ateatro 43.5 Il teatro yoruba (parte terza) di Francesca Lamioni Si conclude con questa terza puntata il saggio di Francesca Lamioni sul Teatro yoruba.
La prima parte di questo saggio è stata pubblicata in ateatro 39-40,
la seconda su ateatro41.
Il saggio funge da prefazione a Le Baccanti di Euripide: un rito di comunione di Wole Soyinka,
cura e traduzione di Francesca Lamioni, pagg. 112, euro 12,00, Editrice Zona,
che sarà in libreria tra pochi giorni.
Teatro Moderno in inglese
Nel 1863 l’Inghilterra si assicurò definitivamente l’influenza sulla Nigeria, grazie all’annessione di Lagos ai suoi domini. La Chiesa missionaria, secondo la cosiddetta politica delle tre C - Cristianità, Commercio, Civilizzazione - cercò di dare vita a una classe d’élite nigeriana che avrebbe detenuto i ruoli base nella politica, nell’economia e nella chiesa stessa. Per questo motivo l’istruzione divenne di tipo totalmente occidentale.
Nel 1886 fu aperta l’Accademia, che fu definita un centro sociale e culturale per il divertimento pubblico, teso a promuovere arte, scienza e ogni altro genere di cultura. In seguito centri di questo genere si moltiplicarono, diventando la sede principale degli spettacoli, per lo più impostati sullo stile dance-hall dei primi anni sessanta inglesi, con canzoni comiche e d’amore, duetti, storielle e sketch in cui la musica tendeva a predominare sulle altre forme espressive. Verso la fine del secolo essere colti, a Lagos, significava avere acquisito un gusto vittoriano, con tutta la sua vacuità e superficialità: si andava alle corse dei cavalli, si giocava a cricket e si andava al teatro, anch’esso ovviamente promosso e monopolizzato dai ceti sociali più elitari. A causa dell’esorbitante costo dei biglietti il teatro non era avvicinabile da gran parte della popolazione e con la Prima Guerra Mondiale e l’avvento del cinema subì un crollo.
Dopo la guerra si diffusero molte confraternite che predicavano un ritorno alla spiritualità e all’essenza della religione: coscienti dei legami fra trance, teatro e religione gli uomini di chiesa cercarono di ridare vita alla danza, alla musica e alle canzoni tradizionali, restando però sempre vincolati alla tradizione ecclesiastica occidentale. Nel 1944 fu determinante l’entrata in scena di Hubert Ogunde, che con la sua Native Opera liberò il teatro dagli stretti confini dei monotoni ritmi di chiesa, dando vita a un nuovo stile brillante, usando musiche e danze yoruba. Pur tuttavia il linguaggio teatrale era ormai compromesso da anni di dominazione straniera e gli spettacoli offrivano come tematiche un miscuglio di elementi attinti dalla Bibbia, da Shakespeare, dalla commedia americana a dalla retorica vittoriana. E’ in questo contesto che si inserisce il 1960 MASKS, gruppo teatrale che appare nel 1960 a Ibadan, sotto la guida di Wole Soyinka. Soyinka, premio Nobel per la letteratura nel 1986, è il maggior esponente del teatro nigeriano e africano; egli ha dato vita a un nuovo linguaggio teatrale, mescolando elementi della tradizione africana e occidentale, affrontando tematiche molto attuali: la sua vasta produzione teatrale (edita in Italia da Jaca Book nelle antologie Teatro 1 e Teatro 2) affronta le problematiche dell’Africa contemporanea, che si trova a fare i conti con un’indipendenza acquisita soltanto a metà, risultato - talora alienato - della colonizzazione dei paesi europei. Altro aspetto caro alla produzione letteraria di Soyinka è quello del rito, trattato sia dal punto di vista mitologico-religioso (in cui l’Autore mostra l’importanza della tradizione per la costruzione del patrimonio etico di un popolo) che sotto l’aspetto della degenerazione nel fanatismo religioso e nell’uso corrotto del divino per manipolare le masse. Soyinka ha spesso sottolineato il parallelismo fra il pantheon yoruba e quello greco, in particolar modo fra il dio Ogun e il Dioniso ellenico: a questo proposito è assai interessante il suo rifacimento della tragedia Le Baccanti di Euripide, la cui traduzione in italiano verrà pubblicata dalla casa editrice Zona fra poche settimane. Insieme a Soyinka fra i principali rappresentanti del teatro nigeriano moderno ci sono Obatunde Ijimere, John Pepper Clark e Ola Rotimi: antimaterialista e mistico, il primo attinge da fonti religiose nigeriane e straniere; discepolo della fratellanza e dell’universalità, il secondo elabora sapientemente gli stili poetici stranieri, rifacendosi soprattutto all’antica Grecia.
