ateatro 84.4 Un Pinocchio di strada Operazione Pinocchio nero di AMREF-Baliani Dalla scuola-casa teatro di Nairobi allo spettacolo e ai libri di Andrea Balzola
Si è concluso al Gran Teatro di Roma, dopo Parma, Bologna, Milano e Firenze, con grande successo e migliaia di spettatori (tra cui bambini e ragazzi delle scuole, grazie anche all’appoggio dato all’iniziativa dalla giunta Veltroni), il “Paese dei Balocchi Tour 2005” che ha ripresentato in Italia lo spettacolo Pinocchio nero, interpretato da 20 ex ragazzi di strada di Nairobi, con la regia di Marco Baliani, insieme a due libri appena usciti: Pinocchio nero. Diario di un viaggio teatrale, Rizzoli, dello stesso Baliani, e The Black Pinocchio. Le avventure di un ragazzo di strada (con Dvd dello spettacolo), Giunti, di Giulio Cederna e John Muiruri.
E’ il punto d’arrivo di un progetto complesso e di lunga durata, che dimostra ancora una volta come il teatro e l’arte, con valide motivazioni e capacità, possano dare un contributo concreto e straordinariamente efficace nelle emergenze etiche e sociali della nostra epoca. Una risposta esemplare a coloro che pensano, e sono purtroppo ancora molti in Italia, tra i cittadini ma anche nelle istituzioni, nel governo e nei partiti, che “l’arte non serve” e quindi non vale la pena di investirvi denaro, attenzione e sostegno.
Su ateatro 42, in una lettera aperta agli “artisti e amici del teatro”, Marco Baliani aveva annunciato di aver dato inizio, nel 2002, “a un workshop teatrale con ragazzi di strada di età compresa tra i 10 e i 17 anni, che vivono nella discarica di uno degli slum (baraccopoli) di Nairobi”, nell’ambito del progetto ”Acting from the street” da lui proposto, in collaborazione con il Teatro delle Briciole di Parma, in forma di volontariato artistico all’associazione AMREF (African Medical And Research Foundation) che da anni si occupa, di promuovere iniziative laiche di sostegno allo sviluppo dei popoli africani. Una delle attività principali dell’AMREF, con il programma “Children in need” e sotto la guida ventennale dell’assistente sociale John Muiruri, è il recupero dei ragazzi di strada (circa 130.000 nella sola Nairobi), chiamati spregiativamente “chokora” (coloro che vivono di rifiuti), anche molto piccoli, orfani o abbandonati dalle famiglie, vittime di abusi di ogni tipo. Per loro il teatro è diventato casa e scuola, un’ospitalità concreta che ha garantito loro vitto, alloggio, assistenza sanitaria e sicurezza (oggi anche diritti civili e un passaporto che mostrano orgogliosamente alla fine dello spettacolo) e insieme una formazione multidisciplinare, artistica, culturale e corporea, dove il teatro è stato la chiave ludica e simbolica di interpretazione ed emancipazione del loro drammatico vissuto.
Il training condotto da Baliani e da altri professionisti da lui coinvolti, italiani (Letizia Quintavalla, Maria Maglietta, Elisa Cuppini, Morello Rinaldi, Riccardo Sivelli) e kenioti, ha insegnato a questi ragazzi, straordinari per la loro vivacità e prontezza, le tecniche della danza, del disegno, la realizzazione di scenografie, costumi e burattini, l’importanza e la possibilità del racconto come strumento di riflessione ed elaborazione dell’esperienza. Tutto questo percorso è stato coagulato da Baliani e dai suoi collaboratori intorno alla favola di Pinocchio, reinterpretata alla luce delle storie reali raccontate da questi ragazzi e raccolte nel libro di Cederna e Muiruri (in cui ha dato un contributo fondamentale proprio uno di questi ragazzi, Peter Ngigi, che oltre a raccontare se stesso ha intervistato i suoi compagni di sventura e trascritto le loro voci con un linguaggio limpido e poetico). L’universalità del racconto collodiano è stata messa con successo alla prova in quest’ennesimo adattamento, dove si scopre che come dice Baliani: “In fondo la storia di Pinocchio è anche quella di un ragazzo di strada che faticosamente, in mezzo a mille pericoli e tentazioni, la sfanga, riesce a salvare la scorza di legno, a farla diventare pelle nuova, con una testa piena di nuovi pensieri”. E il ritratto di Pinocchio nella riscrittura drammaturgica del testo è così diventato quello di un “chokora”: “Da lontano può sembrarci un pezzo di legno. Un manichino. Uno spaventapasseri. Porta un vestito lacero, due taglie più grandi. Non si lava da giorni. Ha il naso allungato da un barattolo di colla. Gli occhi vitrei, inespressivi, iniettati di sangue. I capelli incrostati, come segatura. In pochi istanti ci è addosso. Biascica parole roche in cerca di aiuto…” ma, se si è capaci di sfamarlo e di ascoltarlo, come scrive Cederna, poco alla volta si scopre che il Ragazzo di Strada è “una persona speciale, come non abbiamo mai avuto modo di incontrarne. Un piccolo principe in un mondo fatto di fango…”
Con questo programma di recupero e protezione combinato al processo simbolico d’identificazione nei personaggi e nelle situazioni del progetto teatrale, i 20 ragazzi coinvolti hanno dato presto dei risultati sorprendenti e ora formano una vera e affiatata compagnia di attori-danzatori (a loro volta impegnati a continuare ed estendere l’aiuto agli ex compagni di strada).
