ateatro 125.99
BP2010 L'impressionante fotoromanzo delle Buone Pratiche 2010
Con i link a relazioni, interventi e Buone Pratiche e il video dell'intervento di Alessandro Bergonzoni
di Redazione ateatro
 

Oltre 300 persone hanno affollato nella giornata del 13 febbraio l'ITC-Teatro di San Lazzaro: un successo che è andato là di ogni previsione, ottenuto - va aggiunto - con le nostre sole forze, che sono molto limitate: un sito intenet, le nostre mail, qualche telefonata, l'indipendenza e la libertà dell'iniziativa.
Per noi il vero protagonista delle Buone Pratiche è da sempre il popolo del teatro: chi ama il teatro, chi vive nel teatro e di teatro, e ha voglia di riflettere sui suoi problemi e soprattutto sul suo futuro. Artisti, organizzatori, studiosi e studenti che hanno voglia di incontrarsi, parlare, confrontarsi e magari contarsi.
Per quanto ci riguarda, abbiamo fatto del nostro meglio per soddisfare le aspettative suscitate dalla nostra convocazione: mettendo in campo presenze qualificate, memoria e progettualità, idee e pratiche.
La giornata è stata, a nostro giudizio, ricca e intensa, ricca di spunti che andranno apprfonditi: basta leggere le relazioni e i materiali pubblicati sul sito, e anche questo "impressionante fotoromanzo", redatto con pazienza da Danila Strati, Davide Pansera, Agnese Bonini e Silvia Vendraminetto (grazie grazie).
Un "fotoromanzo impressionante" anche perché nel corso di una giornata abbiamo potuto ascoltare moltissime persone che avevano moltissimo da dirci: se una giornata come quella del 13 febbraio ha un difettto, è che abbamo troppe cose da dirci, troppi temi su cui confrontarsi - e forse ogni volta ci manca il tempo per tirare le fila e magari far cristallizzare qualche proposta concreta (anche se davero non sappimo se questo sia davvero il compito delle Buone Pratiche o di ateatro: ma qualcosa forse inventeremo...).
In ogni caso, le Buone Pratiche hanno sedimentato, quest'anno e nel corso delle edizioni precedenti, una straordinaria mole di materiali: è un patrimonio che mettiamo volentieri a disposizione di tutti.





I veri protagonisti delle Buone Pratiche: il pubblico che ha affollato la platea e anche il palcoscenico dell'ITC-Teatro (foto di Lorenzo Cimmino).

Marco Macciantelli (sindaco di San Lazzaro)
Il sindaco esprime soddisfazione per il fatto che San Lazzaro e l’ITC-Teatro ospitino un’iniziativa caratterizzata da un dibattito così ampio (circa 60 interventi previsti), un’occasione di riflessione per fare il punto sulla situazione teatrale del paese. Come amministratore, vuole esprimere soddisfazione sull’esperienza dell’ITC-Teatro: una realtà ben radicata nel territorio, esperienza di teatro attivo e vivente. Anche i dati lo dimostrano: l’ITC-Teatro è al terzo posto come presenze fra i teatri sotto 250 posti, ed esprime una qualità molto alta dal punto di vista artistico e gestionale. Il massimo livello sul piano del possibile, in assenza di un intervento significativo dello Stato, e nell’impossibilità di contare seriamente sul ruolo del privato: semplicemente perché teatro è pubblica utilità. E’ fondamentale riconoscere che nel nostro paese l’attività teatrale è prevalentemente sostenuta dalle amministrazioni locali, anche per quanto riguarda gli stabili. Ma in particolare sul territorio, dove il tessuto teatrale è formato da gruppi e reti locali, con l'assenza di interventi significativi dello Stato. Le Buone Pratiche si attuano in un incrocio fra cultura, territorio ed enti locali



Il reparto fumatori: il gazebo fuori dall'ITC-Teatro (foto di Lorenzo Cimmino).

