ateatro 92.21 La quarta edizione di N[ever]land percorsi al digitale Una intervista con Enzo Aronica di Anna Maria Monteverdi
N[ever]land, la “B o t t e g a ” Digitale di Enzo Aronica
Enzo Aronica è da anni protagonista del panorama della d i g i t a l a r t italiana come direttore artistico di N e v e r l a n d e come artista multimediale che vanta collaborazioni internazionali di prestigio. Per la Spellbound Dance Company ha curato la regia multimediale degli spettacoli Q U A T T R O (2003) e S T A T I C O M U N I C A N T I (2004) e il progetto video dell'ultima produzione del WYOMING DANCE THEATRE di New York.
Dal giugno 2002, è ideatore e Direttore artistico di N[everl]and Festival dedicato all'evoluzione della tecnologia digitale nei mestieri dell'arte e della comunicazione. N [ e v e r ] l a n d edizione 2005 appena conclusasi ha avuto come special guest ARS ELECTRONICA di Linz, ed inoltre Bob Dylan secondo Martin Scorsese, il controverso T h e B i g Q u e s t i o n di Cabras e Molinari dal set P a s s i o n di Mel Gibson e il progetto di film in animazione digitale interamente in 3D dedicato a Anna Frank di Dario Picciau e un numero ragguardevole di altri incontri con docenti universitari e operatori tecno-teatrali. L'Accademia delle Arti e dei Mestieri dello Spettacolo "Teatro alla Scala" ha presentato il progetto sulla ricostruzione virtuale delle scenografie del 1778 per l'E u r o p a r i c o n o s c i u t a. Aronica così proposto per N e v e r l a n d il progetto ambizioso della costituzione di un luogo che riunisca le forze che lavorano nella direzione dello studio e della ricerca digitale. Uno spazio ideale in cui si incontrano e si mettono alla prova, confrontandosi, le diverse esperienze di cinema d'animazione e teatro tecnologico condotte nei Centri Internazionali, nelle Università, nelle Accademie. Un Teatro-Studio da cui far nascere le nuove idee. Al digitale.
Qual è la tua formazione d'artista: cinema, teatro o video?
Tutti e tre, a partire dal teatro dove debutto nella seconda metà dei mitici anni Settanta, in piena avanguardia romana. La grande passione per la musica, dieci anni di violino, ma anche gli studi appassionati di etologia, la scienza nuova sul comportamento animale. Poi il video, incontrato nel centro della sua espansione, studiato a Londra al Royal College of Art, e metabolizzato inizialmente come avvicinamento al cinema. Il cinema, quindi, studiato sul campo, "sporcandosi le mani" sul set, iniziando come assistente operatore di un Premio Oscar alla fotografia come Pasqualino De Santis, una scuola ruvida ma efficace: quando al tuo primo film, in otto settimane ti passano fisicamente per le mani macchine, obiettivi e trentamila metri di pellicola si impara anche non volendo qualcosa che nessun corso o libro potrebbe darti... E poi, crescendo, la vocazione all'insegnamento, nata dall’incontro con Carlo Boso del Piccolo Teatro di Milano: da allievo a docente in Teoria e Tecnica di Palcoscenico tra Cinquecento e Settecento, in Italia prima e poi nel mondo; poi, inevitabile, la maturazione nella regia e nella direzione artistica.
Oggi, tutti questi mondi convivono, quasi non hanno grande differenza per me, nella pratica di tutti i giorni. Si sostengono l'un l'altro.
Incroci, interferenze, interconnesioni: il tuo Festival N [ e v e r ] l a n d, ha esplorato nelle quattro edizioni le frontiere dell'attraversamento dei generi e dei linguaggi artistici nella loro prospettiva digitale. Qual è l'obiettivo di un Festival di questo tipo e qual è il suo pubblico?
N[ever]land è l’occasione per indagare se, come e quanto la tecnologia digitale sia oggi in grado di incontrare le moderne arti visive così come le più antiche arti di palcoscenico, l’editoria tradizionale e la mobilissima comunicazione on line, nella ricerca di un’armonia possibile tra necessità produttive e spinte creative.
Nel nome che decisi all'inizio è nascosto il significato a cui più tengo: l'isola-che-non-c'è in cui poter riscrivere le regole del gioco. Ecco, questo per me è stato e continua ad essere una casa di idee per recuperare il vuoto culturale che la grande velocità di una rivoluzione tecnologica ci infligge, inevitabilmente, preferendoci clienti docili anziché consapevoli. E poi, non sono partito concependo N[ever]land come un festival o una rassegna, ma come dei semplici “incontri”, un occasione in più per mettere in contatto persone differenti con curiosità simili, occasioni per la verità poi non così frequenti.
