ateatro 74.10 Presidenziali USA: il teatro come arma di seduzione di massa La mobilitazione teatrale contro Bush di Alessandra Nicifero
Sono passati tre anni da quando gli americani, uniti e patriottici, si erano coperti di stelle e strisce per dimostrare il loro cordoglio dopo l’attacco terroristico alle Twin Towers. Ancora incapaci a commentare i fatti con una certa analisi critica, erano stati in pochi gli intellettuali e gli artisti, immediatamente dopo l’evento, a esporsi cercando di aprire un dialogo, ritagliandosi uno spazio pubblico. Quel cordoglio, e quel momentaneo sfasamento era stato strumentalizzato dai media che, con più o meno ritegno, erano stati al gioco del governo di elementarizzare la logica dei fatti.
In questi tre anni la situazione politica, economica, sociale del paese (e mondiale) è così drammaticamente degenerata che in vista delle prossime elezioni presidenziali si è scatenato un putiferio di attivismo come non si era visto da decenni. Le organizzazione no-profit che dicono dire no alla politica di Bush sono spuntate negli ultimi due anni come funghi. Non si sono semplicemente limitate a scendere in piazza a protestare, ma si sono impegnate a raccogliere fondi per la campagna del partito democratico, e si sono mobilitate a raggiungere quegli angoli remoti di questo vasto paese per convincere gli aventi diritto al voto ad esprimere il loro dissenso. Basti pensare che durante le scorse elezione solo il 51% della popolazione si era recato alle urne; circa 20 milioni di donne aventi diritto al voto erano rimaste a casa. C’è stata un’esplosione di brillanti forme spettacolari adottate dai gruppi, coscienti di dover in qualche modo esser capaci di attirare l’attenzione staccando la spina televisiva – per molti americani unica fonte di informazione (distorta). New York è stato il palcoscenico degli oppositori al governo di Bush durante la convention del partito repubblicano alla fine di agosto.
La lista sarebbe lunghissima e per motivi di spazio mi limiterò ad elencarne solo alcuni. Da un punto di vista prettamente teatrale alcuni gruppi hanno adottato la rivisitazione di classici con tematiche inerenti alla guerra. E’ il caso del Lysistrata Project partito più di un anno fa per volontà di due attrici, Kathryn Bloome e Sharon Bower, che hanno invitato università e gruppi teatrali a mettere in scena, organizzare letture della Lisistrata di Aristofane come un modo di opporsi pubblicamente alla guerra in Iraq. THAW (Theaters Against War), un collettivo di gruppi teatrali, partito da New York, ma con gemellaggi sparsi in tutto il mondo, ha invece, con lo stesso principio, adottato, letto e messo in scena l’Ubu Roi di Jarry durante la convention.
L’arma della parodia si è affilata diventando tagliente con due tra i tanti gruppi attivisti. I Billionaires for Bush, che hanno come logo un mailino-salvadanaio a stelle e strisce, travestiti da presunti miliardari se ne sono andati per strada con bicchieri di champagne e sigari durante la convention, ripetendo ottusamente slogan repubblicani senza i veli ipocriti della mediazione linguistico-strategica dei governanti.
I Billionaires for Bush manifestano in difesa di Dick Cheney a Madison, Wisconsin.
Hanno semplificato all’osso i concetti espressi in questi quattro anni dal governo per giustificare le loro guerre, leggi economiche, riduzioni dei diritti civili, rendendo, attraverso la ripetizione e l’ostentazione di un lusso pacchiano, i concetti semplicemente volgari, assurdi ed obsoleti. Al momento sono in giro negli «swing states» del sud ovest con il Limo Tour per raggiungere chi è ancora confuso ed indeciso, accompagnati dalla colonna sonora The Billionaires Are in the House del gruppo rap 50 Million. Un modo per raggiungere una delle fasce di elettori più disinteressate alla politica: i più giovani della comunità afro-americana.
Nella stessa campagna d’informazione e persuasione al voto sono anche impegnate le donne di Axis of Eve (ebbene sì, parodia ovvia del ritornello-scudo dietro cui si è protetta la strategia del terrore adottata da Bush).
Il loro impegno a «expose and depose Bush» (esporre e deporre Bush), è quello di creare uno stato di trasparenza sull'operato dei repubblicani, svelandone le menzogne. Con le loro uniformi sexy, con su scritto «weapon of mass seduction, give bush the finger», le Eves si vogliono riappropriare del corpo femminile, strumentalizzato e denigrato dalla politica conservatrice, anti-abortista e reazionaria dei repubblicani.
Lì dove Ashcroft vorrebbe coprire la statua nuda nel Dipartimento di giustizia, le Eves si scoprono con umorismo. Vogliono che il corpo femminile positivo e forte, si lasci guardare e leggere, perché i messaggi espressi sono diretti e chiari.
In conclusione, di ammirevole c’è il credere nella possibilità del cambiamento, e di adottare di conseguenza precisi piani strategico-creativi. Per questo in tanti si stanno rimboccando le maniche e lavorando insieme per un comune obbiettivo: riportare questo stato alla democrazia attraverso la corretta informazione ed il voto come unico strumento di partecipazione attiva. Questo popolo d’individualisti per reputazione riesce a riconosce le cause per cui vale la pena lottare insieme, e lo fa con creatività e senso pratico, senza lasciar spazio alla rassegnazione passiva, maschera molto spesso di un certo individualismo menefreghista.
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