ateatro 14.2 Mettiamoci all'opera Quattro domande a Fillippo Del Corno sul teatro musicale di Oliviero Ponte di Pino
Qualche settimana
fa Filippo Del Corno ha presentato la sua "opera a fumetti" ispirata a
Buzzati: un lavoro interessante - oltre che per i risultati artistici -
anche per le modalità produttive, per la riflessione sulla forma
di un moderno teatro musicale che ne è il presupposto, per la contaminazione
con il rock e per l'uso di nuove tecnologie (Watch Out, lo stesso
software usato per la Lolita di Ronconi).
Le
domande
1) quali sono le forme di teatro
musicale che non si possono-devono più fare e perché (in
breve); credo siano motivi sia di ordine estetico che economico produttivo;
2) quali si possono invece praticare,
che modelli ci sono (o ti piacciono); 2a. (ma a qs punto anche qualcosa
sul tuo principio costruttivo "architettonico" di assemblaggio, che di
fatto "sostituisce la regia);
3) che rapporto ci può essere
con le nuove tecnologie (diapositive, video); (e anche con i videoclip)
4) in un teatro musicale di questo
genere che ruolo ha l'attore-cantante-interprete?
Le
risposte
1) L'opera lirica è un genere
che ha una sua precisa connotazione derivante dai meccanismi produttivi
e dalle sollecitazioni culturali che tra il '700 e il '900 ne hanno fatto
il modello di espressione teatrale più popolare. Un aspetto rilevante
è costituito dal fatto che la grande diffusione popolare andava
di pari passo con un'elevatissima qualità artistica della creazione
musicale e teatrale. Questo modello correva insieme alle trasformazioni
sociali e culturali della propria epoca fino a che non si è verificato
un progressivo distacco: credo che la storia del teatro sia ricchissima
di generi teatrali che a un certo punto non riescono più a parlare
un linguaggio credibile per i contemporanei. Per quello che so (anche se
ne so poco e non so spiegare il perché) è successo alla tragedia
classica, alla sacra rappresentazione, al teatro elisabettiano, al teatro
verista, e così via. Oggi bisogna prendere atto che non si può
fare l'opera con soprani, tenori e baritoni che interpretano personaggi
su palcoscenici affollati di scenografie realistiche, con cori bande e
orchestre, replicando quindi esattamente la stessa cornice di Traviata.
E' come se Verdi avesse fatto in pieno Ottocento un'opera barocca, con
cantanti castrati, orchestre d'archi, recitativi accompagnati dal cembalo,
trame scombiccherate e prodigi scenici con fuochi d'artificio. E' per questo
che sono molto scettico sul fatto che oggi un compositore possa parlare
usando i vocaboli di una tradizione antica e ormai superata, anche se tenta
di inserire in questa cornice modalità espressive di dirompente
contemporaneità sperimentale. E' come incorniciare Pollock dentro
un altare barocco. Può essere stimolante, ma solo se lo fai per
primo (e in musica ci ha già pensato Cage).
2) Il teatro musicale è invece
sempre esistito: l'unione tra parola, musica e gesto scenico da Eschilo
a Monteverdi, da Haendel a Wagner ha assunto forme molto diverse tra loro
pur mantenendo un principio unificante. E' ancora possibile, e credo lo
sarà sempre, fare teatro musicale, purché mantenga sempre
un alto grado di quello che si può definire il tratto essenziale
dell'espressione artistica del nostro tempo, ossia quella cosa definita
con un termine semplicistico ma efficace "contaminazione". Oggi il teatro
musicale deve essere contaminato, deve tentare di intrecciare linguaggi
e pratiche artistiche lontanissime, proponendosi di essere una sorta di
laboratorio permanente tra le tantissime possibilità diverse di
espressione verbale, musicale e corporea. Per questo ho fatto un'opera
a fumetti e magari farò un'opera a cartoni animati, ma ho fatto
anche un'opera sui pensieri di un acrobata (personificato contemporaneamente
da un attore, un danzatore e un violoncellista, oltre che dalle sue proprie
fotografie) e mi piacerebbe fare un'istant opera, un'opera di inchiesta
giornalistica. E un po' alla rinfusa vorrei dire che il teatro musicale
che mi interessa fare utilizza pochi cantanti e comunque mai cantanti che
si debbano psicologicamente identificare con il loro personaggio così
come invece deve assolutamente fare (e guai se non lo facesse) il soprano
che interpreta Violetta Valery.
