problema sollevato da Carla Benedetti si ricollega all'attualità:
alla fondazione di un "Osservatorio dello spettacolo" a Milano e all'esigenza di
un analogo osservatorio su scala nazionale emerso nel corso del dibattito pubblico a
Castrovillari. Di entrambe le inziative trovate ampie tracce nel forum dei teatri di guerra,
che da diversi mesi cerca di svolgere funzioni analoghe, in collaborazione con chi
frequenta "ateatro". Insomma, se avete segnalazioni, basta un copiancolla. |
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