ateatro 29.5
Il disoperamento del mondo
The Next Thing - Materiali di lavoro
di René Denizot
 
Nel disoperamento di un mondo deflagrato, che cos’è un’opera d’arte contemporanea?
Nasce, il problema, dalla situazione presente, ed esso stesso vi è in gioco. Nulla lo rappresenta. Esso lavora il presente come annullamento del tempo. Esso situa l’opera d’arte nella breccia in cui il suo avvento resta sospeso alla prova del disoperamento.
Il disoperamento è all’opera. Ma l’opera del disoperamento fa venire meno la perennità delle opere d’arte, interrompe la continuità della loro rappresentazione, spezza il loro quadro di riferimento, infrange la loro immagine e schiude, all’insaputa, la vacanza del presente, alla stregua di un incidente della storia ove viene alla luce il problema stesso dell’opera contemporanea.
Anacronisticamente, lo spettacolo continua come se niente fosse - Documenta, Biennale di Venezia…- come se l’arte e la cultura dovessero salvare le apparenze di un mondo che non esiste più.
La messa è finita. D’altronde, non è più questione di Salvezza. La salvaguardia di immagini che si riproducono da sole, quasi si giustificassero nella verifica della loro vacuità, è, per l’attrazione esercitata da nuove tecniche, l’espressione meccanica del disoperamento. Ma ne è l’espressione nichilista, il rigetto cieco dell’opera contemporanea, il ritiro nella fatalità della disoccupazione tecnica.
Il problema dell’opera d’arte è senza rifugio. E’ senza fondo. E’ il problema sorto dalla breccia temporale del disoperamento. E’ il problema aperto e muto sulle labbra del tempo. Esso sorprende il mondo al di fuori delle sue rappresentazioni, sul limite occidentale della sua storia, sulla soglia impensata delle metamorfosi che lo attraversano qui ed ora, e il cui gioco travalica, come distanti costellazioni, le figure tutelari della verità, la loro certezza filosofica e il loro fondamento metafisico.
Non è più questione di sottomettere l’opera alla domanda dell’essere, ché essa è opera del tempo che squarcia la storia, la prova del disoperamento che la abbandona alla partita del presente, ad una messa in gioco che la espone direttamente al gioco stesso del mondo. La possibilità di creare delle opere non appartiene a nessuno. Essa appartiene al mondo. E’ contemporanea alla deflagrazione di quel sistema di forze geopolitiche che sorreggeva la rappresentazione di una unità dialettica, in un medesimo quadro estetico, in un medesimo scenario ideologico ove la storia del mondo, secondo regole accademiche, svolgeva il protocollo ontologico e la declinazione di un atto univoco. Il teatro del mondo non è più un allegoria. Da Platone a Hegel, il mondo è giunto alla finzione che lo espone al disoperamento dei propri artifici. Non semplicemente disorientato, esso perde contemporaneamente il suo Oriente e il suo Occidente. Si affranca dai vincoli. Non è più un destino. il mondo è entrato nel tempo del mondo. Non è più l’universo chiuso di una realtà sostanziale, bensì il gioco illimitato dell’azione del disoperamento, l’esplosione di un presente frammentario e multiplo. E’ il mondo venuto meno e fratturato dal tempo che lo mette in gioco. E’ il mondo che apre e chiude il problema dell’opera.
Il mondo è all’opera, e l’opera è al mondo, stante una contemporaneità che non possiede altro orizzonte se non il momento e il luogo di fratture ed effrazioni in cui il presente dell’opera è un presente del mondo, mutuo abbandono al disopramento che libera il tempo del mondo, alla violenza dell’evento discriminante l’avvento di un opera che non può essere un presente datato ma lo schiudersi qui e ora, sulla soglia critica dell’apparizione e della scomparsa, di una mondializzazione del tempo.
La contemporaneità è questa metamorfosi del tempo dell’opera in opera stessa del tempo.
Così i Date paintings di On Kawara: pur dipinti di cronologie, essi non sono l’esposizione ridondante di una immagine del tempo fissata in una serie di quadri datati. Fra la datazione dei quadri e il presente della pittura vi sono la frattura del giorno e l’effrazione di un tempo espositivo, che lasciano vedere e leggere qui e ora, e frammentariamente - secondo il gioco metodico degli artifici -, l’evento che apre e chiude l’attuarsi del momento e del luogo dell’apparizione e della dis-apparizione, ciò che rende possibile intendere, sulla soglia dell’apparire, la pittura come porzione del tempo e come pratica del mondo.
Il mondo è in gioco nella pittura, non già come lo vorrebbe la storia del quadro che serba l’immagine di una rappresentazione datata e mai disperata, bensì come il presente visivo di una pratica pittorica che, alla prova del disoperamento, la espone la gioco del mondo.
La dimora dell’opera d’arte è la soglia, veicolo del presente che schiude la storia come un corpo vivo nell’incontro con un altro corpo. Ed è, la soglia, il luogo di una alienazione senza perdita, di un altrove senza alibi, di una alterità che qui e ora genera degli inizi senza che la memoria sia vana e il tempo lettera morta, bloccato nelle pietre dei monumenti, nelle rovine degli edifici, nel deserto degli antichi centri e delle città nuove.
Non c’è niente da inventare, salvo la contemporaneità. La partita del presente va giocata come si lanciano i dati. Aver luogo in ciò che è dato. Nel corpo degli edifici, nel corpo dei testi, nei segni erratici e nelle relazioni che innervano la città, essere afferrati dallo scaglionamento dei luoghi, e cogliere ancora nel disoperameto la vacanza dello spazio e del tempo, come in concedo dall’essere la spiaggia del presente, là dove si gioca di nuovo la rappresentazione di un inizio. E l’opera ha qui il suo abbrivio e il suo slancio.
La fine dell’arte non è più una fine. Piuttosto, è la condizione dell’opera contemporanea, necessaria al cospetto del disoperamento che libera il tempo della storia e attualizza i mezzi dei quali l’opera dispone. Nulla predetermina ciò che l’opera deve essere. Non gli elementi di cui si compone, né la sua messa in opera. E’ l’opera stessa, semmai, che si arrischia ad apparire là dove non ha luogo d’essere, opera di esposizione. La contemporaneità dell’opera si commisura alla potenza dell’esposizione che la pone fuori di sé. Nel gioco calibrato degli artifici, essa è la rottura di una morte inventata e l’irruzione di una alterità non figurabile. Ciò che opera dentro l’opera, è l’avvento di un mondo senza epoche.

 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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