Il teatro musicale che mi interessa
fare non occupa il luogo scenico con la simulazione di ambienti dove si
dovrebbe svolgere l'azione, ma inventandosi sempre nuove forme di spazializzazione
dell'evento scenico. Il teatro musicale che mi interessa fare può
chiamarsi ancora opera, purché non sia qualcosa che abbia gli stessi
criteri di narrazione teatrale e modalità produttive che si utilizzerebbero
per allestire La Traviata. E' difficile indicare un modello proprio
perché l'opera di oggi non può trovare espressione in un
modello preciso e replicabile: forse il modello giusto è non avere
modelli. La conseguenza è una radicale trasformazione del ruolo
del compositore: non si tratta di scrivere solo della buona musica su un
testo fatto da qualcun altro perché venga messo in scena da qualcun
altro ancora e poi replicato chissà dove da chissà chi. Oggi
il compositore deve (dovrebbe) costruirsi ogni volta una squadra diversa
che possa progettare insieme a lui ogni volta il percorso creativo giusto
per quello che si vuole raccontare; un percorso che sarà inevitabilmente
sperimentale e accidentato, ad altissimo grado di contaminazione tra le
diverse esperienze che sono coinvolte.
Per Orfeo a fumetti, ma
anche in altre precedenti esperienze di teatro musicale, ho fatto lavorare
separatamente le persone coinvolte nel progetto, assemblando il risultato
del loro lavoro solo all'ultimo momento. Ho scelto insieme a Manuel Cicchetti
le tavole del libro di Buzzati e ci siamo scambiati molte idee su quale
doveva essere l'impatto visivo del risultato finale. Dopodiché ho
lasciato che fosse lui, insieme a Mario Flandoli e Donatella Di Prete,
a imbastire la regia delle immagini e il progetto di scenografia multimediale.
Intanto scrivevo la partitura dell'opera, e insieme a Carlo Boccadoro abbiamo
realizzato prove separate con cantanti e strumentisti. Inoltre mi incontravo
spesso con Omar Pedrini, gli facevo ascoltare quello che stavo scrivendo
e insieme abbiamo scelto i pezzi per i suoi interventi, continuando a scambiarci
idee e stimoli nuovi. Terminata la partitura ho potuto dare a Cicchetti
e Flandoli una scansione temporale precisa della musica per sincronizzare
le immagini. Infine ci sono state le prove con cantanti e musicisti insieme;
poche ore a ridosso della prima ci siamo incontrati finalmente tutti, e
abbiamo messo insieme musica, immagini, canzoni, scene e luci.
E' un sistema di lavoro che ritengo
molto efficace, anche se è piuttosto rischioso; ma mi interessa
mantenere molto alte le singole temperature creative di interpreti e collaboratori,
e questo avviene se ciascuno lavora alla propria parte sentendo una grande
libertà e contemporaneamente la responsabilità di fare qualcosa
che dovrà poi armonizzarsi con il resto del progetto. Mi sembra
che preparare con grande cura i singoli ingredienti e mescolarli soltanto
alla fine dia un gusto di imprevedibilità, ma quindi anche di sorpresa,
all'evento scenico.
La partecipazione di Omar Pedrini
a Orfeo a fumetti è stato uno degli ingredienti più
interessanti e stimolanti, ma anche rischiosi, da preparare. La contaminazione
come tratto distintivo di un nuovo teatro musicale impone il confronto
con gli altri linguaggi musicali che popolano la nostra contemporaneità.
