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Un'attrice "troppo": Adelaide Ristori
Che hanno detto al Convegno nazionale di Cividale del Friuli
di Angela Felice
 

Prismatiche, in chiaroscuro o perfino a contrasto le tante facce di Adelaide Ristori emerse dal Convegno nazionale del 25 marzo scorso che la Città di Cividale, confortata dal sostegno della Regione Friuli Venezia Giulia e della Provincia di Udine, oltre che dal patrocinio dell’Eti e dell’Università friulana, ha voluto dedicare all’illustre attrice concittadina, che vi nacque -sostanzialmente per caso - nel 1822 e poi, ma ormai da gloria nazionale della scena e della patria unita, vi fece ritorno solo nel 1879, a un passo dal ritiro definitivo dalle scene. Una figura non molto indagata dagli studi, anzi pregiudizialmente in odore di “antipatia”, come ha ricordato in apertura il coordinatore dei lavori, Claudio Meldolesi del Dams di Bologna, per quel che di legittimismo e di conformismo che ne consacrarono la prestigiosa ascesa sociale e professionale.
Troppo marchesa, come divenne realmente, una volta sposa di Giuliano Capranica del Grillo. Troppo icona di “regine” fastose, protagoniste da grandeur in un repertorio facilmente esportabile da gran tour internazionali, come quella Lady Macbeth versione british di cui Marisa Sestito dell’Ateneo udinese ha descritto l’assoluto protagonismo, alla faccia della filologia testuale. Troppo cattolica, come almeno appariva agli occhi nordici del critico danese Herman Bang (rievocato da Franco Perrelli del Dams di Torino), che pure ne subì il magnetismo d’attrice, ma non fu esente dal cogliere anche la curva costante di espiazione catartica e consolatoria cui le eroine viziose della Ristori - adultere, matricide, incestuose o assassine - erano piegate. Troppo capocomica, attenta alla managerialità imprenditoriale e a ogni dettaglio, scene e costumi in primis (descritti da Maria Ida Biggi dell’Università di Venezia), e naturalmente alle ragioni del botteghino.Troppo amica delle teste coronate di mezzo mondo, non ultima la regina Margherita, di cui la Ristori, da pensionata di lusso, fu dama di corte, lei che in passato (lo ha ricordato Teresa Viziano) era stata in familiarità con Cavour, Garibaldi e gli esuli parigini della Repubblica Romana.
Un’attrice fastosa e una gran dama dei quartieri alti, insomma, ben lontana da altre colleghe diversamente “simpatiche”, perché anarchiche e congeniali a più moderne sperimentazioni ribelli: la Duse, ad esempio, o Giacinta Pezzana, indicata da Laura Mariani dell’Università di Cassino a modello di una naturalezza scenica di anticonformismo, alimentato, nel suo caso, dalla lezione “politica “di Gustavo Modena, dalla fede mazziniana e, sotto sotto, da un preannuncio di umori femministi.
Eppure, la chiave della carriera della Ristori e del suo trionfo sta proprio in quel suo necessario de-bordare, con inflessibile strategia di equilibrismo tra guitteria di partenza e normalizzazione d’arrivo, un piede di qua e uno di là – ha spiegato Paolo Puppa, in una perlustrazione della sociologia del mestiere - tra miseria iniziale d’attrice, equivocata per secoli in cortigiana dai dubbiosi costumi, e splendore finale di legittimazione e di risarcimento. Così nella Ristori – ha concluso Meldolesi - si può individuare una figura centrale di fondazione del teatro italiano, perfino di quello stabile, sullo sfondo di quel “secolo dei secoli” che è l’Ottocento, spazio temporale di incontro-scontro tra vecchio e nuovo. La Ristori, alla fin fine, fu questo e quello: nobilitò sul piano “accademico” il lavoro dell’attore e la scena del personaggio, ma con il limite di volersene impadronire e vampirizzarlo. Diversa invece sarebbe stata la prospettiva degli interpreti del futuro, per i quali si tratterà semmai di battagliare con il personaggio, mobilitandovi, almeno da Stanislavskij, anche il vissuto preconscio e il potenziale di una più incrinata sensibilità
La Ristori fu invece “una statua che parla”. L’immagine, lanciata da Meldolesi a Leit-motiv del Convegno, vale dunque a stringere in emblema di sintesi la dinamica di una vitale contraddittorietà d’attrice: tra ingessatura monumentale da un lato e, dall’altro, innesto di una passionalità che riesce a sgelare e vivificare il “prontuario” della partitura convenzionale di posture e gesti di scena. E, ancora, è una visione efficace a fissare una strategia attoriale vincente, borderline tra passato e futuro, entro il laboratorio di tutta una civiltà teatrale, sui cui aspetti fondativi, e non solo retoricamente artificiosi, resta ancora molto da esplorare. Vi ha gettato intanto una luce il Convegno cividalese, i cui risultati saranno coronati a breve anche dalla pubblicazione degli Atti.


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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