ateatro 84.81
Inequilibrio Armunia Festival: avant-programme
Dal 6 al 31 luglio
di Ufficio Stampa Armunia
 

6–17 luglio Castello Pasquini Castiglioncello (LI) e a Castagneto Carducci e Rosignano
22-24 luglio e 29-31 luglio a Bibbona, Casale Marittimo, Castellina Marittima, Guardistallo, Montescudaio, SantaLuce, Riparbella.


Armunia - La citta del Teatro
Barber’s shop
di Alberto Severi
regia di Alessio Pizzech
con Valentina Banci, Alessia Innocenti, Letizia Pardi.
Prima Nazionale
Barber’s Shop, moltiplica per tre un motivo già presente in un altro testo di Alberto Severi (giornalista e drammaturgo) quello della donna che taglia i capelli all’uomo, con tutte le suggestioni del caso, letterarie, iconografiche, mitiche, psicanalitiche, da Sansone e Dalila a Giuditta e Oloferne. I personaggi maschili, i “clienti” sono essi stessi fantasmi che non si vedono, nelle poltrone del “barber’s shop”, trono e patibolo. E Fantasma per eccellenza è il Padre, il fondatore del Negozio e della Famiglia, il genitore delle tre sorelle Cascio, al quale ciascuna figlia si rapporta con una diversa forma di “fedeltà” esistenziale: Silvia riproducendo uno schema familista tradizionale, Alessandra affermando l’esclusività dell’amore paterno nel rifiuto, omosessuale, di qualsiasi altro maschio, Valeria, al contrario, ricreando quell’amore in una serie infinita di amori, di congiungimenti carnali, e di simboliche castrazioni.Tre sorelle, ma Cechov c’entra poco o nulla, nonostante il riecheggiare, magari ironico o parodistico, di qualche battuta della grande commedia: forse, in comune, c’è quel sentirsi sulla soglia di una “bella e violenta bufera”. Che qui è Tangentopoli, colta al suo apice, alla vigilia del suo affossamento nella stagione delle bombe, e nell’avvento di una nuova stagione di restaurazione politica. Siamo a Firenze, nei primi anni ’90. La storia incombe sulle tre sorelle alla vigilia della strage dei Georgofili. Barber’s Shop è, anche, in parte, il dramma finora non scritto di quella stagione, rivisitata senza retorica, e una buona dose di grottesco.

“Appunti attorno a Cesare”
dei I Sacchi di Sabbia.
Studio
La Satira politica e la sua imbecillità, lo spettacolo di regime e le sue inevitabili conseguenze sulla Vita.
In più c’è la Storia: siamo a Pisa alla fine degli Anni Trenta, anni in cui Gioacchino Forzano – proprietario degli stabilimenti cinematografici di Tirrenia, nonché autore drammatico, librettista d’opera e regista – scrisse un Cesare, in collaborazione nientemeno che con Benito Mussolini.
Un magniloquente contributo al consolidamento della mitologia di Regime.Si parte da qui.


Masque Teatro
Il ragazzo Criminale
di Lorenzo Bazzocchi
Ideazione e regia di Lorenzo Bazzocchi
liberamente tratto da Il ragazzo criminale di Jean Genet
e Pre-paradise sorry now di Rainer Fassbinder
Con Federica Cangini, Mario Cossu, Eva Geatti, Eleonora Sedioli, Lorenzo Bazzocchi, Catia Gatelli.
Prima nazionale

Tutto ciò che è ragionevole non mi interessa
Ian Brady risponderà così a Myra Hinley, prima di caricare in auto il ragazzino che aspettava a fianco del cassone dei rifiuti.
Il lavoro attraversa la denuncia aperta e a volte incalzante, che Fassbinder opera in Pre-paradise sorry now, di un mondo devastato da una violenza ottusa, da una brutalità dilagante, per approdare sulle spiagge di un lirismo, quello de Il ragazzo criminale di Genet, nelle cui trame pulsa una sete di eroismo dalla quale il giovane delinquente non sembra mai capace di sottrarsi.
“La Radio francese mi aveva proposto una trasmissione della serie «Carte blanche». Accolsi l'invito per poter parlare dei ragazzi criminali. Il mio testo, inizialmente accettato da Férnand Pouey, viene ora respinto. Invece di esserne fiero, provo un senso di vergogna. Avrei voluto far sentire la voce del criminale. Non il suo lamento, ma il suo canto di gloria.”


TEATRINO GIULLARE
Finale di partita
Di Samuel Becket
Allestimento da scacchiera per figure e due giocatori
Diretto e interpretato dal TEATRINO GIULLARE
traduzione Carlo Fruttero
scenografia e figure CIKUSKA
Maschere Fratelli De Marchi
Una partita a scacchi tra attori-giocatori che muovono le pedine e pedine personaggi che muovono una delle storie più significative ed enigmatiche della drammaturgia del Novecento. La rappresentazione è una sinfonia di mosse e contromosse, botte e risposte, pause, riflessioni, sospiri, rinunce. L'opera d'arte viene interpretata attraverso le limitazioni e le potenzialità delle figure (le marionette). Il capolavoro di Beckett è visto attraverso le possibilità di movimento di due pedine da scacchi e la tensione e la partecipazione dei due giocatori. Hamm pedina ferma e cieca, Clov pedina che si affanna per la scacchiera senza potersi mai sedere, anche lui sulla strada della cecità e dell'immobilità e nel tentativo di prendere la strada verso l'uscita. Nagg e Nell pedine fuori gioco, pedine a metà rinchiuse in bidoni. L'affinità tra il contenuto del testo e il gioco degli scacchi è stata manifestata dallo stesso Beckett e il finale di partita è la terza e ultima parte dell'incontro nel gioco degli scacchi. Una fase distinta dal ridotto numero di pezzi superstiti sulla scacchiera e dal fatto che il re non è più soltanto un pezzo da difendere ma diventa anche una figura di attacco.




