ateatro 83.20 Anteprima di "Hystrio 2/2005": la scena del caos Una scheda su Teatro Aperto di Oliviero Ponte di Pino
E' uscito il nuovo numero di "Hystrio". Tra i numerosi materiali, questa scheda su Teatroaperto.
A Milano, dopo i cupi e sanguinosi anni Settanta, quando nacquero diversi teatri destinati a segnare i successivi decenni (Franco Parenti, Elfo, Out Off), l’euforia consumista di moda, televisione e pubblicità dei “dorati anni Ottanta” sembrava aver fatto definitivamente piazza pulita, come se in città non ci fosse più il terreno per far nascere nuove realtà. Invece questa ecologia in apparenza devastata ha cominciato imprevedibilmente a produrre una piccola galassia di gruppi e compagnie. Nate e cresciute fuori dai circuiti e dalle strutture consolidate, più vicine alla marginalità dei centri sociali che al centro della città, in un proliferare febbricitante e semiclandestino di corsi e workshop (secondo le regole non scritte della formazione e autoformazione del nuovo teatro), queste realtà erano per certi aspetti vicine a quei “Teatri Novanta” che avrebbero segnato l’emergere di una nuova generazione teatrale, destinata a notevole fortuna.
Curiosamente, in quella Milano, in quei gruppi, c’era persino chi alla scena ci arrivava piuttosto tardi, dopo percorsi professionali ed esistenziali molto lontani dal canone, quasi a conferma di un bisogno di teatralità latente e che è riuscito a diventare vocazione solo dopo una sorta di conversione. E’ il caso di Andrea Facciocchi, fotografo folgorato dall’Odin Teatret e fondatore di Extramondo; e di Renzo Martinelli, corridore motociclista diventato regista di Teatro Aperto sulla scia dell’incontro con Danio Manfredini e della frequentazione di un outsider della scena milanese come Mario Montagna, animatore del Teatro i. E come spesso accade, la nascita del gruppo nel 1993 è il frutto di un incontro. In questo caso, il legame con Federica Fracassi, giovane attrice di temperamento e di forte presenza formatasi alla Paolo Grassi di Milano.
A caratterizzare il percorso di Teatro Aperto è il constante confronto con testi non teatrali, narrativi, e in particolare con la scrittura femminile: Marguerite Duras e Alda Merini per Lenti in amore (1995-96), Clarice Lispector per Cuore d’infinita distanza (1997), Sarah Kane per Omaggio a Sarah Kane (2001), Anna Maria Ortese per La lente scura (2003). A emergere in primo piano non è mai l’aspetto direttamente narrativo, quanto piuttosto il tessuto e il respiro delle frasi, il tentativo di evocare e costruire una materialità fatta solo di parole, l’appropriazione fisica del testo da parte dell’attore, e il rapporto che tutto questo può creare con lo spettatore. E’ un terreno esile e fragile, che vive di atmosfere, sempre sospeso tra la ricerca di una precisione assoluta e la costruzione di tensioni che non possono trovare l’espressione della logica e della razionalità.
Di conseguenza assume un ruolo determinante la cornice, il luogo in cui si inserisce questo vibrante respiro-parola: non a caso una delle interpretazioni più intense di Federica Fracassi è la Teresa di Lisieux della Santa, 2000, la cui voce è ridotta nell’intero spettacolo a un respiro-rantolo. E’ dunque costante l’attenzione allo spazio: a volte può quasi diventare una macchina che genera questo corpo-respiro, in altre occasioni è animato da vere e proprie trovate scenografiche a effetto, come la tavola meticolosamente imbandita con argenti e cristalli per gli spettatori ospiti, mentre l’attrice monologa completamente nuda su uno sgabello in Legittima difesa (1998); o come la grande nuvola che nel colpo di scena finale invade lo spazio della Santa. In questa ottica possono forse essere inserite anche le performance con cui Teatro Aperto misura lo spazio con una rombante motocicletta (Quel m2 mai visto, 1999, ispirato a Bing di Beckett). E’ dunque una poetica che tende a intrecciare e contaminare letteratura e arti visive, con una forte attenzione agli aspetti musicali, e alle sonorità della parola.
Negli ultimi anni, il lavoro del gruppo è stato assorbito dal lavoro sull’opera di Antonio Moresco con il Progetto Caosmologia. A propiziare l’incontro è stata la messinscena della Santa, il breve testo teatrale che lo scrittore ha dedicato a Teresa di Lisieux, uno dei progetti selezionati dal Teatro di Roma in occasione del Giubileo del 2000. E’ seguito un lungo corpo a corpo con Canti del caos, il megaromanzo in progress di cui sono usciti finora i primi due volumi (per Feltrinelli e Rizzoli), per un totale di diverse centinaia di pagine. Già la mole dell’opera, oltre al suo carattere torrenziale, aperto, proliferante e provocatorio fino al limite dello scandalo, spesso programmaticamente metaletterario o meglio antiletterario, può dare l’idea della complessità di un percorso che ha portato a tre tappe spettacolari – o meglio, a tre prove di attraversamento dell’opera, tre possibili sezioni del corpo del romanzo, tre tentativi di dare una struttura chiusa a uno strabordante magma affabulatorio (grazie al poderoso lavoro di Dramaturg di Elena Cerasetti e Federica Fracassi). Per cominciare, una riduzione secondo i canoni di una drammaturgia quasi tradizionale, con un alter ego dell’autore-protagonista a tessere un filo narrativo con i suoi dilemmi di scrittore, ma già contrapposto a un nutrito coro di attori pressoché immobili che sospingono lo spettacolo verso la conquista della musicalità. La seconda tappa, nel luglio 2003 a Santarcangelo dei Teatri, è costruta intorno a un coro di cantanti professionisti, che tessono un autentico tappeto sonoro di vocalizzi, dal quale si staccano via via gli assoli; mentre lo spazio scenico è occupato da un mare di mattoni che nelle loro diverse configurazioni tracciano una geografia dell’ordine e del disordine, fino all’epifania finale, un perdersi e ritrovarsi nell’energia cosmica. Nell’ultima tappa, Kamikaze, nel 2004 per il “Progetto Petrolio” a Napoli, entra in gioco anche l’attualità, con una chiara allusione ai guerriglieri ceceni che hanno occupato il Teatro Na Dubrovka a Mosca: anzi, siamo proprio in un covo di terroristi che stanno pianificando l’azione definitiva – proprio perché scollegata da qualunque causa specifica, salvo appunto un cortocircuito insieme apocalittico e vitalistico, autodistruttivo e forse misticamente illuminante.
Da qualche mese Teatro Aperto gestisce a Milano una piccola sala, il Teatro i: anche nella programmazione: oltre al teatro si apre a musica e letteratura, giornalismo e cinema, accanto a interventi sul terreno politico e sociale. Il gruppo si presenta così come realtà di frontiera, con un baricentro forte ma pronto a ibridazioni e contaminazioni che ne arricchiscano progressivamente la poetica e la tavolozza, in un costante percorso di ricerca.
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