ateatro 2.2 Il teatro è ecologico? Scena ambiente antinatura di Massimo Zanasi (Arka Teatro) Gli
spazi naturali, sia quelli selvaggi che quelli degli ambienti
nei borghi e nelle città, svolgono una funzione
essenziale nella comunicazione artistica, sia come linguaggio che
come sistema di riferimenti topologici e simbolici. Nella natura
ci muoviamo e agiamo quotidianamente ed artisticamente: sia in
quella terra dove a la Thoreau, nelle
campagne, nei mari e nei monti, che in quella tecnologica dove
, negli spazi urbani, nei giardini, nelle
piazze, nei viali, lungo i fiumi che attraversano le città.
Dallo spazio che ci circonda, o in cui ambientiamo le nostre
ricerche, dipendono pure i messaggi che ci giungono dalle varie
parti del mondo.
C'è infatti omologia tra i tipi di comportamenti, che possono
essere considerati come testi della cultura scenica, e la
continua progettazione e rimanipolazione della Terra, del mondo.
Dal momento che i testi di una cultura sono riconducibili ad un
modello astratto che assume spesso figure naturali, è possibile
anche utilizzare i luoghi o le ambientazioni terrestri come
metalinguaggio per la ricerca e la sperimentazione nella cultura.
Le interpretazioni semantiche, le chiavi di lettura più semplici
sono quelle che procedono per opposizioni: interno/esterno,
dentro/fuori, vicino/lontano, corpo/spazio, natura/cultura, etc.
Ebbene, le culture teatrali contemporanee e di avanguardia
tendono a far scorrere il punto di vista lungo i confini di
questi opposti o addirittura a capovolgere il senso dei modelli
più o meno tradizionali.
Queste ricerche, naturalmente, si complicano a seconda dei
contesti storico-culturali e definiscono meglio i loro nuovi
contorni nella azione scenica, dai rituali mutuati dalla
festa alle forme più raffinate del teatro colto, dal cosiddetto
teatro di poesia sino alle attuali forme dello spettacolo
multimediale e dell'installazione.
Il teatro, che si fondava pure su una precisa codificazione degli
spazi , dà oggi forte rilevanza alle frontiere
di tali spazi, attraverso una permeabilità tra tutti gli
elementi della scena, fino alla rinuncia alle stesse architetture
teatrali per una ricodificazione dei linguaggi in altri ambienti,
naturali e simbolici.
Ma lo spazio teatrale è sempre spazio significativo, cioè
spazio che produce senso anche quando si scaglia contro di esso.
Il teatro e' il regno delle forme simboliche anche quando va . In teatro la natura e' spazio da scoprire o spazio
vissuto, invenzione e creatività. E' vero che anche la terra e'
sempre in qualche modo connotata, ma lo spazio scenico e' come
una seconda pelle, che viene sovrapposta al luogo naturale per
caricarlo di valenze estetiche o per conquistare al cosmo della
cultura parti crescenti di quel territorio non massificato,
talvolta inesplorato, che costituisce la cosiddetta wilderness
nelle dimensioni dell'.
Di fatto, quando l'attore o il performer entrano in
contatto con la natura in un'area non tradizionalmente
predisposta, il luogo fisico dove opera diventa spazio scenico
codificato. Questo spazio scenico naturale trasforma a sua volta
tutte le persone che hanno superato i confini del posto riservato
al pubblico e in generale del mondo che si trova fuori di tale
spazio e sono entrati nel suo regno. Forse per questo rimaniamo
tanto affascinati dai templi, dai teatri e dai ruderi della
storia sparsi per la Terra, dalla campagna mediterranea alle
foreste dello Yucatan.
Certo, quando il teatro (la scena) entra nella natura tende a
impossessarsi di questo spazio , può manipolarlo,
plasmarlo, ma ne risulta a sua volta condizionato. Mentre gli
spazi interni, attrezzati all'uopo, sono prevalentemente neutri,
stagnanti, come in attesa d'una azione scenica, gli spazi
terrestri naturali (e spesso magici) sono costituiti proprio dal
loro ininterrotto divenire ed acquisiscono la stessa flessibilità
della parola poetica, condividendone gli stessi rischi.
In questo spazio contaminato (reso ),
l'attore/attante, il regista, il performer, l'artifex che dir si
voglia, articola e in-scrive (o riscrive) il suo discorso scenico
sullo ambiguo confine che separa i segni della natura e le tracce
della storia. Qui il percorso si fa impervio e si affaccia sul
baratro che ci separa pure gli uni dagli altri...
Ci troviamo ora ben oltre la dimensione del ,
dello scenario naturale da utilizzare per rendere appetibile una
.