Benvenuti s.r.l. - Armunia Festival degli Etruschi
I Costruttori di Imperi di Boris Vian
traduzione di Massimo Castri
adattamento e regia Davide Iodice
con Alessandro Benvenuti Francesca Mazza Valentina Capone Enzo Pezzella
Alfonso Postiglione Gianni Pellegrino
scene Tiziano Fario disegno luci Maurizio Viani
musiche originali Cristiano Gullotta
Prima nazionale

Il desiderio di mettere in contatto diverse realtà della scena contemporanea è stato da sempre motore del mio lavoro di direttore artistico regista e autore. Porre in comunicazione e scambio il teatro tradizionale, a cui normalmente i miei spettacoli approdano, e il teatro di innovazione, a cui alcuni miei progetti di fatto sono rivolti, non è privo di ostacoli di varia natura. Tra tutti, l’ostacolo economico è il più penalizzante ed evidente. Nella storia della Benvenuti srl ho, sin dai primi anni cercato di formare nuclei artistici continuativi, che sposassero il mestiere dell’attore alla passione per la nuova drammaturgia e l’evoluzione della scena in ambito contemporaneo, sempre con l’attenzione verso il pubblico, che non mi piace dividere in “grande” o “intellettuale” o “giovane”. Questo percorso della produzione che dirigo e della mia figura di artista individuale approda oggi ad un nuovo progetto che mi vede coinvolto come attore, sotto la direzione del regista Davide Iodice, nell’allestimento Costruttori di Imperi di Boris Vian.Non c’è casualità nella scelta del testo , le tematiche trattate sono infatti di grande attualità, e il pathos drammatico della paura dell’uomo di fronte alla sofferenza che la vita inevitabilmente riserva, ben si fondono con l’ironia di stampo surreale caratteristica di un autore come Vian. Affiancherò in questa avventura altri artisti provenienti dalla scena innovativa, Francesca Mazza, Valentina Capone ed Enzo Pezzella, diretti più volte da Leo De Berardinis, artista al quale mi sento legato da sempre; Alfonso Postiglione fondatore e interprete della compagnia Rosso Tiziano e Gianni Pellegrino, già mio partner in altre produzioni della Benvenuti srl (TTTT Beckettio e Come due gocce d’acqua) Del regista, Davide Iodice, ho potuto apprezzare l’evoluzione del lavoro nel corso di varie edizioni di Volterrateatro, in cui entrambi abbiamo partecipato individualmente. E’ per me importante e stimolante affidarmi alla sua direzione e al tempo stesso acquisire nuove metodologie molto diverse da quelle che fino a questo momento ho utilizzato.
All’allestimento di Costruttori di Imperi collaborano inoltre Tiziano Fario, scenografo di grande esperienza, curatore delle scene di Carmelo Bene; e Maurizio Viani, amico personale e regista del disegno luci dei miei spettacoli più significativi, ma anche storico collaboratore di Leo De Berardinis e, negli ultimi anni, legato artisticamente anche a Davide Iodice.
Alessandro Benvenuti
Cada die teatro
Misteri Gaudiosi
di Giancarlo Biffi, Giancarlo Demontis, Mauro Mou e Silvestro Ziccardi
con Giancarlo Biffi (Francesco Ginepro) e Giancarlo Demontis (Leo)
disegno luci Gianni Schirru
architettura sonora Giampietro Guttuso
regia Mauro Mou e Silvestro Ziccardi
Prima Nazionale

Sciogliere i Misteri nella quotidianità. Attraversare l’esistenza con passo leggero.
Franco e Leo sono due pellegrini, girano da anni l’Italia con un simulacro della Madonna sulle spalle… per Francesco è l’esecuzione di un disegno di espiazione. Lui è convinto di aver sparato alla Madonna, uccidendola…
Durante una missione in Libano, il giovane soldato Francesco ha ucciso una ragazza e da quel giorno, non è più stato quello di prima. La vita il più delle volte si attorciglia, non è lineare e tranquilla, ma piena di curve… s’innalza e s’inabissa velocemente, molto più in fretta della nostra stessa comprensione degli avvenimenti. Errori se ne commettono tanti, più o meno gravi, ma di questi spesso non si sa a chi chiedere perdono… allora ecco che molti scoprono che c’è Lui.
Nella ricerca di perdono Francesco Ginepro incrocia sulla sua strada, non proprio Lui… ma Lei: Maria. A dire il vero si tratta di una statuetta di gesso che Leo si porta a presso nel suo quotidiano elemosinare. Francesco, vedendoli, ha una folgorazione. In loro vede Maria e Giuseppe alla ricerca del figlio. Ma Leo non è per niente Giuseppe, ancor meno un benefattore… e non di certo sta cercando Gesù Cristo. Più semplicemente da qualche tempo sta perseguendo un obiettivo preciso: racimolare più denaro possibile per poi partire alla volta di Panama. Intuisce che con Francesco Ginepro questo sarebbe ancora più facile. Così i due insieme iniziano a fare spettacoli nelle piazze di paesi e città: i guadagni aumentano e la data di partenza per Panama si fa sempre più vicina. Noi li cogliamo proprio nel giorno, in cui per Leo è giunto il momento tanto atteso… mollare Francesco Ginepro e partire per la tanto agognata destinazione. Giancarlo Biffi


Le notti bianche
Di Fedor Dostoevskij
Regia di Daniele Griggio
Con Daniele Griggio e Ilaria Di Luca
Prima Nazionale

Protagonista il "sogno" e la sua eterna lotta contro la "realtà". Una panchina, un sognatore e una donna. L'incontro di due anime inquiete che trovano conforto l'uno nell'altra fino a che la realtà o forse l'eccesso di sogno non indicherà loro la strada da seguire.La cosciente ingenuità di un uomo, un sognatore, un cuore giovane in un corpo adulto che sceglie di essere ingenuo. Che sceglie l'ingenuità come arma contro il cinismo e la volgarità di una realtà che non gli piace, che rifiuta. Incontra una ragazza-donna o donna-ragazza. Una storia d'amore e di amicizia di forte intensità che Dostoevskij ambienta a Pietroburgo durante il magico periodo delle "Notti bianche". Un omaggio al Palcoscenico e al Cinema come “luoghi del sogno”. La musica dello spettacolo richiamerà alla nostra memoria momenti indimenticabili della storia del Cinema.Lo spettacolo si svolge tutto attorno ad una panchina e può essere rappresentato in qualunque luogo: strade, piazze, parchi, palcoscenici, chiese, musei: dovunque sia possibile sistemare una panchina.

