ateatro 126.31 Il lungo viaggio di Emilio Pozzi Dignità, coraggio, generosità, ironia: i tratti distintivi del suo profilo umano e professionale di Vito Minoia (*)
Emilio Pozzi a Cartoceto nell'ottobre 2010 (foto di Franco Deriu).
E’ scomparso senza clamore a Milano il 22 aprile all’età di 83 anni Emilio Pozzi, “attento interprete del ruolo insostituibile del teatro pubblico”. Così lo hanno ricordato al Piccolo Teatro di Milano, quella istituzione alla quale aveva dedicato particolare attenzione “per scelta professionale e civile”. Sono parole, pubblicate nella sua opera I teatri di Milano (con Domenico Manzella, Mursia 1985). Giorgio Strehler che volle scrivere l’introduzione ai due volumi disse “E’ un libro di noi teatranti”, con larga accezione. In quelle pagine, infatti, oltre alla ricostruzione erudita di duemila anni di storia dello spettacolo meneghino, riecheggiano le vicende di drammaturghi, musicisti, commediografi, ballerini, coreografi, attori, cantanti, registi, scenografi, costumisti, direttori d’orchestra e altri ‘addetti ai lavori’.
Una passione, quella dello storico del teatro, che Emilio ha iniziato a coltivare in modo più organico quando Paolo Grassi gli chiese di comporre insieme e accanto a lui il volume sui suoi 40 anni di palcoscenico. Grassi impose all’Editore Ugo Mursia quel giornalista “di cui stimo da almeno trent’anni la probità professionale e la disponibilità umana, e di cui coltivo da sempre una sincera, affettuosa amicizia”. Eravamo nel 1977 e per la prima volta il fondatore del Piccolo Teatro, insieme a Strehler e Nina Vinchi, dopo essere stato sovrintendente della Scala dal 1972, eletto Presidente della RAI, rifletteva con coerenza sull’idea centrale di un teatro d’arte a gestione pubblica, scelta frutto di ricerche e studi e naturale traguardo di una posizione ideologica socialista.
Emilio lavorava in RAI già dal 1945, occupandosi particolarmente dei problemi dello spettacolo e - in intense pause di concentrazione nelle domeniche dell’autunno milanese - utilizzò un registratore per raccogliere dialoghi e monologhi non soltanto di Grassi, ma anche di chi aveva contributi di memoria da offrire ed opinioni da esprimere. Riuscì dunque a comporre un mosaico di episodi, di riflessioni e di spunti, adatti a cogliere il profilo di una personalità e di una vicenda umana, individuale e pubblica. E da conoscitore delle tecniche di recitazione, al termine di ogni capitolo, ha fatto parlare il protagonista come negli “a parte” del teatro tradizionale, attraverso quei corsivi su se stesso e gli altri che aprono un dialogo estremamente confidenziale con la platea dei lettori. Il libro fu tradotto in diverse lingue (fino in Unione Sovietica).
Alla RAI ha dedicato una buona parte della propria attività giornalistica cominciando al Giornale radio come radiocronista a Milano, poi a Roma, anche con la direzione della Ricerca e sperimentazione programmi, e infine a Torino, dal 1980, dove ha diretto la sede regionale piemontese per dieci anni. Ha realizzato molti documentari radiofonici. Memorabili le sue interviste ai personaggi più noti dello spettacolo degli ultimi sessant’anni, tra le quali ricordiamo quelle a Maria Callas o a Renata Tebaldi (notoriamente molto riservata) o quella ai tre De Filippo (Eduardo, Peppino e Titina) riuniti in uno studio radiofonico nel momento in cui si erano divise le loro strade professionali.
E’ stato anche corrispondente della radio Svizzera di Lugano per la quale ha raccontato, da Milano, gli anni della strategia della tensione.
