ateatro 66.12
Fuori mercato
La relazione per l'incontro sui problemi del teatro alla Camera del 15 marzo 2003
di Giovanna Marinelli
 

Visto il clima che in questi mesi grava sul mondo dello spettacolo italiano, vorrei cominciare da una provocazione. Per esempio, dicendo subito che non intendo in alcun modo di parlare di «cose concrete»: come potrebbero essere il confuso rapporto tra stato regioni province comuni operatori oppure la mancanza di una strategia pubblica di promozione dello spettacolo dal vivo o ancora l’assenza di una strategia seria per rianimare il FUS.
La vertenza aperta dall’Agis parla con puntualità di tutto questo, indicando una concreta piattaforma di discussione alle Istituzioni e agli operatori.

Vorrei parlare di scelte di politica culturale, di macrocambiamenti e di antichi problemi nel rapporto tra artisti ed istituzioni, cioè di «questioni economicamente scorrette», fuori mercato, forse impopolari perché controcorrente, certamente trascurate in molte sedi istituzionali, soprattutto a livello di Stato centrale.

La prima questione è che la cultura non si amministra e non si misura secondo le regole dell’economia. Lo Stato – in tutte le sue articolazioni – se ne deve fare carico per renderla disponibile alla collettività . La cultura, e lo spettacolo dal vivo in particolare, debbono essere finanziati con fondi pubblici nel quadro di una politica legittimata dall’interesse generale, che viene riconosciuto, appunto, allo spettacolo.

Questo non vuol dire che non si debbano perseguire gli sprechi o che non si debba fare un serio monitoraggio, una severa verifica o un imparziale controllo sul lavoro di chi usufruisce di sovvenzioni pubbliche. Ma non è di questo che vorrei parlare. Lo ricordo solo per non creare equivoci e per non creare un’occasione a chi valuta come «tempo perso» quello dedicato a riflettere sul «perché» si sceglie un certo lavoro ovvero dedicato a «sperimentare» nuovi percorsi ( di solito non immediatamente spendibili sul «mercato»!).

Desidero ribadire con forza che la creatività non è monetizzabile,
Che la cultura è un valore in sé, è un segno distintivo profondo del nostro essere europei…che poi abbia importanti ricadute economiche ed occupazionali o che sia fattore di coesione sociale, tutto questo è vero, è importante, ma viene dopo. E’ una rilevante conseguenza.
La cultura infatti è troppo spesso «affogata» in priorità che non sono culturali, ma sociali economiche turistiche ecc.
Gli artisti – in particolare, i giovani artisti – sono indispensabili in una società che pensa al proprio futuro e che rispetta la propria storia.

Una politica culturale per essere tale deve creare opportunità diffuse di crescita. Assicurare le condizioni essenziali alla espressione artistica è un dovere pubblico e un investimento la cui redditività per quanto immateriale e non monetizzabile è fuori discussione. Non è uno spreco e tanto meno una gentile concessione.

Occorre che la politica si interessi di cultura ( intesa nel senso più ampio) non solo sotto il profilo sociale ed economico, ma assicurando opportunità agli artisti e spazi protetti all’innovazione, perché là si trovano i semi dello sviluppo, della crescita, del futuro di una società.
Essere d’accordo con tutto ciò comporta però delle conseguenze sul piano delle scelte di cui bisogna farsi carico: sia a livello politico sia a livello artistico e di società civile.
La responsabilità di tale scelta deve essere condivisa dalle istituzioni dai cittadini e dagli artisti: ciascuno per la parte di responsabilità che gli compete. Ma perché ciò succeda occorre un serio lavoro di sensibilizzazione e di informazione di cui in primo luogo il mondo della cultura deve farsi carico.

Osservando oggi la condizione generale della cultura in Europa ci accorgiamo (se non ci facciamo distrarre dalle contingenze quotidiane) che sono successe alcune cose che incidono fortemente nella quotidianità sul rapporto tra cultura e politica, artisti ed istituzioni.

Ecco un breve, incompleto elenco di macrotemi.