Benvenuti srl-Armunia
Pasticceri
Io e mio fratello Roberto
di e con Roberto Abbiati e Leonardo Capuano
tecnica Corrado Mura e Alessandro Calabrese
Prima Nazionale

Due fratelli gemelli.Uno ha i baffi l’altro no, uno balbetta l’altro no, parla bello sciolto.
Uno crede che la crema pasticcera sia delicata, meravigliosa e bionda come una donna, l’altro conosce la poesia, i poeti, i loro versi e li dice come chi non ha altro modo per parlare.
Uno è convinto che le bignoline siano esseri viventi fragili e indifesi, l’altro crede che le bignoline vadano vendute, sennò non si può tirare avanti.
Il laboratorio di pasticceria è la loro casa. Un mondo che si è fermato alle quattro di mattina, il loro mondo: cioccolata fusa, pasta sfoglia leggera come piuma, pan di Spagna, meringhe come neve, frittura araba, torta russa, biscotto alle mandorle e bavarese: tutto si muove, vola, danza e la notte si infila dappertutto.
Due fratelli gemelli che, come Cyrano e Cristiano, aspettano la loro Rossana, e dove la vuoi aspettare se non in pasticceria?
Due fratelli pasticceri, se li vedi abbracciati, sembrano un albicocca.
Profumano di dolci e ascoltano la radio: musica, molta musica.



“Vi e Ve” Partita a carte nel regno delle ombre
di Marco Martinelli
regia di Michele Bandini ed Emiliano Pergolari
con Michele Bandini (Vittorini) ed Emiliano Pergolari (Il Veronese)
Una lampadina e due folignati

Non ho mai avuto testi nel cassetto. Nel senso che tutti quelli che ho messo in scena, con le Albe, sono stati scritti in scena, elaborati trasformati macinati in palcoscenico, nel corso delle prove, per faticosa lenta, talora sorprendente, alchimia di linguaggi, di scambi tra attori e drammaturgo. Però quando l’autunno scorso mi son trovato a dirigere la Scuola dell’ERT, a lavorare, tra gli altri, con Emiliano e Michele, mi è venuto in mente che sì, un dialoghetto, un metalogo (alla Bateson) nel cassetto anch’ io ce l’avevo, e che forse quel dialoghetto poteva servire da esercizio ai due “gemelli folignati” (li chiamo così da quando li conosco). Quattro pagine di epilettica conversazione nel regno delle ombre tra lo scrittore Vittorini e il pittore Veronese: giocano a briscola, bevono, e ricordano (ognuno a modo suo, sono maschere agli antipodi) i guai avuti in vita con la censura, Togliatti e il Sant’Uffizio. Sono morti ben vivi, e forse più interessanti di tanti che ci passano accanto. Beh, ho consegnato il metalogo, scritto in lingua italiana, ai due “gemelli” e ho suggerito loro: facciamolo in folignate. Divoratelo e risputatelo nel vostro dialetto. Lo scrittore era siciliano, il pittore veneto, voi siete di Foligno: viva l’Italia! E poi quel vostro folignate ha risonanze cupe, medievali, ben si presta al “de contemptu mundi” di Vittorini, ma anche per contrasto al finale sospeso, in luce, quasi francescano, di Veronese. Proviamoci! Ci hanno provato, alla fine ne è venuto fuori un “corto” teatrale che si è meritato la convocazione a Santarcangelo. L’allestimento, mi sembra, vibra in una dignitosa, orgogliosa povertà di mezzi, la povertà essenziale, regale, priva di fronzoli, che regna tra i morti, la povertà di un esercizio fatto con zero lire in orario di scuola, una lampadina e poco altro, la povertà di chi costruisce sul lusso e lo spreco di ore e ore di lavoro d’attore: “il teatro del futuro sarà un teatro povero”, spiegava Mejerchol’d nel 1919 in un laboratorio indirizzato a contadini e operai, digiuni e nello stesso tempo affamati di sapienza scenica, sottolineando che tale “povertà” è stata il contrassegno dell’essenza teatrale nelle epoche d’oro, Shakespeare in testa. Marco Martinelli
Vi e Ve, ovvero Elio Vittorini e Paolo Caliari detto il Veronese;
due ombre sovversive che alla luce fioca di una lampadina si sfidano ogni giorno a briscola nel regno degli inferi....un rito quotidiano che finisce per tramutarsi ogni volta in uno sbotto tormentato e allucinato contro tutti i santi uffizi che affliggono la libertà dell'arte...parole alla deriva con una leggera inflessione umbra .....
Michele Bandini, Emiliano Pergolari

Armunia CSS Udine
EDEYEN
Di Letizia Russo
Regia Fausto Russo Alesi
con Pia Lanciotti-Eva, Maria Pilar Perez Aspa-Petra, Sergio Leone-Uno,
Debora Zuin-Andreia,Vanessa Compagnucci-Sara, Cristophe Sermet-Trino,Fausto Russo Alesi-Rubens
.
Scene e Luci Nicolas Bovey
Assistente alla regia – Eleonora Moro
Prima Nazionale

