ateatro 41.11 Il teatro yoruba (parte seconda) di Francesca Lamioni La prima parte di questo saggio è stata pubblicata in ateatro 39-40.
Origine e sviluppo del teatro nigeriano
In Africa esiste una robusta tradizione preteatrale, che appare evidente dai numerosi riti e dalle feste di molte comunità. I riti e le feste sono generalmente atti a celebrare avvenimenti sociali (nascita, matrimonio, morte) o cicli stagionali (l’avvento del nuovo anno, la primavera, il raccolto). Essi dimostrano il rapporto stretto che esiste fra uomo, società e natura: l’uomo cerca di perseguire i suoi desideri danzando e recitando, cercando di imporre l’illusione sulla realtà per ristabilire l’equilibrio, assicurandosi il controllo sulle forze della natura. La maggior parte degli studiosi è concorde nell’individuare quattro fasi nello sviluppo del teatro nigeriano: teatro rituale, teatro tradizionale, opera folk , teatro moderno in lingua inglese.
Teatro rituale
E’ difficile delineare con precisione il momento di passaggio da semplice rito a teatro rituale, in quanto nella società africana il sacro è strettamente legato al profano e non c’è una netta distinzione fra le due sfere. Il rito è funzionale, ha uno scopo religioso che manca al teatro: un rito diviene spettacolo quando viene estrapolato dal suo contesto o quando la credenza che sosteneva ha perso il suo significato. Secondo Ola Rotimi, scrittore di teatro nigeriano, elemento essenziale per passare dal piano rituale a quello drammatico è l’imitazione di un’azione, di una persona o di più persone in azione.
Gli spettacoli che rivelano nel loro stile di presentazione, nel loro intento, nel loro significato segni di imitazione, divulgazione o intrattenimento, possono essere definiti teatro. 1
Il teatro rituale è quindi una sorta di cerimonia di culto, la cui forma espressiva principale è costituita dal mimo; il culto è un tentativo di comunicare con gli dei per capire i misteri della vita. Nei riti il compito di intercedere fra gli dei e la comunità appartiene all’oracolo sacerdote o babalawo: egli è l’attore principale, spesso posseduto da forze sovrannaturali e si esprime con una particolare voce gutturale, usando un linguaggio criptico e molto poetico. Canta inni di lode mentre prepara alcuni oggetti rituali, ricavati da foglie o da parti di animali essiccate; lancia i dadi e ne interpreta i simboli; si suppone che tutti questi cerimoniali lo aiutino a svelare misteri e a comunicare con gli dei.
Rappresentazioni meno spettacolari e più personali sono spesso svolte presso le tombe familiari, in quello che è chiamato il culto-antenato. Molte famiglie hanno un proprio luogo sacro, spesso adornato da un elaborato legno intagliato, al quale viene reso tributo periodicamente. I morti, nella oro prerogativa di guardiani dei vivi e intermediari fra uomini e divinità, sono spesso consultati nei periodi di carestia e prima che la famiglia prenda decisioni importanti. In questi casi presso la tomba viene eseguita un’elaborata azione drammatica, che vede i membri della famiglia imitare l’antenato morto, del quale sta invocando la guida e la protezione. La tecnica è principalmente la mimesis, accompagnata da inni di lode e da un leggero battito di tamburi. Il culto Egungun, ad esempio, è scaturito da queste occasioni di culto familiare per divenire una complessa danza in maschera, ora diffusa in tutta la Nigeria. Ola Rotimi spiega come la mascherata abbia conservato la sua funzione di culto, sviluppandosi però anche in arte rituale indipendente.