Ijimere è nato in Nigeria nel 1930. Dopo avere terminato il liceo si è unito alla compagnia di Duro Ladipo, che ha lasciato subito dopo per frequentare corsi di Ulli Beier sugli scrittori ex moenia. In seguito ha scritto alcune storie brevi e quattro opere teatali: The Fall of Man, in pidgin, The Imprisonment of Obatala, Everyman e Woyegi. Al 1967 risale Born with Fire on his Head.
John Pepper Clark, nato nell’Ijaw occidentale nel 1935, ha frequentato il Government College di Ughelle e completato la sua formazione con una laurea in inglese presso l’Università di Ibadan, nel 1960. Mentre era studente ha fondato “The Horn”, una rivista studentesca di poesia nella quale apparivano anche alcuni suoi versi. Dopo la laurea ha lavorato come impiegato presso il Ministero dell’Informazione di Ibadan. Nel 1961 è diventato direttore di uno dei reparti dell’Express Group of Newspaper a Lagos. Al 1962 risalgono The Masquerade e The Raft, seguite da America, Their America, frutto della sua personale esperienza americana e sorta di travel-note. Dal 1963 al 1964 è stato ricercatore presso The Institute of African Studies di Ibadan e in seguito è diventato lettore d’inglese all’Università di Lagos. La sua terza opera teatrale, del 1965, s’intitola Song of a Ghoat; ha scritto inoltre poesie e numerosi saggi critici.
Ola Rotimi è nato nel 1938 ed è coetaneo di Soyinka e Clark; il suo teatro però sembra un ponte fra la tradizione drammatica yoruba e una forma di avanguardia. Rotimi ha studiato a lungo la tradizione yoruba quando era ricercatore all’Università, pur non essendo uno yoruba puro ma un misto fra yoruba e ijaw: egli stesso ha confessato di parlare più correttamente l’inglese dello yoruba. Fra le sue opere più celebri troviamo la tragedia Kurunmi, del 1969, Ovanramwen Nogbaisi e The Gods Are Not To Blame, entrambe del 1971; l’ultima delle pièces citate è un rifacimento della tragedia Edipo Re di Sofocle, trasferita in suolo yoruba.
Il giovane teatro africano presenta ancora molti problemi per gli scrittori che intendono occuparsi professionalmente di drammaturgia. I problemi principali a cui essi vanno incontro sono di tipo tecnico: mancano infatti in Africa gruppi di attori professionisti e anche bravi registi in grado di mettere in scena le opere restando fedeli al messaggio dell’Autore; c’è inoltre il grande ostacolo della lingua, del quale ho parlato precedentemente. Molti scrittori si sono impegnati nel dibattito sul teatro e lo stesso Soyinka vi ha preso parte con un saggio intitolato Towards A True Theatre, in cui espone il suo punto di vista in proposito.
Qui Soyinka narra la sua esperienza presso un teatro a Kampala, che gli è apparso come la miniatura di un teatro di provincia inglese: corridoi in cui la gente beveva gin e conversava, sontuose toilette, poster affissi al muro che riproducevano opere e attori inglesi di tutti i tempi, da Richardson a Oliver e altri della Old Brigade. Il tutto dava l’idea che la New Shakespeare Theatre Company stesse facendo una tourneé nell’Africa occidentale:
L’edificio stesso è un esempio del generale fraintendimento della parola teatro. Il teatro, in particolare il teatro nazionale, non è mai la massa di legno e cemento che gli architetti piazzano su un pezzo di terra. Abbiamo sentito dell’esistenza di un Teatro Nazionale e siamo corsi pieni di gioia: abbiamo trovato un edificio elegante nel centro della città. Quello che abbiamo trovato è una sorta di sfarzosa Casa delle Bambole, sorella gemella del National Museum.
Ulli Beier è uno studioso europeo appassionato della tradizione nigeriana che si è trasferito da molti anni in Africa a studiare gli usi e i costumi yoruba ed è stato accettato come parte della popolazione, al punto di essere stato iniziato al culto egengun, rituale di estrema sacralità precluso stranieri.
2 W. Soynka, Towards A True Theatre, in Y. Ogunbiyi, Drama and Theatre in Nigeria: a critical source book, Lagos, 1981, pp. 457-461
3 Ibid., p. 457.
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