Come un’antica leggenda, come una favola, come un sogno, come una vecchia foto ingiallita, in un tempo qualsiasi, un popolo qualsiasi decide di mettersi in viaggio in cerca del suo destino, di una terra migliore dove vivere.
Durante il viaggio il popolo viene devastato da un terribile terremoto che spacca la terra portandosi via tutti i bambini e tutti i vecchi, la memoria e il futuro del popolo. Simbolicamente togliere passato e futuro a un popolo come succede ai sopravvissuti della nostra storia significa svelare e confrontarsi con l’essenza delle cose, con ciò che è, col presente. Sei sono i personaggi sopravvissuti, tre coppie:Uno ed Eva marito e moglie, simboli della vita quotidiana; Andreia, un ermafrodito e sua sorella Petra, simboli della diversità nella vita quotidiana;Trino, un prete di una religione qualsiasi e Sara una profetessa capace di predire il futuro, simboli dello spirito, della fede e del sentimento religioso reale o indotto nella natura umana.
In questo spazio tragico, nudo, arcaico, si incontrano e si scontrano questi personaggi contenitori di importanti tematiche.
Non si muovono più, sono come obbligati a restare sul luogo dove è avvenuta la tragedia, con i loro dolori, i loro ricordi, i loro sensi di colpa: la catastrofe che li ha investiti, gli ha tolto la forza di muoversi, la motivazione per cercare la strada che porta verso il “bel paese” tanto desiderato un tempo. Non desiderano più e il non desiderare è la peggiore tortura quotidiana è il vivere per inerzia… respirano, aspettano, sopravvivono. Unico interesse lo squillo di un tragicomico telefono, forse costruito rudimentalmente da loro, da Sara per mettersi in contatto col suo Dio, o forse misteriosamente trovato sotto la sabbia, simbolo del bisogno di un contatto con ciò che non conosciamo, un cordone ombelicale con l’amore eterno di cui abbiamo assoluto bisogno, col mistero della vita e della morte. Tutti i defunti sono rimasti in un luogo di mezzo tra l’aldiquà e l’aldilà, ed ogni tanto chiamano per rinfacciare ai sopravvissuti vecchie colpe del passato. Continueranno a restare in questa terra di mezzo finchè tutti i personaggi non avranno preso consapevolezza delle loro azioni, della loro natura, finchè non avranno superato il dolore trovando la forza per ricominciare a “vivere”.Per ora, hanno provato a darsi un freddo ordine interno, corredato di tutti i suoi piccoli perbenismi, le sue piccole ipocrisie, le sue dinamiche di potere, le sue ingiustizie. Purtroppo anche nei momenti più drammatici e catastrofici l’uomo trova la forza per non essere solidale ed è per questo che in questo deserto arriva la natura , sotto forma di una misteriosa divinità pronta a interrompere gli oltraggi subiti, a riattivare il motore di desiderio che la natura stessa aveva disattivato per riaggiustarne il calibro, a far da ponte tra la vita e la morte, a far da specchio nei talenti e nelle debolezze di questi personaggi. Rubens: la divinità naturale sotto le vesti di un mercante, zingaro errante un po’ cialtrone, pronto a vendere i desideri più intimi ad ognuno di loro, a sciogliere il ghiaccio che ha gelato le loro menti, pronto a mostrare ciò che normalmente è celato, pronto a far perdere tutto per rivalutare le cose più importanti: il desiderio di pace, semplicità, amore, la strada verso il “bel paese”. Per interagire con i sopravvissuti sceglie di fare il percorso più umano ,il cammino verso la morte e percorrendo questa strada così umana, abbracciando il cuore di ciascun personaggio, danzandoci sopra come un pazzo ballerino, ne rimane coinvolto, si coinvolge di sentimenti , guardando le cose da qui , dal disarmante punto di vista mortale. Tutti saranno vittime e carnefici, capaci di essere amabili e disprezzabili vivranno questa dolorosa tragedia della perdita e come in ogni comunità che si rispetti ci sarà bisogno di un capro per uscire dal caos, qualcuno che possa soccombere perché qualcun altro possa stare meglio. Sarà il loro mondo interiore, la loro inconsapevolezza, la loro umanità, la loro dolcezza , la loro violenza, le loro vite sospese smarrite a raccontarci ”l’anima e i suoi movimenti”, lo spaesamento e la difficoltà nel trovare una strada certa, non spaccata ma solida davanti a loro.Questo spettacolo, questo testo, questa storia è per me il tentativo di scattare una fotografia all’eterno terremoto in cui viviamo, alla disarmante ineluttabilità della natura… è il tentativo di trovare una conciliazione profonda con la natura che è in tutte le cose, di trovare delle risposte alle favole che spesso ci raccontiamo. E’ la speranza di trovare sempre la forza di ricominciare a vivere, anche quando le dolorose circostanze ci lasciano solo sopravvivere.fausto Russo Alesi

Compagnia Massimiliano Civica
La Parigina di H.Beque
regia di Massimiliano Civica
Prima Nazionale