Franco Abruzzo e l’Ordine Nazionale dei Giornalisti di Milano (di cui è stato anche segretario) lo hanno ricordato come “memoria storica del giornalismo radiofonico e televisivo” e come formatore di una intera generazione di allievi dell’istituto di formazione regionale Carlo De Martino, già vicepresidente dell’Associazione Walter Tobagi che lo gestisce (prima scuola di giornalismo italiana, della quale Emilio ha curato nel 2002 il racconto delle vicende del suo primo quarto di secolo).
Tornando ai problemi della storia del teatro e dello spettacolo, disciplina che ha insegnato negli ultimi venticinque anni alla Facoltà di sociologia dell’Università di Urbino, è da segnalare la direzione della collanaQuaderni per la memoria (Edizioni Quattroventi) con monografie dedicate a Carlo Terron, Giovanni Testori, Vittorio Gassman, Luciano Pavarotti, Saverio Marconi, Antonio Ghiringhelli, Mina Mezzadri, Valeria Moriconi. Del 1990 è un’altra preziosa opera: I maghi dello spettacolo. Gli impresari italiani dal 1930 a oggi (Mursia): un volume che ricostruisce la vita e le opere dei più significativi impresari definiti scherzosamente “abili demiurghi dietro le quinte, a volte felici rabdomanti di talenti o estrosi giocolieri tra i bilanci” dentro e fuori i limiti della definizione classica.
Del 1992 invece è Sociologia dello spettacolo teatrale (Cisalpino Editore, con Bernardo Valli), dove ha esplorato i filoni di una vocazione sociologica del teatro, a partire dall’espressione politica di Piscator e Brecht, fino ad Antonin Artaud.
A Urbino l’ho conosciuto anch’io nel 1988, condividendone da subito le idee e intraprendendo, con complicità, un percorso di approfonditi studi e ricerche.
Tra i suoi corsi universitari ai quali ho collaborato ricordo i significativi percorsi monografici dedicati a “I Teatri stabili”, “La donna e il teatro”, “Teatri di frontiera”, “Il Teatro-cabaret”, “Il Teatro in televisione”, “Eduardo raccontato dagli altri” (ricordiamo su questo argomento la pubblicazione del volume Parole mbrugliate, Bulzoni editore 2007, raccolta di 153 voci selezionate sul campo) fino ai corsi dedicati alle tematiche afferenti ai “Teatri delle diversità” a seguito dell’esperienza che ci ha uniti profondamente: la partecipazione alla fondazione e direzione, dal 1996, della rivista trimestrale europea omonima (fino al ‘99 denominata “Catarsi”).
In questi anni ci ha legato il grande impegno per una informazione, una ricerca, una riflessione critica finalizzata al tentativo di organizzare un’ eco del lavoro teatrale magmaticamente in essere, che ha come scopo l' identificazione dei metodi che aprono le strade dell' integrazione, attraverso l'acquisizione – con pari dignità - della cultura della convivenza. In due tesi, la prima di Laura Renna all’Università di Ferrara (2003) e l’altra di Francesca La Gala all’Università statale di Milano (2008), è raccolta un’ampia documentazione sul lavoro sviluppato con i primi 50 numeri della rivista. In un Quaderno del Consiglio regionale delle Marche - di prossima pubblicazione – è invece contenuta una selezione degli atti dei dieci convegni promossi a Cartoceto (Pesaro e Urbino) dal 2000 al 2009.
Di questi anni per le Edizioni Nuove Catarsi sono i nostri due volumi Di alcuni teatri delle diversità (1999) e Recito, dunque so(g)no (2009). Il secondo a fondamento del suo ultimo corso universitario dal titolo “Teatro e carcere 2009”: un volume dedicato a Claudio Meldolesi, compagno di viaggio nell’avventura della rivista e con il quale abbiamo condiviso lo studio dei fondamenti della ‘scena reclusa’.
