ateatro 75.6
Commissario o drammaturgo?
Perché Sabina Negri farebbe meglio a dimettersi dalla Commissione ministeriale
di Mimma Gallina
 

PER I LETTORI DISTRATTI
Presso il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali è insediata la Commissione Consultiva per la prosa.
La composizione e il funzionamento delle commissione è regolamentato dalla Legge 23 dicembre 1996 n. 650 - Conversione in legge, con modificazioni, del Decreto Legge 23 ottobre 1996 n. 545; ricordiamo in particolare due punti.

Art. 1

Comma 61.
Le commissioni istituite ai sensi dei commi 59 e 60 [ndr commissioni per la musica, per la prosa, per il cinema, per i credito cinematografico, per il circo e gli spettacoli viaggianti, per la danza] sono composte da nove membri, incluso il Capo di Dipartimento dello spettacolo che le presiede. Gli altri componenti sono nominati nel numero di sei dall’Autorità di Governo competente per lo spettacolo e gli altri due, rispettivamente, uno su designazione della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie autonome di Trento e Bolzano, ed uno su designazione della Conferenza Stato-città. Essi sono scelti tra esperti altamente qualificati nelle materie di competenza di ciascuna delle commissioni.

Comma 63.
I componenti delle commissioni istituite ai sensi dei commi 59 e 60 sono tenuti a dichiarare, all’atto del loro insediamento, di non versare in situazioni di incompatibilità con la carica ricoperta, derivanti dall’esercizio attuale e personale di attività oggetto delle competenze istituzionali delle commissioni.


Quest’ultimo articolo procurò uno dei tanti meritati successi d’immagine al ministro Veltroni (anche se poi – come dopo di lui il ministro Melandri – non lo applicò sempre in modo proprio rigoroso: ma questo è un altro discorso: sono tempi passati, e denunce già fatte...). La riforma delle commissioni è stata in effetti una rivoluzione, perché – per tradizione pluridecennale – i componenti erano direttamente espressi dalle categorie sovvenzionate e le «situazioni di incompatibilità» erano la regola.

Nel 2002 il Ministro Urbani ha provveduto a nominare una nuova commissione (sostituendo i componenti in carica con il governo precedente), così composta:

1. Alfredo Giacomazzi - direttore generale per lo Spettacolo dal vivo
2. Giovanni Antonucci - esperto
3. Pasquale Donato - esperto
4. Sabina Negri - esperto
5. Michele Paulicelli - esperto
6. Renato Tomasino - esperto
7. Franco Scaglia - esperto
8. Francesco Carducci Artenisio - conferenza Stato-città: laureato in Economia e Commercio
9. Giancarlo Marinelli - Conferenza rapporti Stato, Regioni e Provincie autonome

ateatro (riprendendo da «Hystrio», dossier ‘retroscena’ n. 1) ha fornito sintetiche informazioni sui signori nominati nella assai criticata rubrica «Who’s who» (a proposito: non sappiamo se abbiamo contribuito in qualche misura alla promozione della signora Spocci da direttore dell’ETI all’INDA).
Recentemente il Ministro ha sostituito Franco Scaglia (che all’interno della Commissione risultava essere uno dei più informati) con Giancarlo Leone, amministratore delegato di Rai Cinema; Alfredo Giacomazzi è stato sostituito da Salvo Nastasi, per un normale avvicendamento legato alla carica di direttore generale per lo Spettacolo dal vivo.
Potremmo entrare nel merito della effettiva competenza di questa commissione, in particolare chiederci se la legge le dia gli strumenti per fare il suo lavoro (su che base si acquisisce una effettiva conoscenza di centinaia di realtà sparse sul teatro italiano? Tanto più che i commissari svolgono il loro lavoro senza compenso, fatto salvo un gettone di presenza per le riunioni).
Proviamo però a soffermarci su un piccolo tassello...

SABINA NEGRI (in CALDEROLI)
Scrivevamo di lei:

giovane drammaturga ed autrice teatrale, molto recentemente emersa sulle scene italiane, negli ultimi 2 anni ha visto messi in scena numerosi suoi testi; consulente artistico del Teatro della Società di Lecco. Non possiamo non ricordare, come narrano le cronache, il suo matrimonio con il Vicepresidente del Senato, il leghista Roberto Calderoli, officiato dall’amico Marco Formentini con ‘rito celtico’.