Henry Becque in una poesia confessa che il suo dramma nasce da uno spunto autobiografico, e di aver fatto una volta nella vita la parte dell’amante: «La freddezza ci tiene avvinti, il tradimento ci fa incollerire; io ho conosciuto questo supplizio, e l’ho sopportato, per una parigina dal sorriso sfrontato, che mi crocifiggeva senza scrupolo né vergogna. Ma di che ti lamenti? Pensa, pensa al marito, stoico o mansueto, che porta in giro ovunque questa donna pubblica, e rientra ogni sera disonorato a casa sua» La Parigina è un dialogo a due a distanza, in cui Becque inonda la sua amata di accuse e recriminazioni, senza darle diritto di replica. Per aver potere sulla sua parigina, per sbatterle in faccia il suo disprezzo, per insegnarle quanto è brutta e ignobile, egli scrive La Parigina. Rispondere ad un accesso di collera con la lentezza e l’articolazione della scrittura. Mantenere acceso con cura il proprio rancore e insieme distillarlo in frasi precise che disegnino con chiarezza la mostruosità del comportamento della sua donna. C’è qualcosa di enorme in questo atteggiamento di Becque. Sola una persona fondamentale merita tutto questo odio.
Becque probabilmente non accettava che bello e brutto potessero congiungersi, che una stessa persona potesse essere in momenti diversi ammirevole e spregevole, splendida e squallida, saggia e sciocca. Becque probabilmente soffriva nel non poter serrare la sua parigina in una definizione, nel non poterla possedere come un’unità conoscibile. Becque non perdonava al suo amore di essere quello che era, di non pareggiare la donna dei suoi bisogni. In fondo le rimproverava di… Il giudizio alla fine non viene espresso, c’è un’eccedenza, una “dismisuranza” dell’umano che sospendono ogni condanna. Becque malgrado il proprio dolore (e forse le proprie stesse intenzioni), fa della sua parigina un eroina, sia pure dalla tragicità dimessa, la sola concessa a noi contemporanei. Becque concede alla sua donna la dignità della sofferenza, il diritto al dolore: il suo desiderio d’amore, al di là delle convenzioni del classico triangolo moglie-marito-amante, ha qualcosa di titanico e struggente; e la sonnacchiosa sconfitta a cui è destinato non lo rende meno doloroso. In fondo non abbiamo neanche la consolazione di un destino tragico. Essere stupidi e furbi insieme, volere delle cose e non riuscire ad ottenerle, non sapere neanche di star male. Comportarsi bene o male malgrado noi stessi, essere ingiusti comportandoci correttamente e sbagliare come dei santi. Sono affascinato da questo malgrado noi stessi, malgrado tutto… Mi sembra che ci sia una possibilità di comprensione e compassione dell’altro solo con la capacità di riconoscere e di saper vedere questa eccedenza, di accucciarsi e rifugiarsi in un «non giudicare e non sarai giudicato».Mi piace finire con un verso di Alda Merini:La santità è di tutti, come di tutti è l’amore. Massimiliano Civica


Armunia Benvenuti s.r.l.
Me Medesimo
di Alessandro Benvenuti
con Andrea Cambi
regia di Giovanni Clemente
Anteprima
" Me Medesimo " e' l'ultimo lavoro di Alessandro Benvenuti, un monologo che sembra cucito addosso alla straordinaria maschera tragicomica di Andrea Cambi. Sul palco spoglio, una scatola nera, un uomo con una chitarra a tracolla. E’ Cencio, il protagonista che pensa ad alta voce, ricorda, racconta, rivolgendosi cordialmente al pubblico, fa sorridere, ridere, emoziona. E’un uomo in crisi, forse artistica, forse lavorativa, forse familiare; forse e' tutta la sua vita ad essere messa in discussione, forse questo è solo un modo per sopportare l’evidente fallimento. Nella sua mente confusa si accavallano i film della sua vita e delle misere vite di altri cenci, come fossero pellicole dirette da grandi registi del cinema americano. E pensare che lui non ama il cinema. Cencio non si affeziona piu' a nulla, neanche all'alcool, suo vecchio compagno di viaggio che gli ha devastato il corpo e forse anche un po' la mente. E' rimasto forse solo, non si sa dove, a rimuginare e a raccontare la sua storia confondendola con altre storie. Unica consolazione un'amicizia femminile, forse vera, forse inventata, la Betty.
Andrea Cambi
Il tortuoso percorso artistico di Andrea Cambi dura da vent’anni , tra gruppi di cabaret, improvvisazioni teatrali, programmi televisivi e cinema. Andrea Cambi è attore e comico difficile da definire perché i suoi registri rimandano più al lavoro sulla maschera, teatrale o cinematografica, che alla battuta da cabaret. In particolare negli ultimi anni Andrea Cambi ha lavorato soprattutto per il cinema, lo ricordiamo per esempio nel film corale “La cena” di Ettore Scola.

Armunia Benvenuti s.r.l.
Angelica
Di e con Andrea Cosentino
Prima Nazionale

Fattore K (ex Compagnia Giorgio Barberio Corsetti)
Cesso dentro
di Renato Gabrielli
regia di Sabrina Sinatti
con Massimiliano Speziani e Leszek Chmielewski
Prima Nazionale

Il progetto nasce dalla vicinanza di idee diun drammaturgo, una regista e un attore, con la collaborazione di un danzatore clown, nel dediderio di concretizzare in uno spettacolo un punto di vista feroce e tagliente sulla contemporaneità.
Innanzitutto l’invenzione di un personaggio. Diciamo poi che il nostro personaggio è chiuso dentro un bagno,uno di quei tanti bagni dove chiunque tutte le matt
Ine si specchia, si lava la faccia, ragiona con se stesso, si prepara ad uscire.Ma il nostro personaggio non si prepara ad uscire, anzi non vuole proprio uscire. E a guardare bene da dove dovrebbe uscire? Nel bagno infatti non ci sono porte,né finestre , non c’è neanche un lavandino, ma tutto è esageratamente pulito. UNC(l’uomo nel cesso) si è volontariamente chiuso nel bagno,sviluppando la fantasia di essere spiato da una telecamera nascosta, ritenendo di essere l’unico protagonista di un reality show scatologico e paranoico: posta in palio un milione di euro, se riuscirà a resistere chiuso nella latrina per trenta giorni…


Armunia Edgarluve Casa del Teatro
Titolo da definire
liberamente ispirato a “La metamorfosi” di F. Kafka
ideazione e regia edgarluve
drammaturgia Alessio Traversi
con Valerio Michelucci
Studio