La presenza dei morti, la cui memoria è stata onorata, è invocata non solo attraverso lodi ma principalmente attraverso una serie di lugubri suoni vocali che imitano la voce nasale che si crede appartenga al mondo dei morti. Nel tempo questi gesti, questi suoni, questi movimenti sono stati estrapolati dalla loro rappresentazione originaria per divenire simbolici, dei pattern che annunciano la danza…2
Essendo la maschera l’elemento essenziale di una rappresentazione Egungun, ogni membro del corteo ne indossa una intagliata e decorata, dedicata a una particolare divinità o ad un antenato. L’uomo simbolicamente assume il carattere della maschera e tutti gli spettatori riconoscono il nuovo ruolo che l’anziano del villaggio sta interpretando. Ma indossare una maschera ha un significato più profondo che travestirsi per interpretare una parte in teatro: essa consente una trasformazione spirituale a colui che la indossa. Margaret Laurence, studiosa di teatro africano, spiega il fenomeno assai chiaramente:
Le maschere sono un tangibile mezzo di unione con l’altro mondo. Sono guardate con reverenza e allo stesso tempo offrono un simulacro sacro dell’oggetto adorato - dio divenuto carne - perché nel momento della possessione del danzatore da parte del dio della maschera, danzatore e maschera si fondono in un’unione di mortale e immortale. Quando un Egungun danza giunge spesso a uno stato di possessione e in quel momento si crede che lo spirito ancestrale sia concretamente visibile e presente. Lo stesso spirito del danzatore è sospeso quando diviene schiavo della maschera e spesso riesce a recitare con un’abilità superiore alla sua. 3
Si potrebbe affermare che col tempo il mimo e la mascherata, che facevano parte della sfera del culto, sono stati separati dal rito e hanno dato vita a una rappresentazione orientata verso l’intrattenimento. La nuova forma di spettacolo è ancora condotta dai membri dell’Egungun ma ora anche spettatori e partecipanti non iniziati al culto sono ammessi a partecipare all’evento. Questi sviluppi possono essere osservati meglio nel gruppo Agbegijo4 della società Egungun. I danzatori sono spesso al seguito dei fedeli ma enfatizzano la danza e la recitazione. E’ concesso loro di indossare maschere spesso vistose, profane e satiriche ma è loro proibito usare le vere maschere Egungun, più sobrie, che rappresentano particolari divinità o famosi antenati. Alcuni danzatori Agbengijo si sono allontanati dal culto Egungun per formare gruppi indipendenti di professionisti che recitano nelle piazze e nei mercati ma tutto sommato il loro spettacolo è limitato a episodi e sequenze di danza attinte dal culto. Le loro rappresentazioni sono in genere più simili a spettacoli di marionette e recite satiriche, nonostante rimangano utili veicoli per il teatro religioso. Nella categoria di dramma religioso potremmo anche includere la messa in scena di storie bibliche e di mitologia cristiana: la spiegazione della Bibbia attraverso scorci drammatici faceva infatti parte dell’insegnamento dei missionari, che hanno portato questa tecnica dall’Europa nel primo periodo della loro immigrazione in Nigeria e in altre parti dell’Africa. Una ripetizione anno dopo anno della Natività, con la solennità della Chiesa missionaria, si è presto trasformata in un monotono e stilizzato rituale agli occhi di gente che ama suonare tamburi e danzare come gli yoruba. La monotonia del culto cristiano è stata infatti la causa maggiore del distacco dei cristiani africani, soprattutto dalla Chiesa protestante, per la ricerca di una nuova dimensione e questo movimento è iniziato nel 1939 circa.
Un recente caso è quello di Duro Ladipo che, dopo essere stato per molto tempo insegnante di catechismo, se ne è andato dalla scuola per dare inizio a una propria attività teatrale, solo perché i missionari non gli permettevano di suonare i tamburi in chiesa. Nelle Chiese indipendenti la drammatizzazione delle storie bibliche raggiunge la perfezione: non solo è permessa più libertà nella rappresentazione ma si deve anche competere con altre corporazioni per ottenere adepti e sussidi; la recitazione si fa di conseguenza sempre più originale per attirare nuovi seguaci e mantenere vivo l’interesse dei vecchi fedeli. Questo aspetto delle sette religiose è ridicolizzato nell’opera di Wole Soyinka The Trials of Brother Jero.
Teatro tradizionale
Il teatro tradizionale prende origine da quello rituale e gli è molto vicino, al punto che talvolta è difficile operare una netta distinzione fra i due tipi di rappresentazione. In generale possiamo dire che il teatro tradizionale è più sofisticato, infatti vi sono stati introdotti contenuti linguistici, una trama, un’interazione di personaggi, una maggiore varietà di costumi e maschere, più musica e danze. Il teatro diventa tradizionale quando ha carattere profano e si rivolge a un pubblico. Un’ulteriore difficoltà nella distinzione scaturisce dal fatto che è difficile stabilire cosa sia secolare e che cosa sia religioso presso gli yoruba, in quanto non sembra esserci differenza fra realtà e finzione, carne e spirito, morti e vivi. Come abbiamo visto nel culto Egungun, l’aspetto religioso e quello carnevalesco possono convivere nel rito stesso.
