ateatro 68.40 Le recensioni di "ateatro": Giulietta degli Spiriti da Federico Fellini Regia di Valter Malosti con Michela Cescon di Fernando Marchiori
«Un circo, una pista da circo, in cui immagino Giulietta in qualche modo inchiodata, come una farfalla raccolta da un entomologo e lì depositata». Su questa folgorante immagine è costruito l’intero spettacolo che Valter Malosti ha ricavato da una delle rare opere narrative di Federico Fellini, la prima idea per quella che nel 1965 sarebbe diventata la sceneggiatura del film Giulietta degli spiriti.
Le scene di Paolo Baroni, le luci di Francesco Dell’Elba e i costumi di Patrizia Tirino hanno avuto buon gioco a sviluppare l’intuizione del regista, ed eccoci di fronte a un circo con il tendone non ancora teso, così da essere insieme esterno e interno, chapiteau e pista, ma appena rialzato al centro intorno alla figurina fasciata di bianco di Michela Cescon perdiventare – in un incrocio percettivo tra micro e macro che continerà per l’intera pièce – la sua gonna increspata e ondivaga. La costrizione impone all’attrice un esercizio attento delle possibilità espressive delle braccia, delle mani, del tronco, sempre in accordo o in opposizione al volto, agli occhi, alla bocca. Ne risulta una partitura precisissima di gesti, movimenti e posture, di equilibri instabili, di minute variazioni.
Cuffia candida e pomelli rossi, la Cescon è una Giulietta fin troppo consapevole di essere insieme la Masina e Fellini, un personaggio costruito sulla personalità dell’attrice felliniana ma sul quale il maestro proiettava in realtà propri ricordi ed emozioni. Forse è questo a trattenerla in un’interpretazione sempre piacevole e a tratti divertente, ma senza molti slanci e senza profondità, in linea con l’adattamento firmato da Vitaliano Trevisan (che non è Ennio Flaiano). » una Giulietta buffa, come la voleva Fellini, ingenua e stupefatta, con le cadenze infantili e il fare da ragazzina sgraziata, anche quando canta, ma è appunto la maschera clownesca e candida della Masina a prevalere, quella fissata nel cinema (già in La strada e nelle Notti di Cabiria ). Mentre anche solo una battuta come "Mai potuta sopportare la mia faccia in uno specchio" ci lascia intravvedere altre strade per accostarsi, in teatro, all’attrice morta dieci anni fa.
Ciononostante, la bravura tecnica della Cescon tesse una trama di azioni fisiche che attraversano la serrata successione di quadri scanditi da stacchi di luce e suono (principalmente rielaborazioni dalla dalla colonna sonora di Nino Rota): Giulietta tradita dal marito, in preda a visioni peccaminose, tra spiritismo e psicanalisi, agenzie d’investigazione e tentativi di emancipazione tardiva con la nuova amica Susy, una mantenuta che dovrebbe insegnarle a diventare una donna da amare (cioè "un po’ più puttana"). La gonna-tendone diventa pista da ballo, sfera di cristallo, mare in cui l’attrice rema e i remi sono le corde con cui muove la marionetta sull’altalena-trapezio sopra la sua testa. Giulietta infatti è diversa, vede cose che nessuno vede, sublima le angosce con i sogni, a ognuno dei quali corrisponde una delle marionette disposte intorno al perimetro del circo. Ma il chiuso cerchio del suo immaginario non è che un tentativo di fuga dai gravami della mentalità cattolica. E anche il suicidio rimane impigliato nel groviglio ormai inestricabile di realtà e allucinazione. Solo trasformando l’indagine sul tradimento del marito in un percorso interiore, affrontando gli spiriti che popolano il suo inconscio, Giulietta può ritrovare quella parte di sé che è stata educata a tradire.
Più che il richiamo a Kleist, è il confronto con il modello beckettiano indicato da Malosti a intrigare: Giulietta come Winnie, il personaggio interrato di Giorni felici. Anche qui, tuttavia, la suggestione è più visiva che concettuale, più tematica (crisi borghese e solitudine esistenziale) che linguistica. Beckettiana non ci sembra Giulietta, semmai la Cescon, la sua franta eloquenza non verbale.
(Visto ad Asolo, nella rassegna Centorizzonti. Donne Regine Signore Divine).
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© copyright ateatro 2001, 2010
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