ateatro 64.30
Siamo alle solite?
I gusti personali e i soldi pubblici
di Tiziano Fratus
 

Caro Oliviero e cari amici del teatro,
ho letto con attenzione gli interventi pubblicati su «Hystrio» e su ateatro 62, ma ricordo anche un articolo di lamentazioni di Franco Quadri uscito a inizio stagione, se non rammento male, su «Venerdì di Repubblica».
Siamo alle solite, i teatranti sono sempre sul piede di guerra: ci si lamentava delle condizioni disagevoli negli anni Venti, lo faceva Bergman a Stoccolma, lo facciamo da anni qua in Italia. Che poi all'estero la situazione, come più volte ho letto, sia decisamente migliore è una bella favola: anche in Inghilterra gli attori riescono (tranne i più celebri) a fare teatro al National Theatre o al Royal Court Theatre soltanto se si mantengono con pubblicità, televisione e cinema. E fuori Londra è il blackout. In Germania gli autori stanno vivendo un momento di originalità artistica ma i teatri ricevono finanziamenti ridotti e ogni teatro cittadino cerca di farsi il suo genio. In Francia i problemi li abbiamo visto l'estate scorsa. La cifra del finanziamento in Italia è minore, ma è anche vero che di compagnie e di centri ce ne sono tantissimi, secondo una scansione tipologica davvero impressionante (stabile privato, stabile pubblico, d'innovazione, d'innovazione per ragazzi, comunali...).
Io non conosco a menadito le dinamiche interne all'Eti, però mi pare che la risposta della Libero sia del tutto basata sui fatti e su considerazioni ragionevoli, al contrario delle sparate hystriane.
Vogliamo "esercitare un diritto del cittadino che paga le tasse e ha diritto di sapere come e da chi vengono spesi i denari pubblici"? Benissimo, ma sicuramente sarebbe il caso di iniziare una disamina dei gusti personali, che come ho detto proprio a Castiglioncello da molti anni la critica militante espone come oggettivi. Scandalo per la riduzione dei finanziamenti alla Raffaello Sanzio? Per quale ragione, io stato, che fornisco un sostegno a degli artisti dovrei proseguire e darlo se questi si limitano a fare teatro per sé stessi e per pochi amici critici? O per pochi afecionados? Conosco decine e decine di pittori, compositori, video artisti, drammaturghi, poeti, che meriterebbero un sostegno ma che devono fare i conti con l'ospitalità di piccole strutture, o che devono iniziare la loro avventura (o la loro ricerca) pagandosi libri (che avviene anche a teatro, e non tacciamo per comodità quello che sappiamo) e la pubblicazione su rivista. Perché questi, che fanno arte che potrebbe essere vista e seguita da un pubblico eterogeneo (non di massa, non credo in questa comoda definizione) devono affidarsi a strutture straniere e a piccoli finanziatori e gruppi che oramai fanno teatro per dovere e per se stessi soltanto dovrebbero continuare a essere ben sostenuti dallo stato? E' democrazia? O il suo contrario? O clientelismo ingessato?
E poi sarebbe il caso di fare ordine, e di non andare allo sbaraglio: Opera Prima è terminato per decisione della giunta locale, così come Primavera dei Teatri a Castrovillari. Le giunte erano di destra. A Moncalieri, dopo anni di buoni risultati con il Teatro Civico Matteotti e con il Festival Theatropolis, che ha portato in Italia anche formazioni poi ospiti a Santarcangelo e RomaEuropa, è una giunta di centro sinistra ad aver ostacolato ed annullato la direzione di Maurizio Babuin. E a Torino per il 2006 (che già ha rotto e tanto) si organizzerà uno spettacolo multimiliardario con Ronconi! Se questa è il nuovo, e l'apertura... e siamo in zona centrosinistra. La legge fatta durante la legislatura di centrosinistra era pessima, inconsistente, non risolve i problemi fondamentali. E poi le compagnie stesse dovrebbero, a mio parere, essere più coerenti, ed anche un po' più eticamente corrette: non combinare un Castiglioncello per propagandare soltanto gli spettacoli di alcune formazioni già ampiamente (non tutte, ma in buona parte) finanziate. E quindi, farsi forza di un elenco di decine di soggetti per pretendere ascolto dagli Stabili d'Innovazione. Certamente io non ho la soluzione, ma vorrei anche comprendere quale sia il problema principale: che taluni organizzatori non vengono assunti dall'Eti? Che taluni critici non facciano più parte del mobilio degli enti erogatori e delle commissioni giudicanti? C'è una gran confusione, ed ognuno cerca di portare acqua al suo mulino. Sarebbe opportuno riuscire e discutere senza avanzare critiche basate sul malcontento personale, o sulla credenza di essere dei geni non dovutamente assistiti e glorificati. Andrea Nanni propose tempo fa alle compagnie di ridurre i budget degli spettacoli, in modo da riuscire a girare di più. Certo che se si montano spettacoli da dieci-quindici- ventimila (!!) euro è una bella pretesa girare l'Italia. Una pretesa che porta per forza a scontrarsi con strutture inadatte, innanzitutto economicamente. A meno di compilare stagioni con quattro spettacoli. E poi per chi? Per gli avvocati che vanno nel teatro comunale e si complimentano (o si lamentano) con l'assessore e quindi questi con il responsabile del teatro?
Poi un poeta è liberissimo di iniziare un poema di ottantamila versi senza fare nient'altro nella vita, sperando (sempre che non sia di famiglia benestante come Carmelo Bene o Fabrizio De Andrè) che una volta terminato gli venga conferito il Nobel. Ma di solito non accade.
Per la ricerca continuano a mancare strutture realmente specialistiche, che però potrebbero vivere soltanto nelle grandi città, aprire i battenti ma soprattutto proseguire (i problemi di Pistoia dovrebbero aprire gli occhi agli scettici). I grossi teatri stanno in città con oltre un milione di abitanti, se non molto molto più popolate (Londra, Berlino, Barcellona, Madrid, Parigi, Bruxelles, New York, Los Angeles, Chicago, Melbourne, Sydney, Tokyo). Che poi una compagnia, uno scrittore, un attore, un artista, per proseguire il proprio lavoro, la propria ricerca, debba innanzitutto resistere è il più vecchi insegnamento della storia dell'uomo.

un caro saluto

Tiziano Fratus


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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