ateatro 70.61 Le recensioni di "ateatro": Tempesta di Attilio Caffarena di Emilio Campanella
Di una cosa si può essere sempre sicuri prima di vedere un lavoro di Attilio Caffarena: della sua precisione rigorosa ed ascetica.
Se in altre occasioni la geometria piana mi aveva suggerito un possibile approccio ai teoremi del regista, nel caso di Tempesta, è invece la geometria solida, e, precisamente, appunto, la similitudine con un prisma cristallino in cui si rifrangono e vengono rimandati, e sempre diversamente, e da angolazioni inedite, i varî temi presenti nello spettacolo che, ancora una volta può essere definito non-immediato, ovvero, che colpisce non-superficialmente l’attenzione; talvolta, infatti, la comunicazione risulta oscura, all’apparenza, come se non ci accorgessimo di nulla, mentre invece, come ultrasuono, qualcosa colpisce oltre la nostra superficiale percezione.
L’opera di Shakespeare è vista attraverso un filtro da commedia borghese, una Tempesta a Palazzo con l’occhio al cinema di Antonioni (ho molto pensato a La notte di Antonioni). I rituali sono, infatti, quelli borghesi un po’ anni '60 in cui il mondo femminile, contrapposto, a guardare, come in un bordello per signore, dove le due entità non comunicano, al di là di eventuali commerci cui vengono preferiti quelli fra uomini, ben più apprezzati dai contraenti.
E, comunque, si tratta di un’isola di Prospero fra i mobili di casa che è anche un’isola di sconvolgimenti e si può trasformare in balera onirica con sonorità miagolanti da sintonizzazioni di radio d’epoca (e qui anche "il posto" di Olmi) che sembra talvolta ruotare attorno a Miranda, armata di grandi, aguzze, pericolosissime forbici, come Parca del proprio destino.
Una tempesta talvolta omofila, in superficie, in un gioco continuo ed incrociato di seduzioni cui contribuiscono le calze sfilate e reinfilate della donna al centro (?) dell’azione.
Dodici ore, dodici episodi, in uno spettacolo di centoventi minuti, in un gioco ironico e trasversale, allusivo e seduttivo di morti e resurrezioni, cadute e calpestamenti di cui è severissimo demiurgo lo stesso regista.
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