La
quantità di opere video realizzate intorno ai fatti di Genova è
un fenomeno di notevole interesse politico, estetico e sociologico. O,
se si preferisce, di costume: basti pensare alle 80.000 copie vendute dalla
cassetta allegata all'"Espresso", alle decine di migliaia di copie vendute
da quella allegata a "Liberazione", "manifesto", "Unità" (forse
l'unico indizio di una possibile unità della sinistra in questi
anni...). (e per par condicio, o per analizzare i comportantenti
di una destra che oggi usa strumenti d'azione politica tradizionalmente
"di sinistra", bisognerebbe citare anche I Novembristi. L'America in
piazza del Popolo, il video venduto dal "Foglio" sulla manifestazione
pro-Usa) (e per completezza andrebbero citati anche i 5 cd-rom 5 Genova
/ luglio 2001. Cronache curato da Radio Popolare)
Il
fenomeno meriterebbe una analisi articolata e complessa, e almeno una lettura
in parallelo dei vari filmati. Per esempio, sarebbe interessante capire
come si intrecciano - sia dalla parte dei videomaker e dei produttori sia
dalla parte degli utenti-acquirenti - militanza politica, controinformazione,
ricerca di identità individuale e collettiva, marketing...
Per
cominciare, ecco il saggio scritto da Anna Maria Monteverdi per Agrumi
e testi (per la precisione, ci sono testi di “Altri Luoghi”, Mariano
Bàino, Nanni Balestrini, Elisa Biagini, Franco Berardi (Bifo), Giuseppe
Caliceti, Luigi Cinque, Mauro Covacich, Pablo Echaurren, Gabriele Frasca,
Florinda Fusco, Andrea Inglese, Francesco Leonetti, Giuliano Mesa, Raul
Montanari, Anna Maria Monteverdi, Aldo Nove, Tommaso Ottonieri, Marco Paolini,
Marco Philopat, Gian Paolo Renello, Massimo Rizzante, Tiziano Scarpa, Sara
Ventroni, Giacomo Verde, Gian Mario Villalta, Lello Voce).
Il
volume accompagna Solo limoni Videotestimonianza sui fatti di Genova
di Giacomo Verde con commento poetico di Lello Voce. Lo pubblica la Shake.
A sostegno del volume+cassetta sono previste diverse iniziative in tutta
Italia, a cominciare da quella ospitata dal Centro Sociale Leoncavallo:
tanto per cominciare la mostra fotografica "Mastica e sputa. Quadri e ballate
da Genova", dal 14 al 21 dicembre; poi il 21 dicembre un happening
di poesia collegato alla pubblicazione di Solo Limoni. La mostra
+ happening gireranno per l'Italia e a marzo andranno alla Scuola Diaz
di Genova, dove ci sara' una grande iniziativa. (olivieropdp)
Nel
libretto allegato al video Solo limoni pubblicato e distribuito
dalla Shake compare un mio testo "No-body" scritto come lettura "partecipata"
alla video-opera, che cercava di individuare nellla voluta soluzione antitelevisiva
il "marchio" politico-attivista del videomaker Giacomo Verde. Per motivi
non dipendenti dalla mia volontà questo testo è stato modificato
nella sostanza e da quel testo prendo le distanze mentre affido ad "ateatro"
l'originale non "corrotto".
(Anna
Maria Monteverdi)
Giacomo Verde e Lello Voce erano
lì, vicino a Piazza Alimonda quando Carlo Giuliani viene ammazzato
da un colpo di pistola in pieno viso, sparato a distanza ravvicinata dall’interno
di una Land Rover "Defender" CC AE 217.
Giacomo era a Genova non per una
film commission ma perché condivideva sinceramente le ragioni
e l’ideologia del Movimento e voleva mettere a disposizione, in occasione
dell’Anti G8, le proprie immagini: sin dal primo giorno, come molti altri
videoattivisti, aveva riversato sul sito di Indymedia il proprio girato,
dando testimonianza di quello che accadeva quasi in diretta, non censurato
da televisioni governative–private per motivi di palinsesto, di fedeltà
allo standard o alla linea, più o meno occulta, politica-economica
dominante. La deliberata scelta di non fare "reportage d’assalto", "cronaca
più vera del vero", lo ha portato a soffermarsi, piuttosto, su quello
che accadeva ai margini, nobilitando – come sempre nei suoi video - la
"parte in ombra" dello "spettacolo", dando volto, voce e corpo a situazioni
poco "televisive" o addirittura in certi casi, anti-televisive, ma assolutamente
efficaci per comprendere a fondo il clima e la forza reale di un movimento
(di idee, di azioni) che non conosce confini (No border è
lo slogan del gruppo teatrale austriaco Publix Theatre Caravan che ha realizzato
azioni di strada durante le manifestazioni anti G8) 1
e fa "resistenza" (Resistence è l’emblematico titolo dello
spettacolo che il Living Theatre ha presentato nelle strade di Genova).