Quindi, il pubblico degli incontri sono tutti coloro che questa necessità di consapevolezza la vivono quotidianamente: innanzitutto molti studenti, anche grazie all’adesione delle tre Università romane, spesso confusi o delusi da indirizzi di studio dai contenuti fantasma quanto le prospettive; ma anche gli stessi docenti, in drammatica necessità di aggiornamento, non meno smarriti dei loro studenti e professionisti dell’arte e della comunicazione, che scoprono quanto paradossalmente oggi un archivista possa condividere magari con un regista o un coreografo o un giornalista la stessa interfaccia tecnologica per la soluzione del suo problema...
Schermi digitali, aule digitali, Scene digitali, Archivi digitali, questi i "cassetti" della rassegna. Su cosa hai puntato per l'edizione 2005?
Mi piace “cassetti”, rende l’idea, e fa anche pensare al cilindro del mago da cui estrarre il coniglietto, la sorpresa...Ecco, il primo rischio, la grande tentazione: nonostante la missione divulgativa ammetto che un appuntamento come n[ever]land cerca anche di sorprendere, di sfruttare lo stupore per attirare l’attenzione: per chi come noi, indaga le nuove tecnologie, questo accade anche troppo spesso, ma l’esperienza maturata in questi quattro anni ha soprattutto insegnato a prendere le distanze dal fare solo una sterile esposizione di fenomeni da baraccone informatico...Sai, in verità, i settori guida, i “cassetti” di cui sopra, sono serviti fin dall’inizio più a me per orientarmi nella preparazione di un programma che per spiegarlo e proporlo: la piattaforma tecnologica tende oramai a omologare i diversi ambiti, ad abbattere grandi separazioni nelle procedure e negli applicativi: un progetto culturale, artistico o di comunicazione (e già questi oggi suonano come sinonimi...) attraversa sempre più trasversalmente il momento dell’archivio da cui attingere, della didattica a cui rifarsi come metodologia comunicativa, allo schermo come cornice finale dove tutto finisce in mostra...
E proprio per combattere il rischio che lo schermo si trasformi in lapide, quest’anno ho provato a fare salire un gradino a n[ever]land, un piccolo ma sostanziale spostamento da “casa di idee” a “bottega di idee”, nel tentativo di offrire qualcosa che possa restare anche dopo i crediti o i titoli di coda. Ad esempio, la presenza di un ospite speciale come ARS ELECTRONICA, il racconto del suo quarto di secolo passato accompagnando passo dopo passo la nuova tecnologia nel terzo millennio, può essere letto come un incoraggiamento subliminale a rimboccarci le maniche, a scendere dal piedistallo dell’intrattenimento per volgersi allo studio, alla ricerca, alla rivalutazione di ogni sano artigianato che può e deve affiancare il calore dei nostri processori.
Ecco, tornando ai “cassetti”, forse la ricerca di questo equilibrio l’ho più evidente proprio nelle Scene digitali, un bell’esempio di una bottega di idee, con quel lento ma inesorabile incedere della tecnologia nelle antiche arti di palcoscenico, non a caso l’ultimo nato nei settori di n[ever]land, inaugurato solo lo scorso anno...
Le sperimentazioni più audaci nel campo del tecnoteatro hanno scarsa possibilità di produzione e di ospitalità all'interno del panorama italiano. Quale è a tuo avviso una possibile via di uscita e quali le nuove modalità di distribuzione e circuitazione?
Qui tocchi un punto che mi riguarda doppiamente, al di là e al di fuori dei contenuti di n[ever]land, e mi riferisco al mio percorso di regista in palcoscenico e di direttore artistico di festival di teatro. Personalmente, non definirei “sperimentazione audace” alcuna delle mie incursioni teatrali nella tecnologia, quanto piuttosto una “barocca curiosità” sulla strategia della percezione in scena e in platea: e uso non a caso il termine “barocco” perché proprio insegnando in giro per il mondo le leggi di prossemica applicate alla tecnica dei comici dell’arte, e spiegando come si potesse illuminare o incendiare o allagare o riempire di nuvole un teatro del Seicento che ho maturato le mie curiosità, come cioè si possa oggi rigenerare quello stupore a partire dagli ingranaggi della vecchia macchina-teatro, delle sue maraviglie sceniche che vanno al di là, verso una scenografia “percepita” e quindi “vissuta”, tanto per fare una esempio. E questo ovviamente anche per la drammaturgia, la recitazione, la danza, la musica...Insomma, la penso come Flaiano, quando diceva “Teatro è cercare nel buio qualcosa che non c’è. E trovarlo”.
Quanto al circuito, scomparsa quella fascia intermedia di produzione e distribuzione nella quale ha vissuto la ricerca, e archiviata con una certa delusione la promessa di ospitalità della rete, oggi la conquista di spazi e attenzione appare a tutti gli effetti una necessità drammatica: e se invece fosse la benvenuta? Insomma, la tua domanda è buona per una tavola rotonda più che per una risposta. E allora concludo con un’altra domanda: ma siamo proprio sicuri che una “sperimentazione audace” abbia bisogno di un “circuito”?
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