ateatro 79.25 Libri & altro: Regia le sue origini e il suo sviluppo Il teatro di regia. Genesi ed evoluzione (1870-1950) a cura di Umberto Artioli di Anna Maria Monteverdi
L’importanza degli studi di Umberto Artioli, recentemente scomparso, sulla regia teatrale del Primo Novecento è in larga misura legata al fondamentale Teorie della scena. Dal Naturalismo al Surrealismo (dai Meininger a Craig) pubblicato da Sansoni nel 1972 e mai più riedito (se non parzialmente come contributo alla monografia di Attolini su Gordon Craig), e ad alcune efficaci varianti di esso: Teoresi scenica del Primo Novecento raccolto nel volume di Cruciani-Faletti Civiltà teatrale del Ventesimo Secolo, 1978 e Teatro ed esoterismo tra simbolismo e avanguardia nel volume curato da Roberto Alonge e Guido Davico Bonino per la Storia del teatro moderno e contemporaneo (Einaudi, 2000). L’evoluzione della scrittura scenica (con la "fortuna" e con la diversa connotazione o spessore che questo termine ha assunto nel primo e nel secondo Novecento), l’affermazione dell’autonomia del regista rispetto alla materia poetica che per Artioli si incarnava fondamentalmente nella figura grandissima ("profetica") di Gordon Craig, ma anche la definizione di una nuova idea di scena quale "sintesi registica" che traeva suggestione dalla temperie artistica avanguardistica (il Simbolismo soprattutto) sono alcuni dei fili che si intrecciano all’interno di un volume che rimarrà nella memoria di quella storia del teatro intesa come storia del pensiero teatrale.
E’ proprio all’analisi della cinetica-visiva di Craig nel testo sopra citato che Artioli dedicherà alcune delle pagine più importanti (insieme ai volumi di Ferruccio Marotti) sul regista inglese, andando a rintracciare il senso profondo della sua opera in una ricognizione delle costanti visive delle sue regie, dalle giovanili opere in musica Dido & Aneas, The Masque of Love a Rosmersholm e infine all’Amleto di Mosca: l’essenzializzazione segnica delle figure e delle architetture di scena – le cui regole compositive sono messe in relazione significativamente con lo spazio pittorico astratto di Kandinskij – e l’ossessiva ricerca di unità nelle potenti e geometriche forme, nel simbolismo dei colori e nelle suggestioni visive, preoccupazioni tipiche delle sue prime giovanili prove (1900-1902). La "totalità espressiva" del teatro di Craig, secondo una bella definizione di Denis Bablet, era votata alla ricerca dell’epicentro emotivo del dramma, al nodo di tensione dinamica "cercando di non allontanarsi mai dallo spirito dell’opera in cerca di variazioni sceniche". Così Artioli:
Ogni singolo allestimento appare votato alla sottolineatura di una pronuncia emotiva dominante, in forza della quale le vibrazioni del testo poetico o musicale conoscono il proprio corrispettivo nell’organizzazione simbolica delle linee, delle luci, dei colori, dei movimenti. L’unità globale della rappresentazione viene mantenuta attraverso un’operazione di contenimento delle varianti all’interno di un unico tema, che rappresenta il nucleo originario di tensioni, l’asse privilegiato dell’intero dramma.
Il volume Il teatro di regia della collana «Le dimensioni del teatro» diretta da Roberto Alonge, con chiara finalità divulgativo-didattica come nella linea editoriale della Carocci, raccoglie saggi di autori diversi (Paola Degli Esposti, Elena Adriani, Elena Randi, Simona Brunetti, Cristina Grazioli) che propongono una (veloce) lettura proprio di quest’epoca primonovecentista (e delle poetiche annesse) spesso definita della "riteatralizzazione teatrale" e delle singole personalità teatrali coinvolte, e lo fa in apparenza proprio sulla falsariga del citato volume Teorie della scena: dunque Maeterlinck, i Meininger, Stanislavskij, la scena simbolista, i "padri fondatori" (Fuchs, Appia, Craig), il futurismo, il costruttivismo e il Bauhaus, il teatro politico di Piscator e la nascita della regia in Italia.
Ma il libro privilegia, piuttosto a vantaggio di un pubblico universitario, un percorso fondamentalmente storico-biografico talvolta non sufficiente a chiarire l’importanza rivoluzionaria di talune teorie e pratiche teatrali: ci saremmo aspettati per esempio, sulla scorta del precedente illustre di Artioli, un maggior spazio dedicato proprio alla scena di Gordon Craig, la cui scarna bibliografia esclude persino le storiche monografie di Innes, Bablet, gli studi della Eynat-Confino e quelli di Molinari.
La sintesi obbligata del manuale stringe anche su un personaggio centrale come Wagner, sui cui principi del Gesamtkunstwerk si sono confrontati artisti e teorici del Novecento accettando o rifiutandone l’utopia, filosofica, sociale ed estetica (tra gli altri, Dujardin e il discusso e ambiguo wagnerismo post mortem della "Revue wagnérienne", 1885-1888), trovando inadeguata la riforma scenica o proponendo una nuova interpretazione-rilettura dell’unione delle arti. L’opera d'arte totale (o comune o unitaria secondo le diverse traduzioni) ha suscitato posizioni e interpretazioni divergenti e opposte nei registi rifondatori del teatro moderno, ma fondamentalmente – secondo Denis Bablet e lo stesso Artioli – tradiva e prefigurava una comune aspirazione a un'ideale di accordo ed unità delle parti dello spettacolo sviluppatasi nella "sintesi scenica astratta" di Wassily Kandinsky, nel teatro sintetico futurista, nel "teatro della totalità" del Bauhaus di Laszlo Moholy-Nagy e di Oskar Schelmmer.
Artioli si sofferma poi sulla parabola di Copeau: l’incontro-folgorazione con Craig, Appia e Dalcroze, il tema dell’improvvisazione intesa come "spontaneità controllata", il teatro-festa. E soprattutto affronta ancora una volta Artaud cui aveva dedicato (con Bartoli) il volume Teatro e corpo glorioso:
Col Teatro della Crudeltà Artaud aveva creduto di sciogliere le impurità che affliggono lo Spirito tutte le volte in cui, entrando in contatto con le forze gravitazionali della Materia, tende a raggrumarsi e ad acquisire spessore. La Crudeltà coincide ora con l’opera di persecuzione di cui è oggetto il proprio corpo dolente, infestato dai mostri dello psichismo che ne suggono la linfa vitale. Di qui l’estremo appello al teatro, questa volta inteso come luogo di edificazione di un corpo di gloria, precluso agli assalti del dio e capace di sfidare la morte.
Il manuale dunque offre uno scorcio – forse troppo sintetico – di quel teatro che ha predicato e praticato, in opposizione al Naturalismo descrittivista, una scena rinnovata, astratta, straniata, stilizzata, autonoma dalla letteratura e non più schiava dei fondali dipinti. Un periodo in cui si delinea l’idea di una progettazione a teatro di uno "spazio di relazione", come affermava Fabrizio Cruciani (1985):
Le ricerche estetiche si sostanziano di una estesa tensione etica: determinare, attraverso il teatro, un rapporto con gli uomini che abbia "valore", che assuma "significato", recuperando una necessità che la cultura non riesce più ad avere. Dalle diverse poetiche e sperimentazioni si giunge nei teorici del teatro, alla prefigurazione di una società che del teatro abbia bisogno.
Il teatro di regia. Genesi ed evoluzione (1870-1950) a cura di Umberto Artioli, Carocci, Roma, 2004, 199 pagine, 16,60 euro.
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