ateatro 127.61 Sciopero! Nessuno si salva da solo L'assemblea del 22 novembre alla Camera del Lavoro di Milano di Mimma Gallina
Non succede spesso che l’intero comparto della produzione culturale e dello spettacolo proclami uno sciopero generale e unitario: SLC-CGIL, FISTel-CISL e UILCOM-UIL, unite su posizioni molto dure e decise "contro i tagli previsti nella finanziaria 2011, contro l’immobilismo sulle necessarie riforme di sistema, per salvaguardare l’occupazione e per lo sviluppo dei settori”. I principali punti della ri-vendicazione che ha visto lunedì 22 i lavoratori astenersi dal lavoro e convergere in assemblee e ini-ziative aperte in tutta Italia, ma in particolare a Roma, Genova, Torino e Milano sono i seguenti:
• Approvazione delle leggi quadro di Sistema dei Settori dello Spettacolo dal vivo e Cineaudiovi-sivo, che portino a compimento titolarità e prerogative per l’intera filiera della Repubblica (Stato, Regioni, Province, Comuni ) e per la piena applicazione del titolo V della Costituzione e suo adeguato finanziamento;
• Approvazione della legge sulla tutela sociale dei lavoratori dello Spettacolo;
• Riportare il Fus 2011 almeno al livello del 2008, ossia circa 450 milioni di euro;
• La conferma del rifinanziamento per il prossimo triennio degli incentivi fiscali già esistenti ( Tax Shelter e il Tax Credit) e l’attivazione di analoghi provvedimenti anche per lo Spettacolo dal vivo
• Contro la delocalizzazione delle produzioni e per la strutturazione delle infrastrutture dell’Industria Cineaudiovisiva (teatri di posa etc..);
• La modifica del ddl cinema per riorganizzare risorse e incentivi volti a rilanciare l’intero Settore;
• I rinnovi dei contratti collettivi nazionali delle fondazioni lirico sinfoniche e dei teatri di prosa e della produzione cinematografica (troupe;)
• L’apertura di un tavolo Ministeriale per concordare la possibilità di accedere alla attivazione di tutti gli strumenti di protezione sociale ( a partire dalle figure artistiche) e politiche di riemersione per i settori della Produzione Culturale e dello Spettacolo volti a tutelare i lavoratori stabili e pre-cari del Settore.
• Un tavolo interministeriale che coinvolga il Ministero dei beni e attività culturali, dell’Economia, del Lavoro, e del Turismo e le Infrastrutture e attività produttive, nonché l’ANCI e la Conferenza Stato-Regioni, finalizzato a concretizzare quelle necessarie sinergie e semplificazioni ammini-strative fondamentali per la riorganizzazione del Sistema.
Presso la Camera del Lavoro di Milano, nella Sala Di Vittorio affollata di attori, tecnici, operatori di di-verse generazioni e degli studenti della Paolo Grassi e di altre scuole cittadine, hanno approfondito i temi dello sciopero i rappresentanti dei lavoratori (sindacalisti a fianco dei giovani orchestrali della Verdi e agli oscuri tecnici delle multisale cinematografiche), delle principali istituzioni dello spettacolo cittadine (il Piccolo con Escobar e La Scala con Lissner) e di alcuni teatri (con Shammah, Sarti, Gatti-ni), a fianco di personalità multiformi come Toni Servillo e Moni Ovadia. Presenti rappresentanti dell’AGIS che non sono però intervenuti. Sul fronte della politica, una battagliera On. De Biasi, e –prestato alla politica - il compositore Filippo del Corno che ha portato i saluti di Giuliano Pisapia, il vin-citore delle Primarie della sinistra, testimoniando il suo impegno orientato in particolare al rilancio cul-turale e sociale delle periferie.
Le introduzioni e gli interventi sul fronte sindacale (Albori, Conti, Rosati e Miceli) hanno offerto alcuni numeri di riferimento: l’occupazione e l’indotto del settore della cultura e dello spettacolo (550.000 fa-miglie), la sua incidenza sul PIL (2,8%), il calo previsto per il FUS dal 2010 al 2011 (-36%), le giornate lavorative perse, la delocalizzazione della produzione cinematografica (settore penalizzato anche dall’abolizione del tax credit e dalla carenza di infrastrutture). E’in atto, nel corso di tutta la ormai lunga storia dei governi di centro destra in questo paese (dal ’94 a oggi), un vero e proprio accanimento con-tro il settore, accanimento cui la crisi fornisce un ulteriore pretesto: più che mai questo ultimo governo Berlusconi si è dimostrato nemico della cultura, ostile alle aree e ai lavoratori del pensiero (scuola, ri-cerca, innovazione), punendoli con decurtazioni ben superiori alle medie annunciate e con la latitanza politico-legislativa. Fra gli obiettivi e le linee di intervento che si vogliono mettere in campo contro que-ste politiche (sopra elencate), sarà opportuno – come www.ateatro.it - tornare prossimamente sulla “legge sulla tutela dei lavoratori”, ovvero per l’applicazione degli ammortizzatori sociali e di altre forme di protezione anche al settore dello spettacolo. Si è del resto sottolineato come la difesa del lavoro e dei diritti dei lavoratori costituiscano una condizione irrinunciabile anche in un contesto di crisi e nono-stante l’opportunità di ampie revisioni della materia contrattuale.
