Nella mitica Enciclopedia pratica del comico, una intera lezione era dedicata ad Alberto Sordi.
In occasione della sua scomparsa, può essere curioso rileggere quella pagine, ispirate alle polemiche suscitate dalla figura dell'Albertone nazionale.
Nella lezione precedente, dedicata
alla tradizione, avevamo quasi dimenticato un nome: quello di Alberto Sordi.
Ma rimediamo subito: anche perché qualche tempo fa l'Albertone nazionale
è stato coinvolto, suo malgrado, in una grande disputa social-politico-cultural-antropologica.
Infatti non basta passare una vita a dire e fare cazzate (nel senso più
alto del termine). Attenzione: prima o poi qualcuno inizia a prenderle
sul serio, a trasformarle in grimaldelli per leggere la realtà,
a usarle per le proprie crociate.
«Italiani, ve lo meritate,
Alberto Sordi!». (Nanni Moretti in Ecce Bombo)
«Sordi non ha mai fatto altro
che se stesso in vita sua ed è per questo che oggi è finito».
(Nino Manfredi, «La Stampa», 9 aprile 1994)
«Il compito più urgente
per generare una svolta nel Paese è proprio quello di dimenticare
Alberto Sordi. Non come comico, per carità, ma come rappresentazione
del carattere nazionale, come autobiografia della nazione. I suoi personaggi
condensano il peggio prodotto dalla nostra nazione in questo mezzo secolo».
(Marcello Veneziani, «il Giornale», 6 luglio 1994)
«Sordi come maschera cinematografica
era un po' l'emblema dell'Italia che detestavamo, quella della palude democristiana,
delle segnorine e dei sciuscià che erano cresciuti ed erano entrati
in società. Certo, oggi il panorama non è entusiasmante,
forse non ci piace nemmeno la saga di Dallas-Arcore, ma l'efficientismo
milanese di Berlusconi è pur sempre un passo avanti rispetto al
sordismo romanesco». (Giano Accame, «Corriere della Sera»,
7 luglio 1994)
«Io questi qui che mi attaccano
non li conosco. Non li ho mai conosciuti: né Fini né Almirante
né quelli di oggi. Ricordo solo il padre di Almirante: era un direttore
di doppiaggio, fratello dell'attore Mario, un galatuomo, disperato per
questo figlio che nell'immediato dopoguerra rischiava la vita per fare
comizi». (Alberto Sordi, «la Repubblica», 8 luglio 1994)
«Sordi ha avuto il merito
di essere l'unico comico al mondo a divertire milioni di persone mettendo
in scena un personaggio negativo, odioso e prevaricatore: non la solita
vittima. Un atto di coraggio nell'ambito dello spettacolo. Quelle commedie
hanno cambiato gli italiani, distruggendo tabù e mettendo in risalto
difetti». (Mario Monicelli, «la Repubblica», 8 luglio
1994)
«Ci siamo accorti all'improvviso
che la società era popolata da esseri davvero mostruosi, e pensammo
con i nostri film come I mostri soprattutto di farne oggetto d'osservazione.
Oggi accade ancora di peggio, accade che ci stiamo trasformando in autentici
fabbricanti di esseri mostruosi e quando questo processo sarà portato
alle estreme conseguenze non si saprà più a chi parlare di
mostri». (Furio Scarpelli, «il Giornale», 4 luglio 1994)
«Sì, è vero,
sul grande schermo è lui il simbolo della mostruosità, lui
un arrivista che non arriva mai, lui che però è anche vittima
della società in cui vive. Ma oggi che si è alzato il comune
senso della mostruosità anche Fantozzi è un essere orribile,
sorpassato, fuori tempo, fuori moda». (Carlo Verdone, «il Giornale»,
4 luglio 1994)
«Non li ho amati neanche io,
quei personaggi... Ma non capisco questa accusa: io, con quelli lì,
non c'entro niente, non ho mai interpretato me stesso, tra me e loro c'è
soltanto un rapporto breve, temporaneo. Faccio l'attore, io». (Alberto
Sordi, «la Repubblica», 8 luglio 1994)
«Le maschere sono sempre state
rappresentative di certi difetti, i personaggi della nostra commedia dell'arte
non sono mica dei signori con l'aureola! Sono delle maschere che rappresentano
dei difetti, e Dio ci liberi dal Paese che non ride dei propri difetti!
Sarebbe gravissimo, raramente i tiranni hanno ironia, raramente i paesi
che hanno vissuto una tirannide hanno saputo ridere». (Lina Wertmller,
«Corriere della Sera», 14 luglio 1994)
«La maschera plautina di Sordi
non è soltanto la rappresentazione di certi vizi nazionali, ma anche
l'esaltazione dell'umanità popolare». (Franco Cardini, «Corriere
della Sera», 7 luglio 1994)
«Grazie a Sordi, Tangentopoli
è arrivata sugli schermi prima che nei tribunali». (Roman
Gubern, «la Repubblica», 16 luglio 1994)
«Non è un attacco a
Sordi, ma a tutta la commedia, alle idee dei suoi autori. L'obiettivo è
rimettere in discussione l'intero cinema italiano del dopoguerra: il cinismo
che era in quei film, produceva una presa di coscienza». (Age, «la
Repubblica», 8 luglio 1994)
«Dopo, quando avevo ormai
interpretato tutti i personaggi di Tangentopoli e l'Italia sembrava aver
dimenticato battute come «Ho dato il cappotto al Polesine»,
Nanni Moretti e io ci siamo incontrati sullo schermo, in giro per Roma.
Nella stessa estate piena di dubbi e svolte: lui su quella Vespa da me
tenuta a battesimo quando in Italia si smetteva di mangiare il pane e si
cominciavano a sgranocchiare i grissini; io sulla carrozzella col cavallo
Nestore. E' strano: certi estremi si ricongiungono, a volte, in questa
Italia da revival». (Alberto Sordi, «Corriere della Sera»,
14 agosto 1994)