Maura Pozzani (Assessore alla Cultura, Provincia di Bologna)
In un saluto intenzionalmente breve, sottolinea come buone pratiche si attuino anche da parte degli amministratori. A Bologna e provincia se ne verificano alcune, esperienza a livello territorio, in cui la qualità è molto importante. Qualche esempio:
1. Tracce: la rassegna è arrivata alla 14° edizione. 16 spettacoli fra cui tanti premi nazionali. Giovani compagnie che si mettono in gioco.
2. Parole e Musica: un progetto che coinvolge luoghi difficili da raggiungere. Il teatro deve arrivare anche dove è difficile, per il tempo o per la lontananza.
3. Cartelloni unici: teatri che coordinano la programmazione, offrendo una circuitazione più ampia alle compagnie, e la possibilità di usufruire dello stesso spettacolo a un maggior numero di persone.
Le buone pratiche partono dall’infanzia. L’assessore ricorda anche Claudio Meldolesi e Leo De Berardinis e la loro qualità artistica e il loro lavoro sul territorio.
Bisogna evitare che i giovani scappino dal territorio, dare loro spazio. Collaborare con umiltà e con passione: così si riesce a proporre un teatro in cui le buone pratiche siano messe in pratica ogni giorno.

Andrea Paolucci (ITC-Teatro)
Il direttore dell’ ITC-Teatro ringrazia e esprime soddisfazione per l’ospitalità di Buone Prartiche.

Oliviero Ponte di Pino ricorda che nelle ultime edizioni Laura Mariani e Claudio Meldolesi hanno partecipato attivamente e con grande generosità alle Buone Pratiche, offrendo un contributo importante alla riflessione.
Claudio Meldolesi amava utilizzare una parola chiave, “riattivare” (una parola chiave), ovvero rimettere in funzione le energie: l’intervento attivo, le buone pratiche si sono rivelate costitutivo del lavoro di Meldolesi, congeniali alla pratica concreta del teatro da cui arrivava (diplomato alla Silvio d’Amico), e derivava l’ispirazione della sua attività di studioso.

Laura Mariani --> Meldolesi, un maestro
Laura Mariani legge il suo intervento. Claudio è stato un “maestro” per tutto il percorso artistico e professionale che ha svolto: portatore di un pensiero forte e originale - espresso attraverso la qualità letteraria della scrittura - ma maestro anche per l’affetto e il collegamento che ha mantenuto con i suoi maestri. Maestro per il suo modo di relazionarsi e stare al mondo. Considerava il teatro in termini unitari sul piano istituzionale, e, da uomo del 68, aveva contrastato il suo tempo.



Caffè per tutti!!! L'affollato foyer dell'ITC-Teatro (foto di Lorenzo Cimmino).

Oliviero Ponte di Pino e Mimma Gallina --> Identità, differenze, indipendenza
Oliviero ribadisce che la presenza di Meldolesi è stata un valore grandissimo. Si unisce al ricordo di Leo, punto di riferimento fondamentale. E menziona anche a Giancarlo Nanni, recentemente scomparso. Poco prima, Nanni aveva regalato ad ateatro un’idea molto bella e molto semplice: quella, anche a seguito delle polemiche sui 150 anni dall’unità d’Italia, di un grande lavoro collettivo della gente di teatro su questo tema, un impegno comune per un paese che non fa conti con passato. Una proposta che forse si può ancora cogliere: ci sono tante compagnie che su questi temi lavorano da tempo, forse è ancora possibile mettersi insieme e dare forza a questo progetto.
Oliviero e Mimma richiamano sinteticamente i temi dei documenti di convocazione e introduzione al tema delle Buone Pratiche. A cominciare dalle dichiarazioni offensive di Bondi confronti di chi si occupa di cultura.
Segnali più piccoli ma molto inquietanti si sono recentemente verificati a Milano: Giulio Cavalli vive da mesi sotto scorta; di recente fuori dal teatro in cui recitava sno stati trovati 23 proiettili; Daniele Timpano ha visto il suo Dux in scatola "molestato" da uno squadraccia fascista durante una replica al Teatro i.
Sono fenomeni che rivelano trasformazioni più profonde.
Tornando al tema di questa edizione delle Buone Pratiche, nel teatro italiano è in atto un processo di omologazione, le differenze sono andate via via scomparendo: è scomparsa perfino la definizione di teatro pubblico nel nuovo progetto di legge. Questo è giusto o sbagliato?
Nei momenti di crisi ci ha suggerito la frase di Meldolesi citata da Laura Mariani, dobbiamo ripensare alla nostra storia, alla nostra identità. Un altro spunto di riflessione è dato dall'evoluzione dello scenario politico italiano. Dal sistema proporzionale si è passati al maggioritario: le opposizioni sono più decise e cambia la posizione anche di chi fa teatro e cultura. Capita spesso per esempio che un cambio di amministrazione porti all’azzeramento di un progetto precedentemente approvato. Una volta non succedeva in modo così visibile: si pratica una discontinuità al ribasso, con la tendenza a privilegiare nel territorio situazioni non professionali. Il teatro vive quindi un eccesso di offerta, ma molto spesso poco qualificata dal punto di vista professionale. La giornata ha due obiettivi: affrontare il tema e fare il punto e lavorare sulle buone pratiche. E, forse, confrontarsi e lanciare forme concrete di collaborazione.