Lo spettacolo, che seleziona alcuni episodi principali della favola collodiana (tralasciandone altri come quello del gatto e la volpe) e li trasforma in eventi corali, raggiunge i suoi momenti poetici più alti proprio quando riesce a compenetrare il senso del racconto con la realtà specifica a cui s’ispira, come quando, all’inizio, tutti i ragazzi s’irrigidiscono come pezzi di legno, oscillano e cadono a terra, formando una “discarica” umana, da cui prende poi vita Geppetto e nasce la storia. Oppure quando, inseguendo Pinocchio nella sua prima fuga, gli inseguitori diventano tutti burattini come lui. O quando il Paese dei Balocchi diventa la proiezione dei desideri dei ragazzi di strada reali: vedere film a luci rosse, sniffare colla, bere birra, mangiare camion di polli e soprattutto giocare a pallone per tutto il tempo, il vero mito di emancipazione contemporanea dei ragazzini poveri africani. O quando il testo, ridotto a brevi frammenti, cerca sintesi emblematiche come nel monito di un Mangiafuoco stregone, sui trampoli: “Pinocchio non fidarti mai troppo di chi ti sembra buono e ricordati che c’è sempre qualcosa di buono in chi ti sembra cattivo!” (tratto dal Pinocchio di Comencini). La dimensione poetica diventa poi magia scenica quando il racconto trova la sua espressione nell’immaginario africano, come nella bellissima scena dell’uccisione di Pinocchio e della sua resurrezione ad opera di una Fata Turchina velata che indossa una maschera di grande intensità espressiva, circondata di altri spiriti mascherati. Il cortocircuito della finzione teatrale, ricorrente in tutta la storia, dal teatro dei burattini di Mangiafuoco al circo dove Pinocchio-asino è esposto, si compie poi pienamente nel finale, dopo il salvataggio di Geppetto, quando un popolo di burattini avanza portando ciascuno sulle spalle il proprio doppio umano, il “personaggio” porta sulle spalle o in braccio la “persona”, cioè la responsabilità e la possibilità di conquistare la dignità di uomo, condizione in cui Pinocchio può finalmente trasformarsi in un bambino, con pieno diritto di esserlo.
Il teatro diventa quindi casa di un progetto antropologico, l’attore attraverso il personaggio trasporta l’uomo verso la realizzazione di se stesso. Tutti ugualmente bravi e particolarmente espressivi i giovani e giovanissimi attori, tra cui vogliamo segnalare i due ragazzini che interpretano Pinocchio e il Grillo parlante, la cui intensità mimica e gestuale non sarà facile ritrovare sulle scene pinocchiesche del passato e future. Grande merito di Baliani, oltre che l’ideazione stessa e la conduzione felice di un progetto non certo facile, è di aver messo a punto in questi anni, sperimentandolo nei suoi laboratori (tra cui quello biennale dei giovani del Mediterraneo) e nei suoi spettacoli interetnici e interculturali, dove non a caso ritornano in nuove varianti motivi e soluzioni sceniche, un metodo di integrazione delle forme espressive teatrali e personali che nasce dalla capacità di ascoltare le singolarità umane e di far esprimere i diversi contesti socio-culturali, senza forzature ideologiche o precetti precostituiti. Partendo insomma dalla materia prima della persona e costruendo passo dopo passo una drammaturgia “povera” su archetipi e prototipi (per dirla con Kerenyi e Jung) universali o interculturali, che mettono in relazione creativa le alterità rimettendo in gioco, nella loro apparente semplicità, profonde risorse simboliche capaci di far attecchire e germinare il senso e i sensi del teatro.
Foto di scena di Carla Mori
Pinocchio nero (The Black Pinocchio)
Creato con i ragazzi di strada del progetto “Children in need” di AMREF
Progetto e regia di Marco Baliani
Collaborazione drammaturgica di Maria Maglietta e Letizia Quintavalla
Coreografie di Elisa Cuppini
Scenografie di Morello Rinaldi e Riccardo Sivelli
Con Onesmus Kamau, Patrick Kamau, Samuel Gakuha, Wilson Franco, Wycliffe OnyWera, Alex Wagacha, Daniel Kamande Ng’an’a, Tennis Kiarie Mumbi, George Kamau Wangari, John Chege, George Ngugi Kimani, Joseph Muthoka, Kevin Chege, Michael Mwaura, Mohamed Kamau, Nahashon Mbugua, Ibrahim Karanja, James Ng’ang’a, John Muthama, Joseph Kamau
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