L’assemblea, e tutti gli interventi, sono stati compatti contro l’ostilità irriducibile del ministro Tremonti e l’inconsistenza di Bondi, di cui più d’un intervento ha sollecitato le dimissioni, in un clima unitario (nes-suno si salva da solo) e di solidarietà fra lavoratori e organizzazioni.
Molto deciso in questa direzione l’intervento di Sergio Escobar, che ha richiamato l’art.9 della costitu-zione (“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il pa-esaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”), una “seccatura” nella filosofia del governo, ha ricordato la parabola discendente del Fus - che ha riguardato se pure in misura minore anche i go-verni di centro sinistra - e oggi corrisponde, in valore reale, a un terzo di quello originario, e il significa-to che il fondo rivestiva alle origini (nel 1985): un patto fra stato e organizzazioni dello spettacolo, ri-sorse, regole, funzioni certe. Un patto tradito e incompreso, non solo per insensibilità, ma per un’ottusa irresponsabilità rispetto alle funzioni sociali, identitatarie, civili del teatro, ben prima che economiche e occupazionali e rispetto ai suoi tempi artistici e organizzativi, alle sue necessità operative. Ai 23 milioni di euro che la Francia assegna alla sola Comedie Française, corrispondono i 17 milioni riservati a tutto il teatro pubblico italiano. Ma il principale terreno in cui il “cinismo”, le “doppie verità” di Tremonti si scoprono è il rapporto equivoco fra pubblico privato: il richiamo a risorse private improbabili e tutt’altro che incentivate (che trova il punto di massima contraddizione nelle vicende delle fondazioni lirico sin-foniche) e la scelta di non dare una normative al settore, alimentando una sostanziale “a”legalità. Il ti-more di Escobar è che questi continui e crescenti attacchi gettino sabbia negli ingranaggi, minino pro-gressivamente e irrimediabilmente il sistema.
Il sovrintendente Lissner ha richiamato la relazione fra arte, cultura e libertà e difeso con forza il valore pubblico dello spettacolo: non c’è privato che si possa sostituire alla funzione pubblica nella difesa del patrimonio culturale, della libertà degli artisti (e della loro emancipazione dal mercato), dei diritti cultu-rali dei cittadini. La Scala, con il suo 60% di autofinanziamento (solo il 40% deriva dai diversi livelli dell’amministrazione pubblica), risulta in questo un modello virtuoso e – un dato che ha stupidto la platea - a fronte di 37 milioni di contributi paga allo stato 39 milioni di tasse (si suppone compresi i con-tributi previdenziali, nda).
Gli altri rappresentanti dei teatri hanno posto l’accento su alcuni valori di fondo del teatro: il valore in-sopprimibile della presenza umana, la fragilità e il carattere minoritario (Andrée Shammah), il ruolo “e-ducativo” e sociale nelle periferie (Renato Sarti).
Il tema dei giovani ha attraversato quasi tutti gli interventi, a cominicare da quello di Toni Servillo (fra i primi), che ha generosamente posto l’accento sulle professioni meno visibili, più precarie, quelle dietro le quinte dove più frequentemente operano i più giovani: nel cinema come nel teatro), e quelli degli stessi ragazzi: vessati gli orchestrali della Verdi (www.ateatro.it né ha già parlato e sembra incredibile un comportamento decisamente antisindacale da parte di un’istituzione così sostenuta a livello pubbli-co e privato), sottopagati i proiezionisti delle sale Multipex, preoccupati per il loro futuro gli studenti della Paolo Grassi, ma impegnati in un nuovo movimento trasversale fra le scuole cittadine “chi è di strada”.
Emilia de Biasi ha enumerato alcuni inimmaginabili comportamenti governativi (o vere e proprie nefan-dezze): dal fondo Letta che nella finanziaria contiene di tutto di più ma da cui risulta esclusa (azzerata) la cultura, alle “milleproroghe” cui si rimanda per possibili futuri tamponamenti dell’emorragia, agli inca-richi per Pompei e L’Aquila attribuiti alla moglie del direttore generale del Ministero (che sarebbe poi Salvo Nastasi: lei sarebbe la figlia di Minoli: ne ha parlato anche Travaglio ad Annozero). Ha in-fine – molto applaudita - riposto l’accento sulla necessità di operare per tutto il sistema: dal Pic-colo Teatro ai Piccoli Teatri.
Chi scrive ha ricordato gli altri fronti da non dimenticare: gli enti locali in primo luogo (“puniti” a loro vol-ta dai tagli dei trasferimenti, ma le cui scelte di spesa non sono ineluttabili), la incredibile gestione di ARCUS spa, infine il rischio che una concentrazione delle scarse risorse sulle istituzioni esistenti, e-scluda, e comprometta irrimediabilmente il futuro delle nuove organizzazioni.
Fra gli interventi conclusivi, si è preso la scena Moni Ovaia, come sempre esplosivo e provocatorio, ma con una proposta concreta (ripresa poi da Monica Gattini del Litta): raccogliere migliaia, milioni di dichiarazioni di spettatori (o inoltrare milioni di email), che più o meno dicano: “ho visto questo spetta-colo, vorrei poterne vedere altri”. E gli spettatori, si sa, solo elettori.
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