A prevalere, come vera scelta di stile (d’arte, di vita) è il rumore
di fondo: nel video, dunque, c’è il "backstage" delle immagini del
Tg, il controcampo, il fuori fuoco: protagonisti sono l’anziano genovese
che guarda gli scontri a distanza ravvicinata e le commenta come fosse
un cronista sportivo, il proprietario della casa che ospitava, suo malgrado,
tre cecchini sul tetto. E ancora, il corteo coloratissimo dei migranti,
la gente affacciata dalle finestre che butta acqua ai manifestanti accaldati
(e poi dopo, limoni per aiutarli a sopportare i lacrimogeni), il punto
di ristoro, l’accampamento, il momento della vestizione e delle protezioni
con armature di plastica e gomma, il clima generale di festa, di solidarietà.
Di speranza che "un mondo nuovo è possibile". Ma anche la città
blindata, la violenza contro i manifestanti, la forza iconoclasta dei "black
block", i loro cortei, il saccheggio di un supermercato, la risposta alle
cariche della polizia.
Corpi colorati, corpi rivestiti,
corpi imbottiti a prova di urto: Kefiah (l’Intifada!), passamontagna e
armature di gommapiuma (visibili nell’episodio Corpi speciali) contro
"corpi cibernetici" in tenuta antisommossa, protetti da scudi, caschi e
maschere antigas.
Nel video, voci e musica sembrano
commentare gli episodi o a volte addirittura generarli. Se la musica, un’abile
mix di elettronica ed effetti sonori del compositore Mauro Lupone, aggiunge
un elemento emozionale, i testi selezionati e declamati senza ostentazione
dal poeta Lello Voce e i titoli degli episodi offrono un’ulteriore nota
di riflessione (poetica, filosofica, ironica) che va oltre le immagini
stesse: le parole reagiscono con le immagini e i suoni come in un’equazione
chimica.
Nell’episodio Corpi speciali
il brano letto dal Don Chischiotte di Cervantes crea un cortocircuito
assolutamente spiazzante: la ricerca delle armi del Cavaliere errante più
famoso della storia della letteratura accompagna la vestizione-mascheramento
fai-da-te dei ragazzi, un po’ combattenti del Sacro Graal, un po’ uomini-imballaggio
"Fragile-maneggiare con cura", imbottiti con materiale riciclato e ritagliato
su misura per un gesto, un unico emblematico gesto: "entrare – come mostra
orgogliosamente la ragazza nell’episodio in questione - con il mio
corpo nella Zona Rossa". Corpi che vorrebbero (s)cavalcare cancelli, un
cavaliere che vuole attaccare mulini a vento. Di quante zone rosse è
fatta la nostra vita? Fino a che punto possiamo arrivare con i nostri ragionamenti-corpo
prima di trovare gli sbarramenti di chi ha già deciso, per noi,
il destino della nostra vita? Qual è la linea bianca da rispettare?
La voce di Lello si mescola con
le parole di altri, con quelle di una cultura-in-azione.2
Che aveva già visto, che aveva, in qualche modo, pre-visto: Bertold
Brecht, Patrick Chamoiseaux, Elio Pagliarani, Piero Jahier, Roque Dalton,
Elemire Zolla.
Tutto si mescola nel grande crogiuolo
della Storia.
Perfettamente coerente con la sua
idea di arte come pratica comunicativa e contro ogni specificità
di linguaggio, lavorando, piuttosto al loro incrocio (teatro e video, web
e performance, live e medializzato), frantumando generi e mescolando tecniche
di narrazione, dunque, Giacomo Verde in Solo limoni usa con grande
disinvoltura, più registri (quello ironico, quello autobiografico,
quello poetico, quello documentaristico), non disdegnando neppure la citazione
iconografica; la Cacciata dal Paradiso Terrestre, l’affresco del
Masaccio con cui si apre e con cui si conclude il video, rimette a noi
il Giudizio Finale: se riprenderci il Paradiso o rimanere in questo Inferno.