Maura Pozzati, Marco Macciantelli, Oliviero Ponte di Pino, Laura Mariani (foto di Lorenzo Cimmino).

Teatro pubblico, teatro commerciale, teatro indipendente

Il primo tavolo della giornata, è dedicato ad affrontare i temi nelle linee generali e fornire elementi conoscitivi aggiornati ai partecipanti.

Patrizia Ghedini --> Verso una nuova legge nazionale dello spettacolo: il confronto tra Stato e Regioni
Il tempo consente di trattare solo alcuni punti fondamentali. Secondo Patrizia Ghedini, funzionaria della Regione Emilia Romagna, è importante capire quali sono le ragioni delle Regioni rispetto al progetto di legge nazionale sul tappeto, in modo che le relazioni possano diventare più comprensibili ad una platea ampia.
Rispetto al disegno di legge, le Regioni riconoscono lo sforzo a livello parlamentare delle onorevoli Carlucci e De Biasi per arrivare ad un testo bipartisan. Non è la prima volta che succede. Anche nel 2004 si era arrivati a un testo condiviso, che cadde perché il Governo presentò un emendamento teso a ribadire la centralità nella gestione del FUS. Questo nuovo testo è importante e alcuni punti sono condivisibili. Altri invece, poco chiari. Altri ancora, incostituzionali.
Bisogna partire da un riferimento chiaro: le Regioni hanno competenza legislativa e di regolamentazione del settore. I problemi e le perplessità che possono insorgere nel settore a questo proposito sono tanti. Le Regioni riconoscono la potestà del Parlamento di legiferare, non vogliono ruoli non loro, chiedono però un confronto che offra garanzia sul “dopo legge”. Solo scelte gestibili e condivisibili potranno non essere mai oggetto di ricorsi alla corte costituzionale.
La legge presenta poi problemi d’impianto. Ecco in breve le questioni più problematiche:
- la correttezza sul piano costituzionale;
- la chiarezza sulla collaborazione tra i diversi piani istituzionali:
(l’Onorevole Emilia De Biasi presente in sala e Patrizia Ghedini si confrontano con scambi di battute su interpretazioni diverse della legge)
- tutto passa attraverso una gestione centralistica;
- incoerenza con le norme sul federalismo fiscale.
Le Regioni hanno proposto gli “accordi di programma”, un’intesa in sede di “conferenza unificata” consentirà di stabilire indirizzi regionali condivisi e individuare elementi di intervento chiari, compatibili e fondati sulla certezza delle risorse (che vanno definite triennalmente, senza variazioni in corso d’opera). Quindi una sorta di confronto preventivo, per avere la garanzia che un percorso concordato possa essere seguito anche da parte delle regioni meno avanzate.
Ghedini sottolinea infine l’importanza degli Osservatòri dello spettacolo: si è attivato un progetto interregionale, in collaborazione con l’Osservatorio nazionale, il progetto è in atto e sta dando risultati positivi. Perché non tentare un’esperienza simile, anche per condividere risorse e strumenti in relazione alla nuova legge?



L'intervento di Patrizia Ghedini (foto di Lorenzo Cimmino).