Titolo da definire è la prima tappa della trilogia del tU, una trilogia sulla scoperta e sulla perdita dell’altro, elaborata a partire dalle opere di Kafka. Questa trilogia segue la trilogia dell’iO, realizzata da edgarluve negli anni compresi tra il 2001 e il 2004 a partire dalle opere di A. Camus, ed è la seconda parte di un progetto di produzione pluriennale denominato Pronomi personali. Il cardine principale sul quale poggia la rielaborazione drammaturgica de “La metamorfosi” di Kafka consiste in un rovesciamento del punto di vista del racconto originario: il centro dell’azione non si trova più nella camera in cui vive recluso Gregor Samsa trasformato in scarafaggio, ma in un luogo posto all’esterno della stanza; un luogo che rappresenta il “fuori” dal quale percepire, senza potervi entrare compiutamente in relazione, l’avvenimento meraviglioso e spaventevole della trasformazione che accade “dentro”. Lo spazio nascosto è lo spazio del “tu”, e anche la sua immagine elementare: una mancanza che evoca ciò che riconosciamo esistere, sia fuori che dentro la nostra persona, come altro da noi. L’occhio che guarda non è qui quello di Gregor, che è presente solo come assenza dietro una parete posta sul proscenio e munita di un angusto passaggio che ricorda quello di una tana; è l’occhio della sorella Grete, posto a fare da intermediario tra lo spettatore e quella porta chiusa. La sorella è dunque il punto di snodo attraverso cui lo spettatore incontra il Tu nascosto, rinchiuso, segregato, perduto; è per questo essa stessa limite, soglia da oltrepassare per entrare sulla scena, o più propriamente sulla scena del delitto; non è più un personaggio che assiste al succedersi degli eventi incapace di interventi risolutori, come nella trama kafkiana: qui essa diventa a suo modo artefice della metamorfosi, e nello stesso tempo della sua rimozione. Non è la metamorfosi ad essere messa in scena, ma la generale sensazione di malessere che ci colpisce in quanto microscopici e superflui ingranaggi di un meccanismo complessivo che spesso ci appare privo di senso; non il deperimento di un singolo individuo ma quel complessivo “sfacelo del mondo dell’uomo” che sempre si trova al centro delle allegorie kafkiane. E’ la messa in scena di ciò che viene percepito come scarto della realtà e della società, e che pertanto, tra degradazioni ironiche e improbabili recuperi di umanità, non può avere altro punto di arrivo che una discarica.

Armunia Teatro Agricolo
Lupi
narratori Alice Giulia Di Tullio, Giovanni Balzaretti
arpa celtica Andreina Sirena

Fedro, Esopo, Andersen, Perrault, Rodari, Hesse, Calvino, Grimm, Tolkien, Rowling, Prokovief, Allen, Pennac, S. Francesco, Tolstoy, Pirandello, Kipling, London...
tradizioni popolari, tradizioni religiose, leggende...
Due contastorie stanno costruendo un repertorio. Sui Lupi.
Lo spettacolo si adatterà al luogo in cui saranno ed all'auditorio che avranno di fronte.
La proposta è adatta quindi ai bambini da 0 a 99 anni, rappresentabile in asili, aule, teatri, biblioteche, cortili, feste...
Alcune storie fanno ridere… altre fanno paura...
“Del mondo contadino, che mantiene la memoria del tempo, dove i lupi giganteggiavano e si misuravano con l’umanità, il teatroagricolo si dichiara erede; e mette al centro delle sue storie proprio i lupi: ambigui, commoventi, eroici, ridicoli e nobili. Arcaiche figure di una civiltà che scompare ma alla quale, controcorrente, questi affabulatori, Giovanni Balzaretti e Alice Giulia Di Tullio, si ostinano con coraggio a ridare voce. La cultura emarginata non è quella peggiore, quella da costringere a una silenziosa sconfitta” Concetta D’Angeli

Armunia
Hic sunt leones
Di e con Oscar de Summa
Studio

Gogmagog
Inaus

Scritto da Tommaso Taddei e diretto dal regista di cortometraggi Graziano Staino, lo spettacolo Inaus ha come protagonisti due loschi personaggi: il nano e Vincenzo, interpretati da Tommaso Taddei e Carlo Salvador della compagnia GOGMAGOG, I due sono costretti a stare insieme per rispettare "l'incarico" preso vivendo in uno spazio senza tempo dove regnano i ricordi e le paure. Si tratta di paure che prendono forma e diventano voci.... voci sussurate potenti come boati. Le musiche originali dello spettacolo sono state realizzate appositamente dai Lumiere Electrique, cioè da Alessandro Paderno e Alessandro Stefana (chitarrista di Marco Parente e Vinicio Capossela). Con questa intensa colonna sonora INAUS coinvolge lo spettatore e lo trasporta, anche dal punto di vista sonoro, in una magica e tetra atmosfera di luci ed ombre create da Marco Falai. Da sottolineare l'intervento nello spettacolo dello scrittore Emidio Clementi (la notte del Pratello, L'ultimo Dio) e della sua tagliente voce ( Maasimo Volume, El Muneria ).

Vincenzo Pirrotta
Titolo da definire

LA DANZA:

Collection particulière
Ideazione, coreografia e interpretazione di Maria Donata D’Urso
Concept lumière: Yves Godin
Création sonore: Vincent Epplay
Réalisation décor: Jérôme Dupraz
Prima nazionale

Production Bomba Suicida Executive Production Portogallo
Haikus
Di Sónia Baptista
Regia e Interpretatione Sónia Baptista
Video
Rui Ribeiro Light Design Pedro Machado
Stalker Co-Production
Danças na Cidade
Prima Nazionale

ClimaxProject. Epigenesi.
Di Alessandro Carboni e Danilo Casti
Danza e coreografia: Alessandro Carboni
Suoni e musiche: Danilo Casti
Luci: Pavla Beranova
Prima Nazionale

Di stanze
Progetto e realizzazione di Luisa Cortesi
scenografie di Massimo Barzagli
Rappresentazione in bilico tra danza, pittura, fotografia e video.
Prima Nazionale

Giovanna Velardi
Corto circuito #1
Coreografia Giovanna Velardi
Composizione musicale Philippe Deschepper
Interpreti Giovanna Velardi, Massimiliano Geraci, Philippe Deschepper
Prima Nazionale