C’è soprattutto un Io narrante
(mescolato a molte altre voci narranti) testimone oculare dei fatti che
non rinuncia a mostrare se stesso ed il proprio punto di vista (che è
una precisa presa di posizione politica sul mondo) anzi lo esplicita, lo
palesa: in my opinion, per farla finalmente finita con la ricerca
dell’impersonalità ed imparzialità del documento (di tutti
i documenti) e con la pretesa neutralità delle tecniche comunicative;
questa è una favola a cui dovremmo smettere di credere. "La scelta
di un linguaggio è sempre una scelta politica": così Sandra
Lischi aveva aperto il suo ragionamento sul video di Giacomo Verde al cinema
Arsenale di Pisa.
Solo limoni è un’opera "militante" (ma
non di propaganda) nel senso più autentico (e onesto, e ottimista)
del termine. Con la tecnica della "guerriglia controinformativa" dei collettivi
radicali anti-establishment degli anni Sessanta (ma anche, e soprattutto,
con quella degli attivisti della rete) Verde ha sempre condiviso l’idea
di "opera in azione".3 Giacomo Verde attraverso
le sue installazioni (che sono estese anche al mondo digitale e della rete)
si è davvero "schierato" contro la tecnocrazia e il "tecnopolio"
(Neil Postman) dominante che oggi assume le sembianze familiari del televisore
di casa e del computer. Le sue oper’azioni sono da sempre variazioni
in low tech sul tema della necessità di un uso politico e
di una riappropriazione e gestione collettiva dei media, in un momento
in cui la sfera tecnologica è diventata sempre più il cuore
del sistema (politico, economico, sociale), tema che oltrepassa evidentemente
ogni argomentazione di tipo estetico; coi Teleracconti Verde ci
aveva mostrato come è facile attraverso una telecamera "far credere
che le cose sono diverse da quelle che sono", in altre parole, che le immagini
trasmesse dalla televisione non sono quelle della realtà ma quelle
di chi vuole fissare per noi un punto di vista sul mondo. E’ la realtà
"rassicurante" di un mondo che non esiste, è la realtà al
tempo dei vanishing events, della "fine della storia"
(Baudrillard). Abbiamo imparato da tempo (e i recenti fatti di guerra ce
lo confermano) quanto potente sia la macchina spettacolare dell’informazione
(parola che troppo spesso fa rima con consenso), la "gestione della catastrofe"
e la simulazione-contraffazione degli eventi (ancora Baudrillard).
L’episodio della telecamera di
Pasolini (le immagini sono di Uliano Paolozzi Balestrini) è incredibilmente
simbolico nella sua paradossale apparenza di sketch: un fotoreporter è
colpito, un poliziotto gli ha spaccato la macchina fotografica. Lui è
lì per lavorare, non per condividere le ragioni del Movimento, per
stare di qua o di là, avrebbe probabilmente venduto le immagini
a qualche rotocalco guadagnandoci bene, ma si rende conto di essere diventato
anche lui ingranaggio utile al sistema, e come tutti, burattino o maschera
di una commedia all’improvviso il cui canovaccio era già
stato da tempo scritto; un assurdo gioco delle parti (diventato, poi, un
terribile
jeu du massacre) in cui ciascuno recitava un ruolo, mentre
altri ne manovravano i fili. Chiede chi è stato. C’è un gruppo
di poliziotti ma nessuno esce dal gruppo, nessuno si mostra nella propria
identità, fuori dall’"Arma" a cui appartiene, fuori dalla corazza
spersonalizzante (ma anche protettiva) del proprio ruolo, appunto. Il responsabile,
che è evidentemente lì in mezzo, ha la complicità
di tutti, è, diciamo così, "coperto". Nessuno (no-body) è
stato.
Il fotografo insiste e coinvolge
la folla, vuole trovarlo, nella vita normale, in fondo, mica accade così,
uno che fa deliberatamente un’azione violenta e per di più gratuita
mica può rimanere impunito. Ma in questa no man’s land che
è stata Genova, tutto era tragicamente lecito (e la fotocamera rotta
è solo l’inizio), ogni diritto civile violato, l’uccisione stessa
non un omicidio.