Giulio Stumpo --> I consumi creativi
Partiamo dalla scoperta della radioattività: Enrico Fermi mette un rullino fotografico in un cassetto in cui ci sono ggetti radioattivi, il rullino non può essere sviluppato. Il salto di tipo creativo di Fermi è capire che c’è un problema nel cassetto, non nella macchina fotografica. E’ necessario un salto creativo nello spettacolo per sviluppare una coscienza collettiva e una crescita creativa della società. Il Teatro deve contribuire a questo obiettivo.
Una società creativa richiede meno vincoli alla circolazione d’idee: è impensabile che una società competitiva non sviluppi collaborazione e dialogo all’interno. Ma i primi incapaci di fare rete siamo proprio noi operatori: è davvero difficile creare reti e sinergie “nello stesso palazzo”, è un tema su cui dobbiamo riflettere.
Fra le città creative, un esempio è proprio Bologna. Una città che si chiude al resto del mondo non può essere considerata creativa. La Francia e gli Stati Uniti sono società creative perché si sono aperti all’esterno, a condivisione, integrazione, accoglienza. Finchè non si cambia, la riforma dello spettacolo può non servire a nulla.
Qualche dato per riflettere sulla dimensione del teatro (pubblico o privato), nel 2010: 140.000 lavoratori dello spettacolo secondo l’Enpals, oltre al lavoro sommerso. Il reddito medio è di 7.000 euro annui, le giornate lavorate circa 70 all’anno. La maggior parte di chi lavora nel settore spettacolo è al di sotto della soglia di povertà. Lo Stato investe 84 milioni nella prosa (pochissimo), i consumi culturali sono diminuiti del 7% nello scorso anno. Il fatturato è diminuito del 6%.
Quale può essere il tema, quindi?
- è necessaria una più forte e seria programmazione territoriale;
- la cultura costa, ma l’incultura costa molto di più.



La parola a Giulio Stumpo: da sinistra Giovanna Marinelli, Andrea Rebaglio e Roberto Calari (foto di Lorenzo Cimmino).

Roberto Calari --> Ruolo degli sponsor e movimento cooperativo
Roberto Calari, dirigente del movimento cooperativo, sottolinea la differenza fra la sponsorizzazione tradizionale (concessa a fronte di un ritorno di immagine) e il rapporto di partenariato, che si basa sulla consapevolezza e l’impegno sociale e territoriale delle imprese, coinvolte a sostenere un progetto culturale di cui è possibile valutare la ricaduta. E’ necessario stabilire un linguaggio comune fra imprese e operatori culturali in questa direzione. Gli operatori mancano spesso di chiarezza nel definire e illustrare la propria missione. Uno strumento che potrebbe essere molto utile in questa direzione è il “bilancio sociale”.

Andrea Rebaglio --> Fondazioni, creatività, innovazione
Andrea Rebaglio, del settore arte e cultura di Fondazione Cariplo, ricorda origine e funzione delle Fondazioni di origine bancaria, e come siano diventate progressivamente attori sempre più rilevanti nell’economia delle arti e della cultura (con un incremento medio degli investimenti, pari al 10% annuo). Né sponsor - non richiedendo se non marginalmente ritorni di immagine - né partner – nel momento in cui recepiscono piuttosto che concordare progetti - ma muovendosi in bilico fra i due ruoli. Le modalità di intervento delle Fondazioni (che non sono diffuse uniformemente in tutta Italia), non sono sempre equiparabili e nell’ultimo anno alcune hanno risentito pesantemente della crisi riducendo gli investimenti o intaccando le riserve. La loro funzione si pone però sempre come sussidiaria, e non sostitutiva rispetto all’intervento dell’ente locale. Fondazione Cariplo, ha orientato questo ruolo al sostengo di progetti e organizzazioni indipendenti e innovativi, limitando le erogazioni favore di realtà istituzionali a una percentuale marginale dei propri interventi. Fra questi spicca, anche per il carattere sperimentale, il progetto ETRE -esperienze teatrali di residenza - che ha portato a selezionare a sostenere il rapporto col territorio lombardo di un gruppo di compagnie: su queste esperienze, nell’ottica di un confronto internazionale, avrà luogo un convegno il 12 e 13 marzo.