Il Teatro racconta la guerra
Rassegna nelle piazze dei paesi collinari dal 22 al 24 luglio e dal 29 al 31 luglio

DEDALOFURiOSO e PATRICIAZANCO
Non ricominciamo la guerra di Troia (S. Weil)
Primo studio per voce e percussioni
Drammaturgia Patricia Zanco e Daniela Mattiuzzi
Regia Zanco-Mattiuzzi
Con Patricia Zanco, Roberto Dani & Liberation Drums Orchestra, e la partecipazione del piccolo coro Ludus Musica di Elena Fattambrini e Giorgio Gobbo (piccola bottega Baltazar)

Smascherare l’inutilità della guerra e le parole che le accompagnano. La guerra non ha mai avuto e non avrà mai senso. Che bisogno c’è di combattere? Dal combattimento traete esaltazione, la soddisfazione di un bisogno? La vita ci trova estranee/i a tutto questo! Cosa fare? Un’azione artistica e vitale, intrecciando la voce, il suono, la musica – per svelare la miseria segreta della guerra.“E come nell’Iliade si paragonano i guerrieri all’incendio, all’inondazione, al vento, alle bestie feroci, a qualsiasi causa cieca di disastro, oppure agli animali paurosi, agli alberi, all’acqua, alla sabbia, a tutto ciò che è mosso dalla violenza delle forze esterne”. (S. Weil)Gli stereotipi ripetitivi della Storia, e aggiungerei della politica, sono sempre molto prevedibili. Uomini che, in nome di sacrosanti valori quali la vita e la libertà, mettono in moto la macchina da guerra. Si è ripetuto e si ripete infinite volte nella Storia, senza che nessuno interrompa questa maledetta violenza con la forza di un agire senza trovare quelle parole nuove e quelle azioni che possono nascere invece da un autentico coinvolgimento con la storia e con la vita. Quelli che vogliono la guerra sono uomini che non sanno giocarsi sul terreno della novità e cercano soccorso in tutto ciò che è già stato collaudato. Un I° Studio che mette in gioco il mio percorso artistico con la regista Daniela Mattiuzzi e l’incontro con un orchestra di percussioni la LDO guidata da Roberto Dani, e la costante ricerca di esplorare testi di donne del passato che continuano a parlarci oggi come: Simone Weil, Virginia Woolf, Maria Zambrano e Wislawa Szymborska.
(Patricia Zanco)

NARRAMONDO teatro SABRA E CHATILA da "Quattro ore a Chatila" di Jean Genet nella traduzione di Paolo Brogi (Frigidaire) e da"Sabra e Chatila, inchiesta su un massacro" di Amnon Kapeliouk
regia di Nicola Pannelli collaborazione alla regia di Filippo Dini
con Nicola Pannelli e Carlo Orlando collaborazione tecnica di Laura Benzi

Due personaggi beckettiani, un uomo su sedia a rotelle e un ragazzo a torso nudo, accompagnano lo spettatore nell'inferno di Sabra e Chatila. Angeli o demoni? Non si sa, ma conoscono i fatti, perché li hanno visti e non hanno mai smesso di pensarci. Da un testo di Jean Genet la toccante interpretazione di una tragedia contemporanea

La Corte Ospitale
Il bambino del 7 luglio
Reggio Emilia 1960
di Franco Brambilla e Giovanna Guaitoli
ideazione e regia Franco Brambilla
con Ruggero Cara

Se occhi guardano, le cose diventano vere. Mutano, si trasformano, quando la tragedia vi scoppia improvvisa.
C’è un bambino che si aggira per le strade e le piazze di Reggio Emilia nella mattinata e nel pomeriggio del 7 luglio 1960, gioca, ascolta, vede. Un intellettuale, Carlo Levi, scriverà pagine struggenti, descrivendo il suo incontro con quel singolare bambino. Ora, non più bambino, Paolo, smarrita la spontaneità, l’immediatezza e le certezze, si riappropria di quei fatti, li scioglie dalla ricomposizione celebrativa in cui gli anni li hanno confinati e li ripensa in un flusso di coscienza tra ricordi, nostalgia, rabbia, domande che non hanno ancora trovato risposte, nonostante un processo che ha risposto, ma ha liquidato una tragedia con un tutti a casa. Lo spettacolo, attraverso la storia di quel bambino ora adulto, ripercorre un’epoca, la fine degli anni ’50, con le contraddizioni tra città e campagna, boom economico e necessità di emigrare, voglia di ballare e durezze quotidiane, giovani che vogliono emanciparsi dalla storia dei padri e una realtà politica che non li lascia sognare, ma li costringe a misurarsi con forze dell’ordine che rispondono agli ordini di un governo che pensa di poter liquidare le istanze democratiche, forze dell’ordine, dunque, vissute tragicamente come arma di offesa contro operai e cittadini inermi. Immagini, musiche, registrazioni sonore, materiali d’epoca sono l’ambiente scenico nel quale si declina la storia di Paolo che, casualmente, si è intrecciata con la Storia dei cinque assassinati a Reggio Emilia, e gli ha lasciato dentro un dolore che non può trovare tregua: perché hanno dato l’ordine di sparare? I suoi amici grandi, adulti, a terra, senza vita. non trovò una risposta allora, è in grado di trovarla adesso? La resa scenica, attraverso la vita di Paolo, pone domande, cerca risposte che vengono rappresentate anche attraverso la ricostruzione di una cultura di massa che comincia ad affacciarsi, con l’idea di beni di consumo dai quali non si può prescindere, la televisione, la vespa, la moto, la macchina… sullo sfondo le irritanti riflessioni di Pasolini che denuncia, profeta inascoltato, la perdita di una originalità contadina e proletaria che sta prendendo le distanze da se stessa in nome di una uniformità e di un benessere che appiattiscono.Paolo si muove tra la storia della sua infanzia e la sua attuale storia, in un percorso che va e viene tra l’allora e l’ora e nel quale non riesce, non può e non vuole prescindere da una sparatoria di tale intensità di fuoco che stordisce ancora. Lo spettacolo si avvale di una ricerca sul clima politico, culturale di quegli anni, di una riflessione sulla volontà politica attuale di ripensare quei fatti, di rileggere gli atti della sentenza della 2° Corte di Assise di Milano, di testimonianze raccolte nella immediatezza dei fatti, della volontà costantemente e caparbiamente dimostrata dai parenti delle vittime, dai compagni e dai cittadini che non hanno voluto e non vogliono chiudere quella ferita.


