ateatro 59.84 Il CdA del Piccolo censura Dario Fo? Sergio Escobar sulla prima pagina del "Corriere della Sera" di Redazione ateatro
Il solo annuncio della presenza di Dario Fo al Piccolo Teatro sta già innescando censure e scatenando polemiche.
Il Premio Nobel sarà ospite del Piccolo con una nuova commedia, L’anomalo bicefalo, che racconta un’operazione chirurgica che riguarda Berlusconi e Putin. A chi, nel corso di un incontro tenuto alla Sala Montanelli del «Corriere della Sera», gli ha chiesto se voleva attaccare «il potere in generale», Dario Fo ha subito precisato: «No, no io voglio proprio parlare di Berlusconi. Del resto anche Shakespeare nel suo ultimo lavoro Misura per misura volle colpire il re, succeduto a Elisabetta: e da allora non rappresentò più nulla, poi morì». Commento in sordina dalla prima fila, voce di Franca Rame: «Spero non succeda anche a noi».
Ma già si addensano le ombre della censura e del ricatto. Fo ricorda gli anni della Prima Repubblica: «Franca ed io avevamo difficoltà, come sempre, ma tutto sommato rimpiango la Dc. Nel mio Fanfani rapito ci andavo giù di brutto, ma non ci censurarono (adesso non ci fanno neppure andare in tv), non scattò il subbuglio provocato dalla mia nuova commedia L’anomalo bicefalo».
Le pressioni devono essere pesanti se il direttore del Piccolo, Sergio Escobar, ha sentito il bisogno di occupare ieri (17 ottobre) la prima pagina del quotidiano milanese per difendere l’autonomia del teatro, che già l’anno scorso si era ritrovato al centro di una feroce polemica per i manifesti usati da Ronconi per Le Rane a Siracusa (vedi ateatro 35).
«Dopo l’anticipazione che Fo ha voluto dare sulla sua presenza al Piccolo, sono cominciati ad arrivare i consigli a "lasciar perdere", "non è aria" e poi "in momenti di crisi economica", "si sa, i finanziamenti"... Tanto attivismo - ne sono certo - non viene neppure dal "potere vero", ma dalla solita zavorra di zelanti, la stessa che, oscillando da dritta a manca, ha sempre accompagnato la navigazione di ogni Governo, non rendendogli certo un buon servizio». Ma ora «i consigli amichevoli sono diventati attacchi pubblici: in democrazia è già un bel passo avanti».
La battaglia è appena iniziata, perché lo spettacolo non era stato inserito in stagione e deve ancora passare l’esame del CdA. Escobar gioca d’anticipo: «Ogni stagione, ai titoli presentati se ne aggiungono altri, che non sono inseriti in abbonamento (non lo sono neppure tutti quelli della stagione), titoli che seguono la normale prassi di approvazione. Anche lo spettacolo di Fo la seguirà: sono fatti suoi se ha voluto anticipare alla stampa il progetto in corso, per cui nulla è stato ancora formalizzato. Dunque sarà in consiglio a esprimersi. Se Fo è stato ospitato per 50 anni al Piccolo, compresa l’ultima stagione, per quale ragione avrei dovuto pensare - contro il mio senso etico - di ricorrere questa volta a un umiliante, quanto stupido, blitz? Cosa sarebbe cambiato? Perché avrei dovuto priva gli amici del Consiglio di Amministrazione del diritto di smentire il timore - scritto da pochi e pensato da molti - che l’omologazione politica del suo recente rinnovo avrebbe avuto come scopo quello di imbavagliare il Piccolo? E’ certo però che il Consiglio di Amministrazione non voterà solo su un fatto, non alzerà la mano su un titolo, ma per esprimerà su un principio: il diritto alla satira, alla libertà di pensiero. Personalmente non avrei nulla in contrario se questa discussione fosse pubblica, alla luce del sole, come voleva Cartesio. Anche il pubblico che riempie i nostri teatri capirebbe che non si tratta dell’ennesima bega».
Ma che dicono i membri del Cda? Ecco le dichiarazioni di alcuni di loro sul «Corriere della Sera» del 18 ottobre:
Roberto Ruozi (presidente, nominato dal Comune di Milano): Non conosco lo spettacolo. Non posso esprimermi. Dario Fo è 50 anni che fa teatro! Io da ragazzo lo trovavo sensazionale. Con l’andare degli anni forse ha perso un po’ di smalto. Valuteremo, per ora è un problema inesistente».
Emanuele Banterle (nominato dalla Regione Lombardia): «Non commento. Ricordo che Dario Fo è stato in cartellone anch el’anno scorso, su di lui è inutile fare valutazioni. Storiccamente, il CdA ha espresso riserve su alcuni spettacoli, ma non ne ricordo di non approvati.»
Rosa Giannetta Alberoni (nominata dalla Provincia di Milano): «Il problema non è Dario Fo o un altro drammaturgo. Non c’entra se la satira sia contro Berlusconi o D’Alema. Io mi batterò perché questi spettacoli non passino. Io dico di no. Portino in scena la creatività, se ce l’hanno, non tesi politiche. E’ giunta l’ora di dire basta. I drammaturghi si diano da fare: ci sono tanti libri di narratori italiani che potrebbero essere messi in scena: perché usare il teatro per insultare i politici? Che senso ha una cosa simile? Me lo chiedo anche per Dario Fo.»
Pieluigi Crola (nominato dalla Regione Lombardia): «Finche non ho visto la trama non posso dare un giudizio. Un problema analogo è successo nello scorso Consiglio, quando mi sono scagliato contro lo spettacolo Mai morti proposto da Teatridithalia, dove si paragonano i fascisti ai carabinieri coinvolti nella vicenda di Carlo Giuliani. Io ho votato contro, ma la proposta è passata con la programmazione in blocco. Io posso capire una posizione contraria, ma tutto ha un limite, non si può diffamare, ci vogliono dei paletti! Anche la satira può essere forte, ma non oltre un certo limite. Mi atterrò allo stesso principio per Dario Fo, ma prima devo leggere il testo! Non è una questione politica ma di correttezza. E non è una censura.»
Per la cronaca, in attesa che il dibattito si scaldi, può essere utile ricordare che Dario Fo e Franca Rame sono rimasti fuori dalla televisione della Prima Repubblica dal 1962 (anno della celeberrima censura allo sketch sulle morti sul lavoro di Canzonissima) al 1977, quando la Rai ha trasmesso il ciclo di commedie Il teatro di Dario Fo (e anche allora non fu facile mandare in onda Mistero buffo). Anche a Milano, la sua città, il Premio Nobel non ha goduto di grandi favori: a lungo i suoi spettacoli non sono passati per le sale gestite dal Piccolo Teatro. E in tutta la sua carriera l’unico teatro che l'autore-attore ha gestito direttamente è stata la Palazzina Liberty (ristrutturata da Fo, dalla sua compagnia e da moltissimi volontari): non a caso la Palazzina, corpo estreneo alla città ma frequentatissima, gli è stata ben presto scippata dal giunta comunale cittadina. Insomma, i tempi sono duri, ma c'è anche una solida tradizione italica, un vecchio copione che viene puntualmente riaperto.
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