ateatro 0.3 La macchina dello sguardo Alcuni pensieri provvisori dopo aver vis(su)to i lavori dei Motus di Oliviero Ponte di Pino
(in particolare Visio
gloriosa, visto al Teatro dell'Arte nel dicembre 2000; scritto pensando a Werner Heisenberg su richiesta di Anna Maria Monteverdi; di prossima
pubblicazione sulla rivista "Cut Up")
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Uno spettacolo teatrale è una macchina che agisce nello spazio e nel tempo. Tra i suoi elementi costitutivi la scenografia (gli oggetti), la musica (i suoni), gli attori (i corpi), le parole. E anche il pubblico. È una macchina che agisce, appunto, sullo spazio e sul tempo, ed ha come propellente il desiderio nelle sue varie forme.
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Uno spettacolo teatrale è una rappresentazione. Il suo spazio e il suo tempo sono ritagliati all’interno
dello spazio e del tempo reali, e ne riproducono inevitabilmente alcune caratteristiche fondamentali. È una rappresentazione che oggettiva e organizza lo sguardo e il desiderio. È un’opera.
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In quanto macchina, uno spettacolo teatrale tende ad essere autosufficiente, coerente: è un universo chiuso che rimanda solo a se stesso. Finché funziona la macchina, tutte le parti che la compongono sono in dialogo reciproco l’una con l’altra e solo l’una con l’altra. È un processo.
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In quanto rappresentazione, uno spettacolo teatrale rimanda sempre alla "realtà" in un continuo meccanismo di analogie e differenze. Ogni suo elemento è anche un elemento del mondo reale, e al tempo stesso non lo è perché isolato nel sottoinsieme della rappresentazione. Il suo propellente sono le differenze di energia tra la realtà e il suo doppio.
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In quanto macchina, uno spettacolo teatrale tende a privilegiare l’esperienza. Azzera il punto di vista, per
costruire un intreccio di relazioni reciproche. Ogni elemento (compreso lo spettatore) ha lo stesso valore degli altri, ogni elemento è ugualmente
necessario al funzionamento della macchina. Far parte di questa macchina genera un’esperienza complessiva e totale. È un insieme chiuso, che rimanda solo a se stesso. È puro oggetto, e riduce tutti i suoi componenti a oggetto.
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In quanto rappresentazione, uno spettacolo teatrale ha il compito di generare un punto di vista (un soggetto). La posizione di un punto di vista produce immediatamente una gerarchia che struttura e ordina l’esperienza. Stabilisce un centro (o più centri) e una periferia, un soggetto e una oggettività. Genera un margine permeabile.
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Una macchina non può generare ambiguità al contorno. Tutto ciò che è al suo esterno è ininfluente e irrilevante. Tutto ciò che è al suo interno è carico di senso.
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Una rappresentazione genera – a uno sguardo attento – una serie di ambiguità al contorno. La sua stessa esistenza è dovuta alla presenza di una cornice, che però per sua natura è fragile, permeabile, ambigua. Una rappresentazione acquisisce senso dal rapporto tra ciò che si trova al suo interno e la "realtà" esterna.
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Lo statuto della macchina è fragile, poiché non conosce fondamenti all’esterno di se stessa. Costruisce le proprie fondamenta sul nulla, sulla gratuità. Ogni spettacolo deve al proprio interno trovare la potenza e la coerenza che permettano alla macchina di funzionare correttamente – di mettere in moto il desiderio.
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Lo statuto della rappresentazione è fragile, perché è sempre labile il confine che la separa dalla realtà, perché la legittimità del punto di vista può sempre essere rimessa in discussione (e questo capita in tutti i momenti di crisi della tradizione – cioè in pratica sempre, ormai).
Ogni spettacolo teatrale è al tempo stesso una
macchina e una rappresentazione. Porta sempre con sé la fragilità dell’una e le ambiguità dell’altra.
Inoltre la natura di macchina e quella di rappresentazione, per quanto detto sopra, tendono a divergere.
Ogni spettacolo teatrale trae la propria energia da questi squilibri e cerca il proprio equilibrio – la propria forma – bilanciando queste disarmonie.
A volte fallisce. A volte miracolosamente ci riesce.
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