ateatro 80.12 Fuori i mercanti dal tempio La pubblicità all'interno dello spettacolo di Fortebraccio Teatro per compensare il taglio del FUS di Roberto Latini (Fortebraccio Teatro)
La sera del 18 gennaio abbiamo presentato lo spettacolo PER ECUBA _ Amleto, neutro plurale con un’interruzione pubblicitaria.
Lo abbiamo fatto per tutta la settimana di repliche a Roma, (e lo faremo, se possibile, per tutte le repliche previste per questo spettacolo) sperando che questa possa essere una buona occasione per non essere comunque in scena dopo la decisione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali che ha ridotto il nostro contributo per il 2004 di circa il 40%.
Nessun problema è un problema fino a che non lo diventa.
Scrivo in corsivo il cuore del problema dal mio punto di vista.
Non è possibile continuare a cavarsela.
Siamo troppo oltre. Neanche il buonsenso.
Rispetto a chi non lo è, essere finanziati è sicuramente un privilegio. Ma essere “tagliati” a fine anno e senza chiarezza di motivazioni, ancora oggi aspettiamo comunicazione ufficiale, diventa insostenibilmente punitivo. Se il teatro è lo specchio di una società, se ne è la misura, se ne è il prodotto, allora vorrei dire che la crisi è oltre. E oltre la soluzione. Altrove. C’è bisogno d’altro. Di fare altro. Cominciando da qualche parte. Forse dal teatro proprio. Magari dalla verità. Dal fare il teatro pensando di fare la verità! Non dirla, farla!
Cercare di non mentire, cominciando col non mentirsi.
Forse potrebbe essere il primo passo per provare a cambiare alcune cose che a loro volta, forse forse, potrebbero cambiarne altre. Mi si perdoni la retorica e l’illusione che mi tiene in piedi. E le speranze che mi accompagnano su un palco.
Abbiamo pensato a quale potesse essere una cosa da fare. Ma quale, visto che quello che facciamo sono degli spettacoli che speriamo servano a qualcosa, che speriamo sempre possano essere almeno una proposta?
Abbiamo deciso di provare a mantenere viva la questione “finanziamenti” andando ad affrontare il paradosso principale della faccenda: servono i soldi per andare a lavorare.
Servono soldi per continuare a lavorare. E servono idee. E coscienza nelle idee.
Il teatro succede insieme al pubblico. E allora bisogna portare il teatro all’attenzione del pubblico. Qualcosa di più. Di diverso. Anche provocatorio, se necessario. Che aiuti a spiegare e che aiuti a capire.
Ho contattato personalmente alcune strutture, ditte o persone, già incontrate nel nostro percorso e che già sapessero di noi.
Ho chiesto loro di sostenere la causa “fortebraccio teatro”, ma anche la causa “sistema teatrale italiano” che volenti o nolenti, cari tutti, riguarda proprio tutti.
Ho proposto uno spazio pubblicitario all’interno della nostra ultima produzione, simbolicamente quella prodotta nel 2004 e proprio quella che è una riscrittura dell’Amleto. Per Ecuba, per Fortebraccio Teatro, per il teatro, ho fatto proposte e ricevuto risposte. Con il massimo rispetto per chi ha detto “no”, per tutti i rispettabilissimi motivi che capisco e condivido, ma anche con la speranza che quei “no” si traducano in proposte altre. In altre ancora. Da sostenere. O a cui partecipare. C’è bisogno di tutti.
Ho raccolto l’adesione di dieci sostenitori che, visti tutti insieme, sembrano perfettamente rappresentativi di una piccola comunità: il Teatro Argot di Roma che ha pubblicizzato il suo ventennale; il Teatro Tangram di Torino, che è un teatro con una programmazione, ma anche una scuola; il Florian Proposta, Teatro Stabile d’Innovazione di Pescara; il Centro R.A.T. di Cosenza, Teatro Stabile d’Innovazione della Calabria che ha pubblicizzato un suo spettacolo; gli attori Alessandro Riceci, Chiara Tomarelli e Filippo Timi, che apparivano con foto e numero di telefono; la ditta romana Andrea D’Amico, servizi per lo spettacolo; una piattaforma per e-learning, cioè una ditta produttrice di un software per scuole on line chiamata Gradus; e infine uno studio di commercialisti ai quali chiedevo fattibilità sull’emissione delle fatture per la pubblicità e che, dopo la spiegazione, hanno voluto partecipare.
Perché la pubblicità c’è stata ed è vera. Nel senso che queste strutture, ditte e persone, hanno pagato e pagano dei soldi per apparire all’interno del nostro spettacolo.
50 euro a replica, calcolando per arrotondamento la paga di un attore al minimo sindacale.
Ma con la possibilità di comprare anche solo una serata o due o il fine settimana, o tutte le repliche con sconti “prendi sei e paghi cinque”.
Apparire quando e come: non prima, né dopo lo spettacolo, non fuori da esso, ma al suo interno. Durante. Ci hanno fornito tutti un’immagine, una foto che potesse essere rappresentativa di loro stessi o del messaggio da veicolare. Abbiamo realizzato un video con immagini montate in sequenza. Uno spot solo, una sola interruzione. Alcuni minuti di sospensione in un punto dello spettacolo corrispondente circa al 60% della durata dello spettacolo stesso, spiegando che il rimanente 40% sarebbe stato possibile solo grazie al gentile sostegno dei nostri sponsor.
Ma l’ironia non è dire che grazie alla pubblicità abbiamo potuto finire lo spettacolo, ma pensare che grazie alla pubblicità abbiamo potuto farlo.
Perché se per far vedere il nostro spettacolo siamo costretti a metterci la pubblicità, siamo pronti a interrompere sempre. E di più. Più volte. Anche fino a portare in scena solo pubblicità da interrompere con il nostro spettacolo. E questa è da considerarsi una notizia in anteprima.
A Roma, abbiamo deciso di non avvisare il pubblico.
Non distribuire niente, né attaccare fuori gli articoli di giornale usciti a proposito, ma di comunicare l’interruzione, al pubblico presente, solo al momento dell’interruzione. Perché è una cosa che riguarda l’andare in scena, lo stare sul palco, non il chiacchierare fuori.
Non so dire se ci sono state persone venute per vedere più la pubblicità o lo spettacolo. So che, in entrambi i casi, sono venute. E per alcuni se la ragione principale è stata la pubblicità, di certo, si sono dovute vedere pure lo spettacolo. Di questi tempi, scusate.
Riporto a mo’ di cronaca che le reazioni dei presenti, da quanto percepito, sono state assolutamente favorevoli. Forse perché è passato chiaramente il messaggio. Mi piace pensare questo.
Allora ringrazio tutti, tutto il pubblico, e le persone con le quali lavoro che, per prime, hanno accettato un’interferenza tale all’interno della propria artisticità.
E chi ha voluto sostenerci. Ma anche chi non ha voluto. Chi ha approvato e chi no, perché discutere almeno smuove dall’immobilismo.
Capire è quasi sempre una scelta.
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