Poi ci sono gli scontri, Giacomo
e Lello non inseguono lo scoop ma tra le vie incontrano mille storie. Ascoltano,
guardano e registrano: un medico sanguinante colpito al volto, "rastrellamenti"
tra chi cercava rifugio provvisorio dentro i portoni o sulla spiaggia.
Giacomo sceglie di inserire poche ma significative testimonianze delle
violenze indiscriminate sulla massa dei manifestanti. Altri lo hanno fatto
con maggior dovizia di particolari, con interviste e ricostruzioni puntuali
e senza chiedere il permesso.5 Lo shock
di fronte a queste immagini rimane sempre lo stesso: non ci sono attenuanti
ai pestaggi indiscriminati, alle cariche dei blindati contro la folla,
alla brutalità di una violenza totalmente gratuita.
Nell’episodio di Carlo Giuliani
il girato è tantissimo, c’è il corpo offeso, c’è il
Corpo della Polizia, ci sono decine di corpi di ragazzi; qualcuno di loro
intravede l’inguardabile, urla "Assassini". Solo corpi, solo rabbia. Fatto
il loro dovere, eseguiti gli ordini, pistole e manganelli alla mano, la
polizia si allontana; qualcuno spara fumogeni sulla folla che piange, indignata,
il cadavere, tutto quello che rimane di slogan e cortei contro la globalizzazione
liberista. Ecco il "marchio" del sistema dominante. Così dicono
le immagini di Giacomo Verde e di molti videoattivisti, chiarissime e senza
possibilità di interpretazioni tendenziose. L’occhio di Giacomo
Verde, però, si ferma sul particolare isolato, sulla ragazza con
la telecamera che vede e urla "Cosa avete fatto?", sul ragazzo che scopre
il sangue sotto la segatura ne prende un pugno e gettandolo contro la polizia
che arretra, grida: "Ecco, loro sono capaci di questo!" La telecamera ha
fissato a lungo gli occhi e lo sguardo di quei poliziotti immobili, schierati
in cerchio intorno al morto; ha cercato di catturarne un qualche respiro,
un
qualche spiraglio (di sentimento? di verità? di pentimento?
di vita?). Maschere messe a nudo. Una galleria di volti: c’è quello
imbarazzato, quello impassibile, quello che quasi sta soffocando dentro
la maschera antigas perché non deve aver sentito l’ordine di levarsela.
Ancora, una lunga e commuovente digressione sui fiori rossi che vengono
strappati dall’aiuola e posti pietosamente sul luogo dove Carlo Giuliani
è stato colpito a morte. Tutti corpi intorno. Il girato è
tantissimo, bisogna comunque registrare, perché a dirlo semplicemente
a parole, nessuno ci crederebbe; Giacomo non ha quasi staccato la telecamera,
non può, è il mirino che gli permette di vedere, sarebbe
stato come staccare un respiratore; decide di non tagliare e di non sacrificare
quasi niente: lascia la maggior parte delle immagini e semplicemente le
velocizza, mantenendo così, una continuità di azione; minimo
il lavoro di montaggio, pochissimi gli stacchi: l’idea è quella
di lasciare il tempo reale: si può contrarre il tempo, ma non eliminarlo
quel
tempo. C’è bisogno di ricordare tutto e l’intero piano sequenza
(risultato di un coraggioso quanto abile, montaggio in macchina) permette
di conservare l’immediatezza e di restituire dell’intera vicenda, il suo
volto (i suoi volti), la sua successione temporale, il suo contesto.
"Non calpestate le aiuole" è
senz’altro l’episodio più emblematico (e il più toccante)
perché la morte intravista dalle gambe dei carabinieri, e attraverso
i loro scudi trasparenti appoggiati a terra, quel corpo coperto da un lenzuolo,
e la chiazza di sangue ricoperta di segatura quanto tutto è finito,
è quello che non ci farà mai dimenticare quei tre giorni
di Genova. Le immagini di quel no-body (l’ essere umano ridotto
a corpo uccidibile, non più vita sacra e inviolabile), offeso dai
padroni della nuda vita altrui, ci ricorda, soprattutto, che non siamo
al cinema, che tutto è tragicamente vero.
Che può capitare nella vita
reale di morire o di uccidere un proprio coetaneo durante una manifestazione
di piazza.
