ateatro 67.20 Autoritratto dell'attore da giovane (5) con tre foto di Alessandro Genovesi di Federica Fracassi
Oliviero Ponte di Pino mi chiede da un po’ di tempo di rispondere al suo quiz attori.
Mentre scrivo ascolto la radio. Adriano Sofri dice dal carcere di Pisa: «Benvenuto allo straniero venuto a descrivere la nostra vita, perché noi non riusciamo più a vederla, o forse non ne abbiamo più voglia».
Non so perché riporto questa frase. Forse mi pare giusto in un momento come questo tenere sempre aperta una finestra sul mondo.
Il teatro. Perché?
Danza + Letteratura = Teatro
Ho scelto il teatro in seguito a un’operazione matematica inventata.
Nella mia vita è accaduto molte volte di compiere simili operazioni e sulle scelte più importanti. C’è sempre un margine di grande visionarietà in queste scelte, dare alle parole i propri significati in modo del tutto autistico. Per poi scoprire che in fondo non sono così distanti da ciò che si chiama comunemente realtà.
A 5 anni ad esempio mi è accaduto con la definizione «scuola di danza». «Scuola» era l’immagine di me dietro un banco con un quaderno aperto davanti. «Danza» era l’immagine di Carla Fracci che avevo visto volare sulle punte in televisione. «Scuola di danza» era: io che sto dietro a un banco con un quaderno aperto e che in virtù di una magia straordinaria divento Carla Fracci.
Per questo ho fatto di tutto per andare a scuola di danza da piccola per poi scoprire che la realtà era un’altra. Una realtà che mi è piaciuta, nella sua diversità dalla mia immagine e che ha contribuito con l’amore per i libri a farmi scegliere il teatro.
Non sono mai stata a teatro da piccola. Da adolescente ci sono andata due volte, portata di forza dalla scuola. Non avevo davvero elementi per poterlo scegliere.
«Danza» era l’eccitazione di salire su un palco
«Letteratura» era la possibilità di vivere in mondi paralleli e inventati
«Teatro» era vivere su un palco in mondi paralleli e inventati, tenersi in bocca strane parole, indossare strani abiti, viaggiare in tempi diversi.
Tutto vero, a parte l’indossare strani abiti. Su questo finora sono rimasta abbastanza nei miei panni.
Formazione
Asilo e scuole Medie dalle suore.
Un giorno Cesare Lievi ha fatto questa distinzione tra la cultura tedesca e quella italiana, di cui spero di rendere conto in modo esatto e che comunque io ho interpretato così. Il cittadino tedesco ha una formazione luterana, deve capire il testo, deve interpretarlo con le sue forze, attraverso il suo intelletto. Il cittadino italiano invece si abbandona al miracolo. C’è qualcosa di imperscrutabile nel destino, per cui non vale neppure la pena che l’italiano si applichi. Qualcosa, nel cattolicesimo, che cade dall’alto: suoni, visioni, potere, sfighe, la madonna che piange lacrime di sangue, Padre Pio. Non mi dilungo sugli effetti devastanti che tutto questo ha sulla nostra coscienza politica.
Credo di poter affermare che il mondo cattolico e i suoi miracoli abbiano invece effetti sublimi sul fronte dell’arte. Con le suore si vivono delle esperienze al limite del kitsch come ho potuto verificare personalmente. Da un lato si è immerse (eravamo tutte donne) in una continua rappresentazione: stucchi, accostamenti arditi, profumo di incenso, paramenti, trecce lunghe di capelli di seta nascoste sotto il velo. Dall’altro si entra a far parte di riti assurdi che scandiscono la giornata: una sorta di training pre-terzo teatro. Tra gli altri il rito della mensa, della preghiera, la pratica zen di passare la cera nell’aula con le pattine ai piedi o, per punizione, chinate sotto il banco con le ginocchia sbucciate. Una perversione geniale!
Per non parlare delle recite scolastiche dirette da Suor Maria, una regista con i controcoglioni che ci faceva sputare sangue. L’immagine più bella è legata alla mia elezione ad angioletto sul carro della chiesa. Accanto alla statua d’oro della Madonna ho attraversato tutto il paese. Sotto di me una folla adorante in processione.
Adolescenza nera
Per reazione ho passato un’adolescenza luterana. Sola sui libri a cercare di capire, chiusa nella mia stanzetta, con un broncio abbastanza irritante e pochi amici. In un’epoca piena di paninari arroganti ed esteticamente orrendi che litigavano con i dark votati al suicidio, io ho preferito sottrarmi alla società. Unica illuminazione il mio professore di filosofia, Massimo Recalcati, che oggi ancora ringrazio e che mi ha aperto mente e cuore alle possibilità della cultura.
