ateatro 67.11 Torino: Affari sotto le Moli da Retroscena: il sistema teatrale italiano nell'era Berlusconi in "Hystrio" 2/2004 di Laura Bevione
Nella primavera del 2002, dopo due anni assai tormentati, Massimo Castri abbandonava la direzione artistica del Teatro Stabile di Torino, adducendo come giustificazione al proprio atto stizzito quegli stessi contrasti «insanabili» che già avevano condotto il suo predecessore, Gabriele Lavia, a lasciare la carica sbattendo rumorosamente la porta. Fra le ragioni addotte dal regista toscano per motivare la propria defezione vi era stato anche il rifiuto di condividere con Gabriele Vacis la direzione artistica del teatro torinese. Il progetto presentato dal consiglio d’amministrazione dello stabile (con una vistosa invasione di campo in una materia chiaramente di competenza del direttore in carica), prevedeva infatti la suddivisione delle varie mansioni proprie del direttore fra tre persone diverse: una che si occupasse degli aspetti amministrativi più pragmatici così da concedere agli altri due «colleghi» il tempo e la libertà mentale necessari per dedicarsi ai contenuti artistici: in particolare Castri si sarebbe dovuto dedicare a produzioni e ospitalità che, semplificando molto, potremmo definire «tradizionali», mentre Vacis avrebbe curato il «settore innovazione» incentrato sulla sperimentazione e sulla ricerca di nuovi linguaggi.
Alla base di questa riorganizzazione della gestione dell’istituzione torinese vi era un altro progetto, concretizzato proprio nel marzo 2002, vale a dire l’accorpamento di Laboratorio Teatro Settimo da parte dello Stabile (che segue di un anno circa l’«acquisto» del Gruppo della Rocca). Per la compagnia di Vacis quell’atto è stato formalmente un mezzo per valorizzare le proprie produzioni, sfruttando il sistema di distribuzione solido e capillare dello Stabile torinese. Che questo sia effettivamente successo o meno, certo i soci e i principali collaboratori hanno trovato, almeno temporaneamente, una qualche tranquillità occupazionale dopo molte difficoltà. Gabriele Vacis, tuttavia, non ha assunto alcuna carica istituzionale ma, sostanzialmente isolato, pare proseguire autonomamente i propri percorsi di ricerca. Alla guida dello Stabile sono invece stati nominati Walter Le Moli (l’uomo di teatro forse più potente dell’era Veltroni-Melandri) e, quale vicedirettore e responsabile della scuola di teatro, Mauro Avogadro. Una scelta non priva di aspetti ambigui, subito evidenziati da osservatori acuti come Marco Travaglio che, sulla «Repubblica» del marzo 2002, rivelò un palese conflitto d’interessi tenuto accuratamente nascosto dalle due parti in causa. Questi i fatti: Agostino Re Rebaudengo, dal 1996 presidente dello Stabile di Torino malgrado il suo dichiarato analfabetismo teatrale, è a capo, insieme alla moglie Patrizia Sandretto, intraprendente promotrice delle arti contemporanee, della Re Rebaudengo & Associati. La società risulta, fra l’altro, principale azionista, insieme alla Fondazione Inda presieduta proprio da Le Moli, di una srl, Inda Sicilia, incaricata di gestire a livello esecutivo l’attività del Teatro Greco di Siracusa. Re Rebaudengo e Le Moli, insomma, erano già soci in affari prima di condividere il tavolo direttivo dell’ente teatrale torinese. Una realtà assai poco cristallina, ma lo «scandalo» e l’indignazione hanno vita breve: il sindaco di Torino Sergio Chiamparino decide di accettare le spiegazioni dell’assessore alla cultura Alfieri e ignorare le osservazioni dell’opposizione e di parte della sua stessa maggioranza.
Lo Stabile di Torino, dunque, ritrova la calma escogitando un insolito e assai precario compromesso fra differenti modi di intendere – non solo artisticamente – il teatro, nel tentativo di soddisfare tutti e di seppellire i possibili motivi di polemica. Il risultato è quello di avere creato un ménage sfavorevole e limitante per le parti in causa (Le Moli escluso) e, più precisamente, Vacis da una parte e Avogadro dall’altra, oltre che le molte compagnie più o meno piccole inserite nel progetto “Convenzioni Teatri” gestito dal Centro Servizi Teatrali. Questo ufficio, emanazione dello Stabile, ma voluto dal Comune di Torino – che delega così all’ente il complesso problema di valutare progetti e distribuire risorse – è un ulteriore tassello della politica di occupazione di tutti i possibili spazi (fisici e non) e funzioni condotta dalla gestione Re Rebaudengo. Ne fa parte da sempre anche il servizio distributivo per il territorio, recentemente «esternalizzato» (in astuta funzione contributiva) nella neonata Fondazione Circuito Teatrale del Piemonte, guidata da quel Bruno Borghi con cui lo stesso Le Moli continua a dirigere (di fatto) il Festival di Parma (principale finanziatore delle ultime produzioni di Ronconi). Le prossime, in compenso, saranno realizzate e ampiamente finanziate (la stampa ha parlato di quindici miliardi di vecchie lire) dagli enti locali torinesi attraverso il comitato olimpico, per le Olimpiadi invernali del 2006.
Nel frattempo, dal punto di vista della qualità delle offerte agli spettatori il cartellone è privo di reali fili conduttori. Tutto ciò è incredibilmente riuscito anche a determinare un nuovo deficit: c’è chi dice per errate previsioni contributive legate all’acquisizione di Settimo e all’esternalizzazione dell’Ufficio territorio, chi per lo scarso controllo sui costi di produzione, chi per il calo degli spettatori e chi sottolinea le consulenze esterne «parmensi» molto ben pagate. Il deficit sarebbe del resto passato inosservato se non avesse suscitato le reazioni di Gipo Farassino – egli stesso uomo di teatro con concretissimi interessi nella gestione della scena torinese – ad assessore all’Identità e all’Immagine del Piemonte con delega per il teatro. Un incarico, quest’ultimo, che lo chansonnier-attore della Lega Nord condividerà con l’assessore alla cultura Giampiero Leo, con il quale potrà spartire i finanziamenti regionali alla prosa. Le compagnie piemontesi, intanto, si affannano a studiare Bersezio e Brofferio e a verificare la propria padronanza del dialetto.
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