Proprio in un’epoca di facilità
di trasferibilità e trasmissibilità delle immagini, di massima
diffusione delle tecniche di riproduzione (ma anche di trasformazione delle
immagini stesse), dei mille occhi delle mille telecamere e macchine fotografiche
presenti a quello che è stato definito un vero evento mediatico,
che diventavano mille finestre spalancate sui fatti, queste inserite in
contenitori diversi e "telecomunicate", diventavano magicamente di segno
opposto: il Movimento (dichiaratamente pacifista, anzi attivista pacifista)
marchiato dell’infamia della violenza e dell’illegalismo, una seria minaccia
per il vivere civile, i teppisti la vera anima del movimento.
In mezzo, la "narrazione dei fatti",
"trattati" dai media (non tutti, per fortuna) con la solita patina di irrealtà,
o semplicemente di funzionale finzione, risultato della usuale spettacolarità
sensazionalistica con cui gli eventi acquistano quell’appeal degno
di una messa in onda.
Lo show, televisivamente parlando,
è riuscito.
Ma se tutto è andato come
previsto, secondo "copione", il sangue, gli scontri, la vittima, non sarà
perché l’aveva profetizzato qualche poeta in un Rap, né perché
lo imponeva l’Auditel. 7
Ma perché l’autoritarismo
(la Struttura) - questo la Storia ci insegna - non conosce altre strade.
Al prevedibile oscuramento televisivo
si sono, per fortuna, contrapposti gruppi di attivisti indipendenti, che
hanno messo a disposizione quelle immagini che ora circolano liberamente
in rete, attraverso mailing list, in siti dedicati, o nelle edicole e che
sono proiettate pubblicamente in circoli, in centri sociali, nei cinema
e nei social forum costituiti in tutt’Italia all’indomani dei fatti di
Genova.
Come all’epoca delle street
tv quando le ingombranti camcorder e portapack (e il relativo
apparato di
broadcasting autogestito) servivano a mostrare "l’altra
faccia degli eventi", a Genova questi sguardi si sono centuplicati e sono
diventati microscopiche e leggerissime telecamere digitali, web cam, istantanee
fotografiche e sequenze video immediatamente disponibili e divulgabili
in rete, mentre l’attivismo antagonista e il versante del dissenso tecnologico
sta conoscendo altre e proficue strade attraverso il world wide web.8
Così le immagini di Giacomo e di altri autori, le parole di Lello,
la musica di Mauro, sono diventate un video e un libro per mantenere ancora
a lungo nella memoria collettiva quello che altri vorrebbero far dimenticare.
NOTE
1
Dopo aver preso parte alle manifestazioni e aver fatto alcune performance
di strada, il 22 luglio i venticinque membri della Karawane furono
fermati fuori della città e successivamente trasferiti in carcere
a Voghera e Alessandria con l’accusa di fare parte dei black block.
La loro permanenza in carcere termina il 16 agosto, giorno in cui sono
estradati verso i paesi d'origine gli ultimi cinque membri rimasti in carcere
(per gli altri venti la data di scarcerazione è il 14 agosto). Tatiana
Bazzichelli, attivista e studiosa di cultura antagonista e di hacker
art li ha intervistati in occasione del Festival di arti elettroniche
di Linz, settembre 2001. Al momento della stesura del libro il processo
è ancora in corso. Il testo dell’intervista è pubblicato
su "ateatro".
2
Mi sembra che la migliore definizione di "cultura in azione" sia stata
scritta da Antonin Artaud nel testo di prefazione al Teatro e il suo
doppio: "Mai come oggi si è parlato tanto di civiltà
e di cultura, quando è la vita stessa che ci sfugge. E c’è
uno strano parallelismo fra questo franare generalizzato della vita, che
è alla base della demoralizzazione attuale, e i problemi di una
cultura che non ha mai coinciso con la vita e che è fatta per dettare
legge alla vita. Prima di riparlare di cultura, voglio rilevare che il
mondo ha fame, e che non si preoccupa della cultura (…) La cosa più
urgente non mi sembra dunque difendere una cultura, la cui esistenza non
ha mai salvato nessuno dall’ansia di vivere meglio e di avere fame, ma
estrarre da ciò che chiamiamo cultura, delle idee la cui forza di
vita sia pari a quella della fame (…)Bisogna insistere su questa idea di
cultura in azione (corsivo aggiunto)che diventa in noi come un organo
nuovo, una sorta di respiro secondo: e la civiltà, è cultura
applicata, capace di guidare anche le nostre azioni più sottili,
è spirito presente nelle cose; ed è puro artificio
separare la civiltà dalla cultura, e usare due parole diverse per
indicare una sola e identica azione". A. Artaud, Il teatro e la cultura,
in Il teatro e il suo doppio, Torino, Einaudi, 1968, p.128 (1a pubblicazione
in forma di opuscolo: Parigi, 1933; 1a ed. de Le théâtre
et son double: Parigi, Gallimard, collezione "Métamorphoses",
febbraio 1938).