Troppe passioni?
A 19 anni mi sono iscritta al corso di laurea in Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e parallelamente ho fatto il provino alla Scuola d’Arte drammatica Paolo Grassi. Mi hanno presa.
Da questa doppia passione, da questa doppia via è iniziata la mia battaglia contro il tempo, che continua tuttora e che penso non mi abbandonerà mai.
Sono sempre stata affascinata da troppe discipline e mi sono gettata a capofitto in tanti amori contemporanei. Ho studiato danza e canto. Ho fatto la modella in un atelier di pittura. Ho scritto e continuo a scrivere. Sono prossima alla laurea in filosofia teoretica. Insegno recitazione. Faccio soprattutto l’attrice e il mio destino finora è stato fortemente intrecciato al destino del mio gruppo, all’interno del quale penso, di tanto in tanto organizzo, e so far di conto. Sono una perfezionista e pretendo da me stessa pari dedizione per tutti questi amori. Questo a volte mi mette in crisi, perdo la bussola, mi stanco, non concludo. Sarà per questo che sono un’attrice un po’ atipica, che ha però la fortuna di partecipare a progetti nei quali crede ciecamente, e di parteciparvi mettendo in gioco tutta se stessa.
Ho passato tre anni alla Paolo Grassi accumulando belle e brutte esperienze e due bocciature che mi hanno messo alla prova, anche se oggi me ne vanto e le porto come trofei. Gli insegnamenti più importanti di quegli anni si sono illuminati nel tempo e mi accompagnano ancora oggi. Tra tutti, le indicazioni preziose, la stima e le parole sagge, che mi ha trasmesso Kuniaki Ida in un italiano/giapponese incomprensibile: «Mezodelcaminnostralabita..». («Nel mezzo del cammin di nostra vita», Dante), «Tu fa lu!» («Fai la ruota!»), «Chercosa c’è!!!» («Qualcosa c’è», il massimo dei complimenti che un allievo potesse ricevere) di solito contrapposto ai più frequenti: «Tu actore cazzo!», «Tu va lava faccia!» o «Tu prende treno per Pontedera!» (quest’ultimo nel suo gergo è il peggiore degli insulti).
Tra i vari seminari che ho seguito e che continuo a seguire, in un percorso di autoformazione che cerco di mantenere vivo, è stato molto importante il corso europeo «Parole in azione», ideato da Renata Molinari, dove ho lavorato come attrice con Marco Martinelli e Giorgio Barberio Corsetti.
E’ in questi anni di scuola che ho conosciuto molti degli attori con cui ho collaborato e con cui collaboro ancora oggi.
Teatro Aperto
Parallelamente a tutto questo ho iniziato a lavorare con Renzo Martinelli.
Quella è stata la vera palestra per la mia formazione e ha permesso la nascita di Teatro Aperto, il nostro gruppo ancora vivo e vegeto nonostante le difficoltà del mondo del teatro.
E’ impossibile mettere su questa pagina tutto quello che mi ha insegnato Renzo. Andando in ordine confuso: la dedizione per le proprie scelte, l’amore per quello che si fa e uno stakanovismo esagerato. Un’etica che non è scritta e che è praticata da pochi. La noncuranza per il potere, le scelte impopolari. Il fatto di rimettersi in gioco continuamente, di non dare mai niente per assodato, il rischio continuo. La lentezza (in questo ho ancora molte difficoltà!), la verticalità e la concentrazione. Soprattutto la radicalità delle proprie idee, il saper dire «io invece». Come regista ha sempre messo me, attrice, in situazioni difficili. Ha sempre preteso di più di quello che riuscivo a dare nei primi tentativi. Mi ha fatto abitare spazi freddi e testi difficili con pochissime indicazioni, pretendendo spesso che fossi in grado di salvarmi da sola. Ha permesso alla mia parte «intelligente» di essere coltivata e alla mia parte «manuale» di non demordere.
Abbiamo provato i nostri spettacoli in tutti i climi e a tutte le ore del giorno e della notte, animati da un’insana passione e da una fortunata incoscienza. Ora che stiamo ristrutturando un piccolo spazio teatrale non mi sembra vero che arriverà il momento di provare lì, con luci, impianto sonoro, caldo e tutto il resto. Ma penso che quando ci arriveremo ce lo saremo meritati.
Maestri
Per parlare dei miei altri maestri vi racconto un sogno che ho fatto.