Un’importante fonte di ispirazione per il teatro tradizionale è la mitologia; i miti più famosi sono connessi agli dei, alle loro origini, ai loro poteri e alla loro influenza sugli uomini. Il pantheon yoruba è molto vasto e gli dei vengono onorati con feste solenni e colorate. C’è quasi un approccio irriverente verso le divinità, come se gli yoruba sentissero il bisogno di portarle su un piano umano, in modo tale che possano rispondere di quello che nel mondo non funziona. Più o meno gli dei sono tutti imperfetti, hanno commesso qualche cattiva azione in passato: Ogun, ad esempio, ha ucciso la maggior parte dei suoi soldati quando era ubriaco e Obatala, sempre in preda ai fumi dell’alcol, ha creato gli albini, gli zoppi e i ciechi. Gli dei inoltre sono sempre in guerra fra loro e per questo motivo non ci si può aspettare che gli uomini facciano altrimenti. Queste storie sono raccontate e messe in scena in tutto il Paese durante le feste e formano la parte più cospicua del materiale drammatico.
Come ogni altra cultura non letteraria, la cultura yoruba è racchiusa in una serie di storie che la comunità ha accumulato circa le proprie origini, le conquiste, la grandezza passata e gli eroi. Tutto questo sapere è stato passato di generazione in generazione grazie alla più antica delle arti, quella della narrazione. Tutti i membri della famiglia partecipano al racconto ma gli anziani sono i più esperti, conoscono un maggiore numero di leggende, favole, aneddoti, proverbi. La struttura generale del racconto rimane più o meno invariata ma la narrazione differisce molto a seconda delle capacità del narratore di rappresentare i personaggi nei punti della vicenda che richiedono una recitazione più complessa: per raccontare la celebre storia di un cacciatore, il narratore deve mimare almeno una dozzina di animali. Spesso il racconto è arricchito da canzoni e i più bravi le accompagnano col ritmo del tamburo e passi di danza. I presenti si uniscono allo spettacolo danzando e cantando. La stessa parte narrativa diventa una sorta di dialogo col pubblico, che partecipa con appositi ritornelli e scambi di battute.
La letteratura orale non è usata solo per scopi ludici ma anche per fini pedagogici, infatti esistono storie adatte per i bambini piccoli che vengono raccontate di solito dalle nonne, sono storie che sviluppano la fantasia. In seguito ai ragazzi più grandi verranno raccontate storie che stimolano il coraggio, mentre alle ragazze quelle che mettono in risalto la laboriosità e la fedeltà. La conoscenza della storia e dei costumi della tribù è richiesta alle coppie che vogliono sposarsi; a chi invece vuole seguire la vocazione religiosa è richiesta la conoscenza delle leggende di Ogun5 e di tutto il sistema di Ifa, cioè del pantheon yoruba. La funzione di queste storie è di creare un codice morale: per gli yoruba l’etica incomincia infatti dalla comprensione degli dei e del loro ruolo nelle cose terrene. Ola Rotimi afferma:
La letteratura orale che è stata di aiuto alla nostra società, ebbe inizio quando i misteri dell’universo furono semplificati nella forma dell’esperienza quotidiana dell’uomo. Le vie degli dei divennero più vicine alla comprensione umana. I codici sociali dimostrarono allora di non essere solo un mezzo per preservare la pace ma anche uno strumento per il raggiungimento della vita ideale. I nostri progenitori nigeriani incominciarono ad aspirare al “bene” che ci si aspettava da ogni individuo all’interno della società. Gli uomini che divennero esempi viventi di questo ideale in seguito passarono ad altro mondo, ma le storie che richiamiamo alla memoria le loro virtù e il coraggio delle loro azioni vivono ancora e sono diventate la maggior radice per il fiorire del teatro.6
NOTE
1 Ola Rotimi, The Drama in African Ritual Dispaly, in Y. Ogunbiyi, Drama and Theatre in Nigeria, Lagos, 1981, p. 77.
22 O. Rotmi, Traditional Nigerian Drama, in Introduction to Nigerian Literature, Lagos and London, Bruce King, 1971, p. 176.
3 M. Laurence, Long Drums and Cannons, cit., p. 14.
4 Letteralmente significa Noi prendiamo il legno per danzare.
5 Dio del metallo, della strada, della guerra, della caccia.
6 O. Rotimi, Traditional Nigerian Drama, cit., p. 181.
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