Forse il tono era un po’ ironico, ma è tutto vero (a parte che la signora Negri è consulente del Comune di Lecco e non del Teatro della Società di Lecco, come la medesima signora ha precisato all’«Espresso», ma la sostanza non ci sembra molto diversa).
Devo confessare che avevo pensato già allora (all’epoca del primo dossier) di fare una qualche azione perché la signora Negri comprendesse le sue incompatibilità, in quanto autore rappresentato da compagnia sovvenzionata e consulente di teatri sovvenzionati, e si dimettesse.
Poi ho ritenuto – ingenuamente – che probabilmente ci sarebbe arrivata da sola, magari cogliendo l’occasione del «rimpasto» imposto dalla sostituzione di Scaglia, per alcuni davvero ingenui motivi:
- perché ho sempre pensato che le donne siano più sensibili degli uomini in materia di conflitto di interessi (anche solo perché manovrano meno interessi);
- perché risultava evidente dall’aumento delle messe in scena dei suoi testi (dopo i Filodrammatici di Milano, il Belli di Roma) che la signora intendeva fare la drammaturga sul serio e a maggior ragione, pensavo, avrebbe preso atto dell’incompatibilità;
- infine (non ridete troppo di me), perché ho sempre pensato che, nell’ambito della Casa delle Libertà, la Lega (do per scontato che la signora sia leghista, o «in quota a») fosse un po’ meno sfacciata degli altri, non tanto in materia di occupazione di potere (dove la Lega non ha niente da invidiare), ma sul piano degli interessi privati in atti d’ufficio: insomma, mi era rimasta l’immagine dei paladini di Mani Pulite (del resto ci era cascato anche uno come Giorgio Bocca); o forse resto patriotticamente convinta dell’onesta di fondo del popolo lombardo (sono nata a Bergamo, cresciuta a Varese, risiedo a Milano e quando mi chiedono di dove sono, mi tocca rispondere: lombarda).
Ma la signora Negri pare non ci pensi proprio a lasciare la commissione, e ancor meno a privarci per un po’ dei suoi testi, così ho scritto la lettera che segue, che invio anche a qualche giornale, fra cui la «Padania».

