ateatro 94.45 Le catene virtuali di Ubu Ubu incatenato di Jarry secondo Roberto Latini e Gianluca Misiti - Fortebraccioteatro di Andrea Balzola
Sistemi digitali interattivi di Andrea Brogi e video in croma key di Pierpaolo Magnani - Xlab Digital Factory
Il Teatro Vascello di Roma ha ospitato uno dei rari debutti italiani di drammaturgia tecno-teatrale, protagonista unico e molteplice (come un burattinaio dell’era virtuale, anima e dà voce a tutti i personaggi) Roberto Latini, che porta in scena un meno noto, ma non meno geniale, Ubu, quello incatenato, scritto da Jarry nel 1899. Nella didascalia iniziale del testo (breve, ma in 5 atti), giustamente riproposta all’inizio dello spettacolo, c’è già il fulcro dell’idea patafisica: “Ai tanti PADRONI che rafforzarono la sua corona quando era re, UBU INCATENATO offre l’omaggio delle sue catene”; dopo aver usurpato con l’inganno e la ferocia il trono di Polonia e d’Aragona e aver atrocemente vessato e sterminato i suoi sudditi (Ubu re), ora l’anarchico tiranno rovescia la libertà del potere assoluto nel desiderio di una altrettanto assoluta schiavitù. Scendendo gioiosamente tutti i gradini della sottomissione, da soldato semplice a lustrascarpe, da servo a carcerato e infine rematore su una galera turca, Ubu ambisce e ottiene di essere umiliato, frustato e incatenato. La sua volontaria e perfetta sottomissione ne fa un modello, tanto che il caporale degli uomini liberi gli dice: “Vi prendete la libertà di fare persino quello che è stato ordinato. Siete un più grande uomo libero...”. Fino al punto che il popolo vuole imitarlo cercando nuove catene e lo acclama, questa volta contro la sua volontà, re. Ubu incatenato non è un personaggio masochista, è il più forte e il più libero di tutti perché è colui che ha raggiunto il potere di sottomettersi deliberatamente e che quindi toglie – da schiavo – il potere al suo padrone, poiché il potere si gratifica davvero solo laddove la sua volontà è imposta, è questo infatti l’”eros” del potere: la sopraffazione. Dal testo di Jarry, Latini ricava abilmente un adattamento con spunti di attualità (niente di più naturale in tempi dove si fanno case e regni abusivi delle “libertà”), una sintesi che soprattutto negli ultimi atti diventa drastica riduzione, selezionando le situazioni e i personaggi più emblematici, alcuni dei quali rappresentati mediante immagini di computer grafica bidimensionali o tridimensionali e animate con l’armatura motion capture. Gli ambienti digitali interattivi (collegati ai movimenti dell’attore attraverso il motion capture) sono stati realizzati da Andrea Brogi e il video in croma key (con i diversi travestimenti-svestimenti di Ubu) da Pierpaolo Magnani, entrambi del gruppo Xlab che in quest’occasione ha integrato la propria ricerca tecnologica con la ricerca teatrale di Latini, una simbiosi riuscita perché qui l’uso della tecnologia non ha né una finalità puramente spettacolare né riproduce precedenti esperienze italiane (come quelle di Krypton, Studio Azzurro, Castello, Verde) o straniere (La Fura e Marcelì Antunez soprattutto), ma fa evolvere nel contemporaneo l’idea originaria dell’Ubu di Jarry, che doveva essere uno spettacolo di burattini per adulti e riprende l’astrazione recitativa della marionetta invocata da Kleist e da Craig. Qui la Super-Marionetta Latini, dotato di una modulazione, un’espressività e un controllo vocali notevoli, duella esplicitamente col fantasma di Carmelo Bene (evocando soprattutto il Pinocchio), ed è nello stesso tempo burattino e burattinaio, in una rigorosa e stilizzata partitura gestuale, la cui coreografia è pilotata in parte dalle esigenze del software e in parte dall’efficace trama musicale di Gianluca Misiti. La scena diventa congegno (ottimamente gestito da tutti i collaboratori tecnici), teatrino tecnologico dove il meccanismo è rivelato, ostentato, macchina che incrocia luci, amplificazioni, microtelecamere che riprendono in diretta, videoproiezioni e alcuni oggetti simbolici come una sorta di metronomo meccanico, una lavatrice-rigeneratrice, una sirena luminosa, un asse da wc che diventa botola e un “sedile” da rematore-automobilista. La vocalità è sempre opportunamente artefatta, non cade mai se non per caricatura nel recitato che tanto ancora imperversa nel teatro italiano vecchio e nuovo, è affollata di voci e pulsioni diverse che diventano la schizofrenia di un solo personaggio, così tirannicamente egocentrico da aver azzerato il mondo intero fagocitandolo nella sua enorme ventraglia divoratutto. Anche l’uso delle immagini di computer grafica incrociano i generi del cartone animato con quello della rappresentazione architettonica virtuale, sempre però in chiave d’ironia, di contaminazione o di astrazione, evitando la mimesi della realtà come quella del genere. Lo spettacolo ha poi un rallentamento conclusivo e una moltiplicazioni di finali, è il momento in cui Ubu si spoglia della sua armatura-catena tecnologica, riflette e ritorna “re”, tornando a usare l’ombrello, strumento di potere “troppo difficile da maneggiare”. Forse qui il personaggio si riumanizza un po’ troppo, ma dopotutto è sempre il paradosso di un personaggio che gioca a far l’attore, in una finzione che si raddoppia all’infinito e mette in cortocircuito le convenzioni, a partire da quelle teatrali.
UBU INCATENATO di Alfred Jarry
Adattamento e regia di Roberto Latini, con Roberto Latini, e con Paolo Pasteris; musiche e aiuto regia di Gianluca Misiti; ambienti digitali interattivi di Andrea Brogi; assistenza al motion capture di Paolo Pasteris; luci e direzione tecnica di Max Mugnai; direzione di scena di Dario Palumbo; video in cromakey di Pierpaolo Magnani.
Produzione Fortebraccioteatro con il sostegno di Armunia, teatri stabili d’innovazione CSS e Florian, in collaborazione con Art Mama Factory, Blue Cheese Project, Ass.Cult Dn@, Xlabi Digital Factory.
Teatro Il Vascello di Roma, dicembre 2005
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