3
Si potrebbe, a questo proposito, ricordare le argomentazioni della Arendt
sulle caratteristiche attuali della vita activa (che riprende la
classica distinzione tra bios politikos e bios theoretikos).
Azione e discorso come vera realizzazione della condizione umana intesa
nell’unica accezione possibile, ovvero nella pluralità, nell’agire
insieme: "L’azione, diversamente dalla fabbricazione, non è
mai possibile nell’isolamento; essere isolati significa essere privati
della facoltà di agire (…) Agire, nel senso più generale
significa prendere un’iniziativa, iniziare, mettere in movimento qualcosa
(che è il significato originale del latino agere)… Discorso
e azione sono le modalità in cui gli esseri umani appaiono gli uni
agli altri non come oggetti fisici ma in quanto uomini. Questo
apparire, in quanto è distinto dalla mera esistenza corporea, si
fonda su un’iniziativa, un’iniziativa da cui nessun essere umano può
astenersi senza perdere la sua umanità. Non è così
per nessun’altra attività della vita activa. Gli uomini possono
benissimo vivere senza lavorare, possono costringere gli altri a lavorare
per sé, e possono benissimo decidere di fruire e godere semplicemente
del mondo delle cose senza aggiungere da parte loro un solo oggetto d’uso;
la vita di uno sfruttatore o di uno schiavista e la vita di un parassita
possono essere inique, ma essi sono certamente esseri umani. Ma una vita
senza discorso e senza azione – certamente il solo modo di vita che genuinamente
ha rinunciato ad ogni apparenza e ad ogni vanità nel senso biblico
del termine - è letteralmente morta per il mondo; ha cessato di
essere una vita umana perché non è più vissuta tra
gli uomini. Con la parola e l’agire ci inseriamo nel mondo umano, e questo
inserimento è come una seconda nascita, in cui confermiamo e ci
sobbarchiamo la nuda realtà della nostra apparenza fisica originale".
H. Arendt, Vita activa. La condizione umana. Milano, Bompiani, 1991,
p.128-129. (ed. or. The Human Condition,
Chicago, 1958).
4
Il riferimento è alle opere di videomaker indipendenti come
Antoni Muntadas, Paul Garrin e soprattutto ai movimenti di militanza controinformativa
(l’altra faccia della videoarte): Global Village, Raindance Corporation,
Videofreex, che avevano dato vita a Tv via cavo autogestite, riviste (Radical
Software curata da Beryl Korot) e ad un vero e proprio stile documentativo
improntato sull’immediatezza, sull’informazione veramente alternativa e
decentralizzata. Sull’argomento vedi M. Sturken, Paradossi nell’evoluzione
di un’arte: grandi speranze e come nasce una storia, (tit. or.