Per intenderci, facciamo un passo indietro. L'arte si sviluppa
dal momento in cui gli esseri umani si separano dalla loro
comunità. Nel corso della preistoria non ci e' arte. Cio' che si
e' soliti isolare con questo termine e' la materializzazione di
una facoltà conoscitiva, attraverso la quale l'uomo rappresenta
il mondo da cui non vive ancora separato, autonomizzato. Si
tratta dunque di un elemento della conoscenza non astratta, cioe'
non basata unicamente su quella modalità della astrazione che si
avrà in seguito; una conoscenza che, come dice Leroi-Gourhan (1), deriva da un
pensiero multidirezionale che si irradia ed instaura un dialogo
con quanto lo circonda, giacche' non si e' ancora verificata la
frattura. Cosi' questa arte, per definirla con termini attuali, e'
simultaneamente linguaggio, scienza, magia, rito, teatro, etc., e
al tempo stesso parte di un tutto da cui riceve e a cui
conferisce significato.
Una volta prodottasi la frattura, la arte e il teatro
diventeranno un mezzo attraverso il quale far rivivere la antica
comunità, la ; e, dal momento che il
legame immediato non opera più, si porranno come mediazione che
cerca di ristabilire la comunicazione, il (2) .
Da qui nasce pure la figura dello sciamano, del mago esploratore
e regista dello oltre, esperto di tecniche esoteriche che con i
suoi ed esorcistici cerca di
proteggere la sua etnia da tutte le forze dissolutrici e di
riscattarle da una terribile confusione con gli elementi più
incontrollabili della natura stessa (3) .
Con il teatro greco, l'opera, il cinema, con tutti i tentativi di
realizzare l'arte totale in epoca contemporanea (lo si può
constatare anche in alcuni progetti di land-art ed in certe
performances multimediali), questa nostalgia, questa ricerca
della comunità perduta si afferma, anche se per gli operatori la
cosa non può più manifestarsi in tali termini.
E' interessante notare, a proposito di mancanza, di assenza
(o di fine), che Mircea Eliade, nel 1963, affermava proprio che
la arte contemporanea delle origini (tra 800 e 900) nella sua
fase di distruzione-creazione del mondo precedente - e pur
saccheggiando le giovani forze dei popoli cosiddetti primitivi,
amerindi o africani - coltivava un forte interesse per le origini,
rivalorizzando in fondo il mito della fine del mondo in epoca
contemporanea (4) .
In pratica si potrebbe constatare che gli attori-attanti-autori,
gli scrittori-scompositori della scena, i demiurghi del nulla,
lungi dallo essere i nevrotici di cui talora si parla, hanno
invece capito che un vero ricominciamento può avere luogo solo
dopo una vera fine; e i primissimi avanguardisti, come i
cubofuturisti e i dadaisti, si sono adoperati veramente per
distruggere il loro mondo nel tentativo di ri-creare un universo
artistico nel quale l'uomo potesse nello stesso tempo esistere,
contemplare e sognare...
In realtà, quello che si e' venuto a creare in occidente (e non
solo) dopo gli anni 30 e' un mondo in cui l'uomo ha sempre meno
importanza e significato - e non certo dal punto di vista
umanistico - proprio perche' ha subito una profonda e forse
definitiva spoliazione ad opera delle esteriorizzazioni e
rappresentazioni dello io causate dalla psicanalisi volgare.
In questa fase il soggetto stesso diventa arte (di mercato) e la
arte diventa il sistema di comunicazione internazionale per
eccellenza, con i suoi crediti e le sue fughe in avanti (e
indietro), e le sue fabbriche di arte: la moda, la pubblicità,
la critica come promotion e censura, il nome.
Non a caso, lo stesso Leroi-Gourhan segnalava già negli anni 60(5) la tendenza tutt'altro
che innocente a far scomparire la separazione tra attori e
spettatori perche' lo spettacolo deve essere allestito con la
complicità di tutti gli esseri umani, messi in movimento da
alcuni orchestratori della illusione che hanno proprio il compito
di mediare, sono di fatto i mediatori tra i linguaggi della arte
e le esigenze del mercato: quelli che oggi si chiamano,
erroneamente, operatori culturali.
Percio' si pone una alternativa alla interpretazione che il primo
Ernesto de Martino - coniugando il suo scetticismo storicistico
con il linguaggio analitico-esistenziale di Heidegger -, diede
delle tecniche sciamaniche atte a rafforzare di fronte al rischio di non-esserci (6) : nelle società di
oggi molti artisti (o almeno quelli che potrebbero essere
considerati gli attuali sciamani della Terra), poeti e teatranti
in particolare, scelgono le amodalità di un
di fronte al rischio di esserci come presenza alienata dalla
spettacolarizzazione diffusa, dalle stesse forme della
comunicazione massmediatica.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
1. Cfr. Il gesto e la parola, di Leroi-Gourhan, Torino,
Einaudi, 1977.
2. v. Il disvelamento, di Jacques Camatte, Milano, La
Pietra, 1978.
3. v. Il signore del limite, di Placido Cherchi, Napoli,
Liguori, 1994.
4. v. Mito e realtà, di Mircea Eliade, Milano, Rusconi,
1974.
5. Op. cit.: Il testo, nella prima edizione francese, e' del 1964.
6. v. Il mondo magico, di Ernesto De Martino, Torino,
Boringhieri, 1973.
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