Lavorare con stili, idee e pratiche diverse fa' nascere tantissimi nuovi
stimoli creativi, e spesso questi stimoli passano anche al pubblico che
ascolta, che conosce e sperimenta insieme agli autori stessi nuove possibilità
espressive. In Orfeo a fumetti avere in scena una rockstar è
stata una naturale conseguenza della genialissima intuizione di Buzzati:
il potere magico e incantatorio del cantore mitico oggi si incarna nel
carisma quasi sciamanico di una rock-star. E' così che ho deciso
di coinvolgere Omar Pedrini, leader dei Timoria, ossia del gruppo più
interessante e innovativo nella scena del rock italiano. Ma soprattutto
quando ho visto un concerto dei Timoria dal vivo, la straordinaria potenza
della presenza scenica di Omar mi ha convinto definitivamente: il mio Orfi
non poteva essere che lui. La grande considerazione che ho per il lavoro
di Pedrini mi ha spinto a invitarlo a far parte del progetto non come puro
esecutore, ma anche nella sua veste di autore, facendo incontrare la sua
e la mia esperienza compositiva nel suo terzo intervento, dove con la sua
canzone E' così facile la voce di Omar Pedrini veniva accompagnata
da una mia versione strumentale del pezzo.
Orfeo a fumetti è
un'esperienza di teatro musicale abbastanza strana, per il suo percorso
produttivo, per le singole personalità che hanno partecipato alla
realizzazione, e forse per il punto di partenza, ossia l'idea di fare un'opera
su un libro a fumetti di un grande scrittore-pittore che riguarda il mito
che ha dato vita a tantissime altre esperienze di opere liriche e balletti.
Ma Orfeo a fumetti è un lavoro che riprende la lezione di
tanto teatro musicale novecentesco, rispondendo a criteri di brevità
(secchezza narrativa), praticità (impianto scenico facilmente trasportabile
e adattabile), e soprattutto economicità. In quest'opera a fumetti
non c'è un'orchestra di ente lirico, ma un ensemble di sei strumenti;
non ci sono cinque cantanti divi più otto comprimari, ma tre cantanti
di musica antica, con un bagaglio di grande preparazione e professionalità;
non c'è coro; non ci sono comparse; non c'è quasi allestimento;
non c'è struttura produttiva (l'intera produzione è stata
realizzata dal lavoro di un'unica persona, Andrea Minetto). Inoltre questa
agile povertà mi ha permesso di scegliere uno per uno i collaboratori,
senza dover cedere a compromessi di nessun tipo, e realizzare completamente
quello che volevo.
3) Le nuove tecnologie sono ingredienti
di contaminazione proprio perché sanno abitare lo spazio scenico
in maniera molto diversa da quelle tradizionali. Purché non siano
un feticcio le nuove tecnologie sono a volte indispensabili per capire
quella che è la giusta direzione anche per il compositore stesso.
Se non fossi venuto a conoscenza delle possibilità del software
di WatchOut
non avrei potuto scrivere la musica di Orfeo a fumetti
così
come è.
Watch Out è un software
che permette di "animare" tavole disegnate, muovendole sullo schermo, miscelando
ingressi e uscite delle proiezioni, diminuendo e aumentando intensità
e gradazioni dei colori. Mi ha affascinato perché era proprio quello
che era necessario per simulare quel movimento che il lettore imprime alle
immagini di un libro a fumetti, sfogliando le pagine a diverse velocità,
concentrando la propria attenzione su un particolare e tornando poi a cogliere
l'immagine nel suo insieme. Watch Out permette inoltre di gestire
i testi del fumetto in scansioni cronologiche precise, facendo apparire
e sparire i balloons della medesima immagine seguendo il ritmo della parola
cantata. In questa maniera l'adesione della parola cantata alla parola
scritta e quindi narrativamente "detta" dai personaggi o dalle didascalie
può essere totale; nella mia prospettiva poter controllare questo
aspetto era fondamentale. Il farsi della parola cantata in parola scritta
e quindi parola agita dalla storia è uno degli strumenti drammaturgici
che secondo me rendono interessante l'esperimento di un'opera a fumetti.
4) Il cantante d'opera tradizionale
è morto: basta vedere la triste fine di Pavarotti per capire che
quel ruolo si è definitivamente esaurito. Devo aggiungere che non
mi dispiace troppo: non ho mai amato quel tipo di cantante e i duelli Callas-Tebaldi
mi sono sempre sembrati ancora più stupidi di quelli sportivi. Almeno
nello sport chi arriva primo vince.
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