Alla base del grande interesse di Emilio per il mondo penitenziario o del suo mal di “carcerite” (come amava dire usando un neologismo) vi erano anche altre due ragioni profonde: una significativa attività di volontariato, svolta insieme a sua moglie Luciana negli ultimi venti anni con attività di formazione al giornalismo e di lettura, scrittura, cinema, poesia rivolte a detenuti e detenute nel carcere di San Vittore (dove ha ideato e organizzato negli ultimi anni anche la Giornata della memoria); il ricordo indelebile di essere stato arrestato dai nazisti e detenuto politico durante la Resistenza nello stesso carcere con il “numero di matricola 941”, a diciasette anni, per aver partecipato alla guerra di liberazione nazionale (1943/45) come combattente partigiano del Fronte della Gioventù.
Nel suo testo “Arti e Resistenza” con l’introduzione di Aldo Aniasi, presidente della Federazione Italiana Associazioni Partigiane (MB Publishing, 2005), Emilio suggerisce una definizione della Resistenza, senza retorica, citando il filosofo Dino Formaggio:
“La Resistenza è un atto di vita, una scelta etica ed un rifiuto opposto alla distruzione dell’uomo, infine un’offerta di liberazione che l’uomo offre, a costo anche della propria vita, all’altro uomo. Un atto di questo genere non si commemora né si celebra, si può viverlo insieme, come può insieme essere vissuta l’indicibile essenza dell’uomo”.
Sento molto attuali queste parole in un’epoca di imperante Neoliberismo che ci allontana sempre più dai valori umani, educativi e sociali del teatro e delle arti della comunicazione.
Abbiamo perso un maestro, che nel suo ultimo libro di memorie Quando non c’erano i gossip (Editore Greco & Greco, di prossima pubblicazione), chiuso nelle ultime settimane di vita grazie all’aiuto di sua figlia Barbara, in una piccola nota biografica scrive di se stesso: “ha imparato molto, professionalmente e umanamente, da Norberto Bobbio, Enzo Biagi, Dino Buzzati, Orio Vergani, Edoardo Anton, Primo Levi, Giovanni Testori, Paolo Grassi, Roberto De Monticelli, Enrico Mascilli Migliorini, Cesare Zavattini. E dai mille e mille esseri umani, incontrati nella vita, sulle strade del mondo: donne, uomini, bambini, anche extra comunitari e rom”.
Ci sono tante vie d’accesso all’indicibile essenza di Emilio Pozzi, un lascito ancora tutto da esplorare, a cominciare dalla rilettura di quanto in più di sessanta anni ha scritto o fatto. Ad esempio in pochi sanno che è stato anche autore di due testi di letteratura per ragazzi (L’eroe di un giovedì, 1980 e Cigno bianco e cigno nero, 1982 - entrambi per la Società Editrice Internazionale) o che Vittorio De Sica lo ha invitato a doppiare il protagonista del film Miracolo a Milano del 1951, tratto dal romanzo Totò il buono di Cesare Zavattini, vivendo al contempo una singolare esperienza con i barboni del film.
Ancora un’altra preziosa testimonianza, per non dimenticare un uomo di cultura come Enzo Ferrieri, è la pubblicazione di La radio! La radio? La radio! (Greco & Greco 2002) con un saggio introduttivo di Maria Corti.
Nello scrivere questo ricordo su Emilio mi sono identificato in lui al momento dell’invito di Paolo Grassi per 40 anni di Palcoscenico: “Mi sono trovato come il ragazzo che voleva trasferire con il cucchiaio l’acqua del mare in una piccola buca sulla spiaggia”.
Caro Emilio, ‘dignità’, ‘coraggio’, ‘generosità’, ‘ironia’, sono solo alcune delle caratteristiche che hanno contraddistinto il tuo essere. Con un esercizio di Memoria ti ricorderemo in apertura del Convegno del 16 e 17 ottobre 2010 a Cartoceto, nel tentativo di organizzare un coordinamento nazionale delle esperienze di Teatro e carcere, come a te sarebbe piaciuto, e in compagnia di Claudio Meldolesi e la sua idea di Immaginazione contro emarginazione, diventato anche nostro motto.
Altri contributi saranno pubblicati su www.teatridellediversita.it e su www.teatroaenigma.it
(*) Condirettore della rivista europea “Teatri delle diversità”
Docente di teatro di animazione all’Università di Urbino “Carlo Bo”
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