«La sua casa di Otranto è un castello che si raggiunge attraversando prati di fiori e erbe verdissime.
C’è un suono molto acuto sotto, ma non dà noia.
Io, sola, e i miei passi tra le viole.
La casa è fatata e ogni cosa disposta per cancellarti la rotta. E’ come se dopo ogni stanza ti facessero quel gioco dove con gli occhi tappati ti fanno girare e non sai più dove sei.
Io cammino e corro come Alice, come una visitatrice curiosa e folle.
In una stanza c’è un Benigni buffone che si sbellica dalle risate con ragazzi down.
In una stanza di litania un gruppo di donne tutte nere come in un funerale del sud. Dicono poesie di Mariangela Gualtieri.
In una stanza ci sono attrezzi che tagliano canne di bambù per farne armi.
Thierry Salmon mi saluta e mi strizza un occhio.
Una stanza la vedo da una balaustra, poi da un buco, poi sdraiata, poi dall’alto. C’è Danio Manfredini lì in mezzo che balla il flamenco.
Ho la sensazione che qualcuno davanti mi apra le porte, ma solo se io ho la forza di andare avanti, solo se trovo da sola il coraggio di lasciarmi le altre stanze alle spalle.
In una stanza c’è una folla di figure inventate e moltiplicate. Pinocchi, mangiafuochi, fatine. Ma a guardar bene è sempre lui: Carmelo millepinocchi, millefate e ogni Carmelo cambia in un particolare, in un minuscolo particolare si discosta da sé, come nel gioco della «Settimana enigmistica» dove paragonando due immagini quasi identiche devi scovare ciò che le rende uniche.
Carmelo è tutti i Pinocchi pensati e anche quelli non pensati. E’ il mio sogno di incarnarmi negli infiniti mondi. Di perdermi. E vorrei non andarmene mai.
Invece nell’ultima stanza c’è un armadietto stretto in cui mi mettono e da cui non posso uscire. Soffro lì dentro, prigioniera trattengo il fiato, per poi scoprire che nessuno aveva chiuso a chiave. Posso aprirlo quando voglio l’armadio e continuare ....»
Il mio ruolo all'interno del teatro italiano
Ecco appunto: sono chiusa nell’armadio di un ambiente stupendo, ma un po’ asfittico, il teatro italiano, che spesso implode, ma posso aprirlo quando voglio questo armadio e continuare. Non so bene quale sia il mio ruolo in tutto questo e neanche bene come sono arrivata fin qui. Non credo di essere così famosa in verità da poter ricoprire chissà quale ruolo. Certo il lavoro di Teatro Aperto è stato riconosciuto, ci sono pubblicazioni, premi etc. Forse per comodità di etichetta si pensa a me come fondatrice di un gruppo, piuttosto che come attrice, e comunque sempre e solo nel piccolo mondo della ricerca. Mi piacerebbe poter colmare questa lacuna in futuro.
Vorrei avere la possibilità di parlare a più persone, di stare più tempo sul palcoscenico e la lucidità, non riuscendoci, di ritirarmi a fare la cuoca, ambito in cui ottengo risultati eccellenti.
La nuova drammaturgia made in Italy
Un po’ come la generazione dei cinquantenni non sono immediatamente partita dalla parola, ma da una ricerca poliedrica intorno a diversi linguaggi. Da un punto di vista testuale il mio lavoro di questi anni si è basato proprio sulla nuova drammaturgia italiana. Ho scritto io stessa dei testi come Legittima difesa, in collaborazione con Renzo Martinelli o Sinfonia per corpi soli/omaggio a Sarah Kane. In altre occasioni ho curato l’elaborazione drammaturgica degli spettacoli di Teatro Aperto. In particolare a partire dal 2000, con la produzione del suo testo La Santa, è cominciata la nostra collaborazione con Antonio Moresco. Questo incontro è stato eccezionale sotto tanti punti di vista. Antonio è una persona unica e un intellettuale straordinario, con cui si può discutere di tutto da pari a pari. Attraverso queste occasioni e grazie alla collaborazione al sito collettivo www.nazioneindiana.com, si è aperto per noi un confronto costante con la parola contemporanea, che avrà di sicuro futuri sviluppi. E’ giusto sottolineare che i nostri incontri avvengono quasi sempre a partire dal testo letterario: autori quindi e non necessariamente autori per il teatro.
Le precedenti puntate di questa serie sono state dedicate a Michela Cescon, Paolo Pierobon, Alessandro Genovesi, Elena Russo Arman.
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