ateatro 50.20
Un mostro italiano
Il capitolo su Alberto Sordi nell'Enciclopedia pratica del comico
di Oliviero Ponte di Pino
 

Nella mitica Enciclopedia pratica del comico, una intera lezione era dedicata ad Alberto Sordi.
In occasione della sua scomparsa, può essere curioso rileggere quella pagine, ispirate alle polemiche suscitate dalla figura dell'Albertone nazionale.



Nella lezione precedente, dedicata alla tradizione, avevamo quasi dimenticato un nome: quello di Alberto Sordi. Ma rimediamo subito: anche perché qualche tempo fa l'Albertone nazionale è stato coinvolto, suo malgrado, in una grande disputa social-politico-cultural-antropologica. Infatti non basta passare una vita a dire e fare cazzate (nel senso più alto del termine). Attenzione: prima o poi qualcuno inizia a prenderle sul serio, a trasformarle in grimaldelli per leggere la realtà, a usarle per le proprie crociate.

«Italiani, ve lo meritate, Alberto Sordi!». (Nanni Moretti in Ecce Bombo)

«Sordi non ha mai fatto altro che se stesso in vita sua ed è per questo che oggi è finito». (Nino Manfredi, «La Stampa», 9 aprile 1994)

«Il compito più urgente per generare una svolta nel Paese è proprio quello di dimenticare Alberto Sordi. Non come comico, per carità, ma come rappresentazione del carattere nazionale, come autobiografia della nazione. I suoi personaggi condensano il peggio prodotto dalla nostra nazione in questo mezzo secolo». (Marcello Veneziani, «il Giornale», 6 luglio 1994)

«Sordi come maschera cinematografica era un po' l'emblema dell'Italia che detestavamo, quella della palude democristiana, delle segnorine e dei sciuscià che erano cresciuti ed erano entrati in società. Certo, oggi il panorama non è entusiasmante, forse non ci piace nemmeno la saga di Dallas-Arcore, ma l'efficientismo milanese di Berlusconi è pur sempre un passo avanti rispetto al sordismo romanesco». (Giano Accame, «Corriere della Sera», 7 luglio 1994)

«Io questi qui che mi attaccano non li conosco. Non li ho mai conosciuti: né Fini né Almirante né quelli di oggi. Ricordo solo il padre di Almirante: era un direttore di doppiaggio, fratello dell'attore Mario, un galatuomo, disperato per questo figlio che nell'immediato dopoguerra rischiava la vita per fare comizi». (Alberto Sordi, «la Repubblica», 8 luglio 1994)

«Sordi ha avuto il merito di essere l'unico comico al mondo a divertire milioni di persone mettendo in scena un personaggio negativo, odioso e prevaricatore: non la solita vittima. Un atto di coraggio nell'ambito dello spettacolo. Quelle commedie hanno cambiato gli italiani, distruggendo tabù e mettendo in risalto difetti». (Mario Monicelli, «la Repubblica», 8 luglio 1994)

«Ci siamo accorti all'improvviso che la società era popolata da esseri davvero mostruosi, e pensammo con i nostri film come I mostri soprattutto di farne oggetto d'osservazione. Oggi accade ancora di peggio, accade che ci stiamo trasformando in autentici fabbricanti di esseri mostruosi e quando questo processo sarà portato alle estreme conseguenze non si saprà più a chi parlare di mostri». (Furio Scarpelli, «il Giornale», 4 luglio 1994)

«Sì, è vero, sul grande schermo è lui il simbolo della mostruosità, lui un arrivista che non arriva mai, lui che però è anche vittima della società in cui vive. Ma oggi che si è alzato il comune senso della mostruosità anche Fantozzi è un essere orribile, sorpassato, fuori tempo, fuori moda». (Carlo Verdone, «il Giornale», 4 luglio 1994)

«Non li ho amati neanche io, quei personaggi... Ma non capisco questa accusa: io, con quelli lì, non c'entro niente, non ho mai interpretato me stesso, tra me e loro c'è soltanto un rapporto breve, temporaneo. Faccio l'attore, io». (Alberto Sordi, «la Repubblica», 8 luglio 1994)

«Le maschere sono sempre state rappresentative di certi difetti, i personaggi della nostra commedia dell'arte non sono mica dei signori con l'aureola! Sono delle maschere che rappresentano dei difetti, e Dio ci liberi dal Paese che non ride dei propri difetti! Sarebbe gravissimo, raramente i tiranni hanno ironia, raramente i paesi che hanno vissuto una tirannide hanno saputo ridere». (Lina Wertmller, «Corriere della Sera», 14 luglio 1994)

«La maschera plautina di Sordi non è soltanto la rappresentazione di certi vizi nazionali, ma anche l'esaltazione dell'umanità popolare». (Franco Cardini, «Corriere della Sera», 7 luglio 1994)

«Grazie a Sordi, Tangentopoli è arrivata sugli schermi prima che nei tribunali». (Roman Gubern, «la Repubblica», 16 luglio 1994)

«Non è un attacco a Sordi, ma a tutta la commedia, alle idee dei suoi autori. L'obiettivo è rimettere in discussione l'intero cinema italiano del dopoguerra: il cinismo che era in quei film, produceva una presa di coscienza». (Age, «la Repubblica», 8 luglio 1994)

«Dopo, quando avevo ormai interpretato tutti i personaggi di Tangentopoli e l'Italia sembrava aver dimenticato battute come «Ho dato il cappotto al Polesine», Nanni Moretti e io ci siamo incontrati sullo schermo, in giro per Roma. Nella stessa estate piena di dubbi e svolte: lui su quella Vespa da me tenuta a battesimo quando in Italia si smetteva di mangiare il pane e si cominciavano a sgranocchiare i grissini; io sulla carrozzella col cavallo Nestore. E' strano: certi estremi si ricongiungono, a volte, in questa Italia da revival». (Alberto Sordi, «Corriere della Sera», 14 agosto 1994)


 
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