La scomparsa dell’orientamento culturale
E’ scomparso l’orientamento culturale. Chi svolge più questa funzione? Certo non gli intellettuali (ritenuti, in una deriva populista, una riserva noiosa e petulante) e tanto meno la critica (ritenuta, per le stesse ragioni, sempre scontenta e brontolona). Siamo certi di non aver partecipato anche noi operatori al loro ridimensionamento con un respiro di sollievo?
Si sente dire troppo spesso: il miglior critico è il botteghino, l’orientamento culturale lo fa la televisione. Una bella presentazione porta pubblico, una bella critica non serve a far fare soldi allo spettacolo; se uno spettacolo piace al pubblico è riuscito, se piace agli intellettuali sicuramente è noioso.
In Francia si parla molto di "antintellettualismo di Stato", che coinvolge la cultura in senso lato, cioè artisti, ricercatori, ma anche medici e avvocati.
Forse è il caso che anche l’Italia chi svolge una professione intellettuale, chi legge, chi si documenta, chi ricerca, promuova un "Appello contro la guerra all’intelligenza".
La domanda che credo ci si debba porre con forza è «quale spazio viene garantito alla circolazione del sapere e alla espressione artistica?» Quale spazio economico, di comunicazione, urbano, ecc.
E subito dopo bisogna opporre un fermo rifiuto alla semplificazione, direi imperante, che sembra impoverire qualunque confronto, banalizzare qualunque intervento, rendere volgare qualunque ricerca.
Ho l’impressione che stiamo assistendo impotenti ad un gigantesco trasferimento di competenze: dalla logica politica a quella economica e populista che finisce per guidare le scelte, selezionare i partner, dettare strategie .
In questa logica tanto vale annullare il Ministero per i Beni e le Attività culturali nel Ministero dell’Economia.
Non mi sembra che ci siamo tanto battuti in anni passati e ancora ci battiamo in alcune regioni o comuni più felici per conseguire questo risultato

La crisi del sistema della proprietà intellettuale
C’è una grave crisi del sistema della proprietà intellettuale. Il problema è senz’altro tecnico e giuridico, ma è soprattutto un problema di ordine etico e politico .E’ su questo piano che occorre confrontarsi prima di tutto. Quale è il ruolo dell’artista nelle società di domani ? Dalla risposta che si darà dipendono questioni importanti come l’identità, l’innovazione, la relazione con le nuove tecnologie, ecc.

L’esaurimento di alcune esperienze artistiche
Si sono esaurite alcune esperienze artistiche. Occorre prenderne atto e avviarne di nuove. Il sistema però è bloccato : risorse in decremento e aumento dell’offerta, nessuna possibilità di sostenere adeguatamente il nuovo e di garantire un ricambio.
Il problema dell’uscita dal sistema delle sovvenzioni è tanto grave quanto quello di assicurare un adeguato ricambio. E se si creasse una rete di istituzioni che sostengono i giovani artisti, come a Glasgow dove esiste un dipartimento per sostenere i giovani artisti? Oppure se si lavorasse su un prestito d’onore per i giovani artisti?

Gli steccati tra i diversi settori artistici
Gli steccati tra un settore artistico e l’altro sono superati occorre pensare strategie amministrative e politiche di sostegno in un’ottica interdisciplinare, di rafforzamento delle relazioni e degli scambi. Va premiato il «meticciato» culturale.

Lo statuto professionale dei lavoratori
Lo statuto professionale dei lavoratori dello spettacolo è una priorità, così come lo è la mobilità degli artisti . Non è una fortuna che l’Italia non sia toccata dal problema degli «intermittents» , è solo il segnale di una situazione arretrata che non difende professionalità, percorsi formativi, la libertà degli artisti.

Il dialogo interculturale
Il dialogo interculturale non è il problema di qualche artista lungimirante o d qualche sensibile programmatore: è una questione attuale di cui rischiamo di restare vittime se non impariamo a gestirlo. Occorre inventare nuove pratiche, studiare capire confrontarsi: in una parola mettersi in gioco e accettare il confronto. Le nuove generazioni sono senz’altro più attrezzate, ma debbono potersi mettere alla prova: avere spazi e mezzi per farlo


Che cosa chiedere alle istituzioni?
# di assumersi la responsabilità di una politica culturale coraggiosa, indicandola con scelte chiare coerenti riconoscibili.

# di assicurare una visione complessiva e strategica del tema cultura. Non è possibile che l’attenzione sia assicurata solo se si toccano temi della identità culturale o del patrimonio.

# di rifiutare la logica dell’emergenza che ci rende schiavi e perdenti a livello europeo

# di agire con competenza. La professionalità la conoscenza dei problemi le scelte documentate sono i presupposti minimi da chiedere a chi amministra

# di garantire pari opportunità ai giovani artisti. Di assicurare la loro mobilità in Europa per formarsi per confrontarsi: in una parola per crescere

# di assicurare vigilanza e controllo di gestione rispetto agli obiettivi dati siano essi gli obbiettivi di un progetto ovvero gli obiettivi di una struttura di spettacolo, ricorrendo però sempre ad esperti competenti. E’ possibile farlo, dal momento che altri paesi europei hanno elaborato esperienze positive in tal senso.


Un semplice elenco di questioni, ognuna delle quali meriterebbe di essere approfondita attraverso un confronto serio. Credo infatti che sia proprio su questi temi che in questo momento varrebbe la pena di misurare la capacità progettuale e di proficua interlocuzione tra artisti ed istituzioni .

Roma, 15 marzo 2004


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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