Lettera aperta a Sabina Negri

Gentile Sabina Negri in Calderoli,

non ci conosciamo, ma è da un po’ che intendevo scriverle personalmente (per quanto pubblicamente), cioè da quando ho curato un dossier sulla triste situazione contemporanea della scena italiana («Retroscena: il teatro italiano nel’era Berlusconi» in due puntate), per le riviste «Hystrio» e www.ateatro.it (inverno scorso).
Volevo già da allora invitarla a meditare sull’incompatibilità della sua attività drammaturgica con la sua presenza nella Commissione ministeriale consultiva che suggerisce (e di fatto assegna) i contributi al teatro italiano.
Ma pensavo che lo avrebbe fatto di sua iniziativa, perché credo che le donne siano sensibili ai problemi di conflitto di interesse, e forse lo sia un po’ anche la Lega (nonostante la ormai pluriennale attività di governo).
L’incompatibilità mi sembra evidente nel momento in cui la legge prevede che i «commissari» non versino «in situazioni di incompatibilità con la carica ricoperta, derivanti dall’esercizio attuale e personale di attività oggetto delle competenze istituzionali delle commissioni».
Essere autore, ed essere rappresentato da compagnie sovvenzionate e percepire diritti d’autore, che sia tramite SIAE o direttamente, se non fosse iscritta (ma anche qualora non li percepisse), configura un caso molto evidente di incompatibilità
Ma lei mi ha davvero deluso: non solo non ci è arrivata da sola – a dimettersi – ma ha accettato (o proposto o addirittura le è stato commissionato, non so) che un suo testo, Al Moulin Rouge con Toulouse Lautrec, venisse rappresentato in questa stagione teatrale, in situazioni ben più remunerative dei piccoli Filodrammatici o Belli (che hanno prodotto suoi testi nel 2003): nientemeno che un debutto al prestigioso Teatro Manzoni di Milano (che fa riferimento ai Gruppi Mediaset e Publitalia), cui seguirà tournée, quasi ovunque (suppongo) in teatri sovvenzionati, come naturalmente sovvenzionati sono i produttori che si sono associati per l’occasione, ben tre: Teatro Filodrammatici, Compagnia del Teatro Moderno, Compagnia di Prosa Maura Catalan.
Per tutte queste rappresentazioni lei percepirà (è una mia illazione, ma se anche così non fosse l’incompatibilità sussisterebbe ugualmente ai sensi dell’articolo sopra citato) i diritti d’autore dovuti: solo al Manzoni, se lo spettacolo registrerà l’incasso medio dello scorso anno, 12.400 euro a rappresentazione (dati AGIS), le sue competenze d’autore non dovrebbero essere inferiori a 30.000 euro lordi. Niente se pensiamo alle tasse che Berlusconi risparmierà con le famose tre aliquote, ma niente male per un comune mortale: per un autore teatrale, quasi un sogno.
Ora, io non voglio pensare che lei, in commissione, riservi una particolare attenzione a tutti i soggetti coinvolti nell’operazione Toulouse Lautrec (produttori e programmatori), penso anzi che probabilmente lei esca con eleganza dalla riunione quando se ne discute (nella prima Repubblica si faceva così: era ovviamente anche più efficace).
Ma non escludo che loro (i teatranti) ci contino un pochino, come contano forse sul fatto che lei potrà appoggiarli direttamente o indirettamente in molte altre situazioni (enti locali etc.) dove la Lega ha voce in capitolo. Non lo escludo. Non per malevolenza, ma perché la gente di teatro ha da sempre il problema della sopravvivenza e ha imparato da secoli ad avere a che fare con i principi: una volta erano Gattopardi e Leoni (come direbbe Tomasi di Lampedusa), oggi lasciamo perdere, ma pur sempre potere è, e un potere gestito in modo molto discrezionale, come abbiamo potuto vedere. Non sta certo a me biasimare chi cerca di proteggersi, anche se volentieri chiederei se era proprio necessario.
Ho visto lo spettacolo – ne vedo molti e in teatri di diversa tipologia – e posso assicurarle che è di quelli che uno proprio vorrebbe cancellare dalla memoria (lei sa bene che non è solo il mio parere).
Produttori e teatri coinvolti sono colleghi seri, hanno fatto spesso operazioni azzeccate e hanno in alcuni casi autentiche sensibilità artistiche e/o quel «fiuto» che si considera la prima qualità dei veri impresari. Il fiuto fa sì – storicamente – che alla politica ci si inchini fino a dove non cozza con il business teatrale (che è uno strano miscuglio di arte, «chiamata» e interesse). Prenda il Manzoni, per esempio: dopo una gloriosa tradizione secolare, e alcuni anni forse esageratamente «leggeri» (diciamo pure: televisivi), ha recuperato un equilibrio invidiabile fra qualità e puro entertainment, nel campo molto delicato del teatro ad alta densità commerciale. Non a caso è la seconda sala italiana (per affluenza e incasso) nella categoria fra 500 e 800 posti, e temo che il pubblico (che non è cretino anche quando è «abbonato», non sceglie cioè singolarmente lo spettacolo ma il «pacchetto») non perdonerà facilmente questo scivolone.
Come è possibile che questi colleghi credessero di fare uno spettacolo buono, e di successo anche commerciale, dal suo testo? Come possono un bravo produttore, un regista capace, un musicista colto, un attore noto e sensibile come Carlo delle Piane (ma sarebbe meglio se restasse nell’ambito del cinema), prendere in considerazione una operazione scolastica, di una banalità imbarazzante, in cui non succede assolutamente niente, in cui perfino dalla Belle Epoque non riesce a uscire un guizzo di vera nostalgia, o di erotismo.
Mentre contavo almeno su un vero cancan (chiedendomi se le ballerine in controluce facevano stretching o mimavano passioni lesbiche) e soffrivo per la povera Milvia Marigliano (che si sforzava encomiabilmente di tenere in piedi il tutto), mi ha preso un grande sconforto: è davvero inquietante che si sia arrivati a questo punto, che il «potere» (un potere in apparenza così piccolo, poi) conti così tanto.
Forse né lo spettacolo né lei meritavate questo sfogo. Siete solo una delle tante metastasi di un sistema gravemente malato, dove i mezzi e gli anticorpi sono sempre meno, dove il mercato è truccato, dove la commissione di cui lei fa parte e che dispone delle solite due lire si permette – nel mese di ottobre – di tagliare, esaltare e azzerare i gruppi teatrali nella più assoluta discrezionalità (e in maniera del tutto legale, del resto: Roma ladrona, come direbbe giustamente qualche suo amico).
Ma arrivo alla conclusione. Provo a immaginare (forse è possibile) che di tutto questo lei non sia consapevole; che sulla incompatibilità non abbia proprio ragionato etc. Allora mi permetto di suggerirle due alternative:
a) se lei vuole sul serio occuparsi del teatro italiano come analista/esperta, allora non scriva per un po’, lasci che le rappresentazioni si esauriscano (con tante scuse pubbliche) e naturalmente devolva tutti i suoi diritti d’autore in beneficenza (una volta si usavano la casa di riposo per attori di Bologna o la Verdi per musicisti a Milano: ma potrebbe anche ridistribuirli fra le compagnie «tagliate», magari quelle lombarde: comunque non c’è che l’imbarazzo della scelta); e dia il buon esempio ai colleghi commissari: vada in giro per l’Italia a vedere spettacoli;
b) se vuole continuare a scrivere e a essere rappresentata, si dimetta immediatamente dalla commissione, ma – mi scusi la franchezza – abbia l’intelligenza (o forse l’umiltà) di ritornare a scuola (ci sono corsi importanti, di tendenze diverse); forse le succederà, in futuro (magari con un cambio di governo, chi sa: un altro colpo di fortuna per lei), di essere rappresentata per quello che scrive e non per quello che rappresenta. d)

Spero di non averla offesa, ma che anzi queste mie considerazioni possano aiutarla, e la saluto cordialmente.

Mimma Gallina


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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