Fiorenzuola teatro e Babele
Resistenti
Leva militare-926
Di Roberta Biagiarelli e Francesco Niccolini
Con Roberta Biagiarelli

Per esplorare la Resistenza nel Piacentino ci siamo affidati ai partigiani e alle staffette superstiti, intervistandoli e abbiamo attraversato fisicamente alcuni di quei luoghi. Franco Sprega, un uomo con la grande passione per la Storia ed esperto di storia della Resistenza, ci ha fatto da guida. Per presentare il lavoro di indagine e ricerca a cui siamo giunti finora,prendiamo a prestito le parole che ci ha scritto un nostro caro amico,Fabio Masi, dopo aver letto una prima stesura del testo a cui siamo pervenuti: “Cara Roberta, caro Francesco,Credo sia un bene che non abbiate letto tanti saggi sulla Resistenza do altri libri di memorie, perché il vostro è un racconto non influenzato da niente, ma è solo la storia pulita, limpida, senza scorie, di persone allora giovanissime che si sono trovate a vivere in quella stagione. Non c’è la politica militante, certo sullo sfondo ci sono le figure dei Molinari , che hanno fatto da traino e lo hanno fatto senza volerlo essere, dal racconto emerge la casualità con cui tanti si sono trovati a fare qualcosa che mai avrebbero pensato di fare. La grande lezione di moralità che la Resistenza possa aver insegnato è quella di rimanere persone con la propria umanità, solidarietà e senso civico.Non c’è ne fu molta di moralità, e anzi le tragedie disumane non mancarono tra i Resistenti e la figura tragica di Giovanni Molinari, scampato ai fascisti e ucciso da altri partigiani è esemplare di vicende innumerevoli che hanno attraversato la lunga , ininterrotta guerra iniziata nel ’15 e non terminata nel ’45.Il testo non nasconde nulla , parla di persone, del caso, delle scelte,di tragedie e di divertimento.L’intreccio di quelle vicende con la storia recente d’Italia e con l’oggi è ancora forte, ma ho l’impressione che solo ora possiamo comprendere qualcosa, a orami quasi venti anni dalla caduta del comunismo,con il pericolo che tutto sia cancellato, che tutto divenga uguale. Raccontare di queste umane vicende, credo sia l’onore più grande che si possa rendere a chi, comunque, stava dalla parte giusta.Roberta Biagiarelli Francesco Niccolini


Cantieri teatrali Koreja Via Ideazione e progetto di: Fabrizio Saccomanno e Stefano De Santis
Drammaturgia e regia: Fabrizio Saccomanno
Consulenza artistica: Salvatore Tramacere
con: Fabrizio Saccomanno e Cristina Mileti

Koreja punta il goniometro della parola…per tessere, in una commistione di italiano e dialetto, un racconto di 70 minuti, a portare a galla la tragedia che scosse l’Italia del dopoguerra. Palco nudo – solo due sedie per due attori, fondale e quinte semplicemente nere – e una coppia ossimorica, a unire il talentino al Belgio. La moglie (Cristina Mileti), uscita da una pantomima di Jaques Tati, osserva l’immobile amarcord vivace del marito (Fabrizio Saccomanno). “Miei cari, ricordi veri!” annuncia l’uomo. L’Italia che non vuole dormire, l’Italia che si ammala di silicosi, l’Italia che la sera va nelle balere. Il popolo italiano che non conosce l’accordo tra l’Italia e il Belgio. Poi i treni, Salerno, Milano, Chiasso, la gente che vorrebbe rifugiarsi in Svizzera ma i vagoni sono sigillati. L’Italia che s’inventa un gioco – boccette, tressette o una conquista – e che si apre a ventaglio per poi essere risucchiata in un imbuto. E lì in fondo una “Via”. Via Milano. Oggi via martiri di Marcinelle.


Armunia
Ostaggi di pace
Di e con Akram Telawe,
con Giuliana Mettini (voce), Stefano Cocco Cantini (sax), Mauro Grossi (pianoforte), Alessandra Carlesi e due percussionisti Prima Nazionale


Teatri della Resistenza
Turni di Guardia
L’eccidio-Ode ai minatori
Di Dario Focardi
Regia Teatri della resistenza
Con Simone Faucci, Dario Focardi, Eleonora Gravagnola e Tebana Masoni

Il 13 e 14 giugno 1944 nello spicchio di terra che separa la provincia di Pisa da quella di Grosseto, viene compiuto uno dei più tremendi eccidi contro civili della seconda guerra mondiale in territorio italiano. 83 minatori della miniera di Niccioleta, un piccolo villaggio minerario nel comune di massa Marittima, colpevoli di amare il proprio lavoro e la propria miniera, vemgono assassinati dal 3 battaglione di Polizia delle SS composto per lo più da militi italiani. Il 13 giugno vemgono fucilati nella stessa Niccioleta 6 minatori, il giorno dopo il 14 giugno vengono fucilati i restanti77 minatori a castelnuovo Val di cecina.
Turni di guardia L’eccidio è un ode per 4 attori che cerca di costruire un momento di reale e viva riscittura epicocollettiva di questa tragedia dimenticata.Un ringrziamento particolare va all’aiuto insostituibile che ci hanno fornito i familiari che con la loro passione e pazienza ci hanno accompagnato in questo viaggio nella memoria


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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