ateatro 82.11
La lingua biforcuta della musica
Una intervista con Ermanna Montanari
di Mario Gamba
 

Foto di Alessia Contu.

Isis è una donna un po’ svampita. Così, senza volerlo, introduce il disincanto nelle sue ossessioni. Io questo spettacolo lo sento leggero. Ecco: mi vengono in mente parole come levità e leggerezza.



Ermanna Montanari bisogna conoscerla. Ragazza-scricciolo con la forza di una maratoneta. Se parla fuori scena, dopo gli olimpionici monologhi in scena a cui ci ha abituato, lo fa con un piacevolissimo fervore.
Voce-corpo, dice il suo partner e regista. Vuol dire che la sua corporeità, Montanari, in scena si esaurisce nella parola? Una corporeità più accentuata, più in movimento, non le manca?


La voce è la carne per me. Il tremolio del corpo. È una voce che danza. Il movimento è lì. Per me è la massima espressione, adoro la parola. La parola è proprio il corpo glorioso. In un altro lavoro del Teatro delle Albe, I polacchi, sono come una marionetta, frullo qua e là. Ma non mi sento più in movimento rispetto alla Mano o all’Isola di Alcina. Per questi lavori e per l’uso della mia voce mi vengono in mente metafore erotiche: ti fai penetrare, sei penetrata…

Questa volta lei è “dentro” la musica o “con” la musica? La sua è recitazione pura o una specie di sprechgesang?



C’è un combattimento con la musica e nello stesso tempo un’interazione. Questa musica ti abbraccia eroticamente, di continuo… È diversa da quella di Alcina: qui vengo scossa e riempita dalla musica, proprio nel corpo. Questa musica è come un serpente con la lingua biforcuta…

Il personaggio di Isis è ancora quello di un’ossessa, una donna al limite. Come Alcina. Lei ha ormai la strada segnata.

Ma L’isola di Alcina era dura, invece La mano è leggera. Quella donna là era un’assassina, questa, invece, è andata a letto col fratello e poi sogna Topolino, ha un immaginario americano. Alcina poteva uccidere, Isis è una donna indifesa, una stuprata, forse.



Senza il rock e i suoi miti, l’eccesso, la dannazione, questa pièce non esisterebbe. Come si è preparata alla parte: ascoltando rock ventiquattr’ore al giorno?

Anni fa avevo un fidanzato che prendeva a modello Robert Plant, lo imitava nel vestire e nelle movenze quando cantava. Ho preso molto da lui. Più ancora ho amato il punk. E qui, in questo nuovo lavoro, qualche richiamo al punk c’è. Anche se io ci trovo alcune tinte dark. Insomma, ho un forte background rock. Esistenziale, direi. Non ho avuto bisogno di ascolti a tempo pieno.



Una domanda personale. Lei è una diva, innegabilmente. In una compagnia che agisce come una comune, con compensi non alti uguali per tutti. Situazione esaltante o frustrante?

Se il Teatro delle Albe non fosse così io non esisterei nemmeno, non sarei quella che sono oggi. Sarei come Isis. Quando ho incontrato Marco ero in una fase di completa distruzione di me stessa. Questo modo di gestire l’impresa, a cui corrisponde poi un modo di lavorare in comune, costruendo gli spettacoli pezzo dopo pezzo, col confronto, con l’ascolto delle idee di tutti, è un dono, un vero dono per me. Mi dà la possibilità di stare al mondo.


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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