Illuminating video) in Video imago, "Il nuovo spettatore"
n. 15, maggio 1993, a cura di A. Amaducci, Milano, Franco Angeli, 1994;
ed anche S. Fadda,
Definizione zero. Origini della videoarte tra politica
e comunicazione, Torino, Costa e Nolan, 2000. Azioni di protesta attraverso
la rete sono state, invece, promosse attraverso, per esempio, la pratica
del netstrike, altra faccia del movimento di "disobbedienza civile
elettronica" promulgato dal collettivo americano Critical Art Ensemble
che ha per slogan "Cyber rights now" (vedi C.A.E. Sabotaggio elettronico
e Disobbedienza civile elettronica, Castelvecchi, e anche La macchina
carne. Cyborg, biotecnologie e nuova coscienza eugenetica, Milano,
Shake, di prossima uscita). In Italia il net strike ha i suoi padri
fondatori nell’artista toscano Tommaso Tozzi (artista digitale, fondatore
di reti telematiche antagoniste e BBS) e nel gruppo Stranonetwork, composto
da artisti formatisi nell’area
underground e cyberpunk del
CSO "Ex Emerson" di Firenze (tra gli altri, Federico Bucalossi, Ferry Byte,
Stefano Sansavini). La pratica di azione diretta, collettiva e organizzata
attraverso la rete contro multinazionali colpevoli a vario titoli di abusi
o Stati sovrani, gli obiettivi del netstrike e l’ideologia che lo
sorregge, sono spiegati da Tommaso Tozzi nel libro
Net strike, No copyright
etc. Pratiche antagoniste nell’era telematica, ed. AAA. Il libro è
soprattutto un manuale pratico con tanto di kit per imparare a "farsi da
casa il proprio net strike" nella tradizione della militanza che ricorda
agli storici della videoarte, il manuale per un utilizzo alternativo della
televisione Guerrilla Television dell’americano Michael Shamberg
datato 1971.
5
Attualmente è terminato il primo di una serie di video che verrano
realizzati dal gruppo Indymedia con scopi deliberatamente documentaristici.
Rimandiamo al loro sito per richieste e informazioni sugli aggiornamenti
in corso:
www.italy.indymedia.org.
Ho voluto giocare con il titolo dello "storico" libro di Roberto Faenza
Senza chiedere il permesso (1973), manuale ad uso dei rivoluzionari
dell’informazione armati di videotape.
6
Viene in mente, a questo proposito, la figura dell’homo sacer, l’uomo
escluso dalla vita politica e sociale che nella ius latina arcaica
non godeva di alcun diritto civile e la cui uccisione non costituiva, di
fatto, omicidio. L’uccidibilità incondizionata era prerogativa (e
fondamento stesso) del potere sovrano: "Lo spazio politico della sovranità
si sarebbe costituito attraverso una doppia eccezione, come un’escrescenza
del profano nel religioso e del religioso nel profano. Sovrana è
la sfera in cui si può uccidere senza commettere omicidio e senza
celebrare un sacrificio; sacra, cioè uccidibile e insacrificabile,
è la vita che è stata catturata in questa sfera (…) La sacertà
della vita, che si vorrebbe oggi far valere contro il potere sovrano come
un diritto umano in ogni senso fondamentale, esprime, invece, in origine
proprio la soggezione della vita a un potere di morte, la sua irreparabile
esposizione nella relazione di abbandono" (G.Agamben, Homo sacer. Il
potere sovrano e la nuda vita, Torino, Einaudi, 1995, p.92-93). Nell’epoca
moderna molti sono gli esempi di nuda vita uccidibile dal potere
sovrano in nome di una sacertà dietro cui si nasconde, in realtà,
una violenza autorizzata e legittimata dal potere stesso (ieri gli ebrei
oggi i manifestanti di piazza). I segni vittimari degli uccidibili sono
sempre meno evidenti, la diversità dei perseguitati sempre meno
un requisito per un potere che assomma in sé (impadronendosene indiscriminatamente
e senza essere giudicato per questo) la sacralità della vita stessa;
dunque, l’homo sacer diventa emblema della condizione umana contemporanea:
"La sacertà è una linea di fuga tuttora presente nella politica
contemporanea, che, come tale, si sposta verso zone sempre più vaste
e oscure, fino a coincidere con la stessa vita biologica dei cittadini.
Se oggi non vi è più una figura predeterminabile dell’uomo
sacro, è forse, perché siamo tutti virtualmente homines
sacri" (Ibidem, p.127). Non a caso in copertina il libro mostra significativamente
l’occupazione della Piazza Tien an’men dopo gli scontri e le violenze ingiustificate
sulla massa inerme dei manifestanti pacifici da parte del potere costituito,
violenza che si è puntualmente ripetuta nel corso della manifestazione
anti G8 a Genova, luglio 2001.
7
Oliviero Ponte di Pino, ironizzando sull’apparato dispiegato, in occasione
dell’AntiG8, da una parte e dall’altra, ha tentato di descrivere l’evento
come un grande spettacolo di teatro e di arte, nel testo Il G8 come
opera d’arte totale.
8
Sulle pratiche antagoniste del web vedi l’articolo di Tatiana Bazzichelli,
Hacker art in "Cut
up" n. 3 e consultabile al sito www.strano.net