Giovanna Marinelli --> Teatri Stabili Pubblici. Quale modello è ancora possibile
È arrivato il momento di riflettere e fermarci un attimo.
Per Giovanna Marinelli, direttore del Teatro di Roma, il teatro è ancora sentito come luogo di libertà e non omologazione. Viviamo in modo troppo rapido, mancano momenti di confronto e studio, e mancano i momenti per costruire una propria identità. Si perde il senso del rapporto tra passato, presente e futuro. Il teatro vive di libera espressione, tende a presidiare zone di dissenso, perde la sua autenticità se si omologa, mentre è fondamentale per costruire memoria e una società basata sulle differenze. Il teatro è anche un luogo fondamentale per l’incontro tra società e classe dirigente. All’origine, il teatro pubblico sentiva che era suo dovere partecipare ai processi di costruzione della società. L’autonomia del teatro pubblico era una conseguenza di un’identità forte e di un progetto culturale, ma anche organizzativo ed economico che portava alla difesa degli artisti e della creatività. Tutti gli scostamenti sono stati accettabili, finchè non hanno messo in forse il progetto originario.
Il teatro è arte del presente e proprio per questo è elemento intimo della nostra memoria. Proprio per questo iè necessario, ed è necessario anche un teatro pubblico. Ma non è più costì per la classe politica e non solo. Probabilmente bisogna ripartire dal pubblico per ricostruire un’identità. A Roma ultimamente i numeri del teatro sono sorprendenti. Quindi da qualche parte si può provare a ripartire. Contesto chi nega la funzione originaria del teatro pubblico: di un teatro che si relaziona con il territorio Oggi è totale l’indifferenza del potere nei confronti del teatro, e la capacità di ascolto è minima. Sempre più numerose le ingerenze. Il teatro deve quindi far riferimento in primo luogo al proprio pubblico. Deve lavorare in profondità e in silenzio per creare occasioni, iniziative che creino dialogo tra pubblico e teatro, che alimentino un circolo virtuoso tra teatro e cittadini.
Il futuro si gioca in un rapporto corretto tra teatro e politica. E’ sugli obiettivi che la politica si deve muovere. Va ricostruito un legame tra artisti ed istituzioni, per evitare l’inaridimento delle istituzioni.

(pochi giorni dopo aver pronunciato questo appassionato e lucido intervento, Giovanna Marinelli si è dimessa "per motivi personali" dalla direzione del Teatro di Roma, n.d.r.)

Velia Papa --> Il nuovo teatro: l’anomalia italiana e la dimensione europea
Tutti i gruppi che si affacciano all’estero, il più delle volte in coproduzione, vivono un senso di frustrazione, perché percepiscono un netto scarto, un gap rispetto all’Italia.
Se ne parla da vent'anni: da noi non ci sono confini tra pubblico e privato, siamo tutti sul mercato e in concorrenza sulle stesse cose e questo è un elemento di fragilità. La crisi economica ha portato più creatività? Piuttosto rende più evidenti le debolezze del nostro sistema. All’estero ci sono interlocutori affidabili, che dicono chiaramente se ci sono i soldi o meno, te li garantiscono per un periodo di tempo ben preciso, i bandi sono trasparenti. Invece in Italia il sistema è allo stesso tempo precario e statico, senza mobilità. Dopo aver fatto un’esperienza come amministratore pubblico, ho imparato che il settore pubblico deve chiarire i propri obiettivi ma anche che l’operatore si deve porre diversamente rispetto a esso e agli amministratori. L’indipendenza non è uno status, ma un modo di rapportarsi con l’interlocutore pubblico, superando gli ambiti limitati che il teatro tende a darsi.
Per uscire da questi limiti si può fare appello alla forza del teatro e dell’immaginazione, partecipare ai processi di trasformazione dei territori, cercare uno spazio all’interno dei processi di rinnovamento e le dinamiche sociali. Durante gli ultimi due ultimi viaggi, ho fatto alcune osservazioni significative: a Nantes, nella piantina turistica della città, è riportata un’icona: quella della compagnia Royale De Luxe, nata come gruppo di teatro di strada. La città in trasformazione associa la sua immagine non ai musei o all’opera ma a una compagnia di teatro di strada.
A Terragona il teatro di strada si fa “industria culturale”, ha finanziamenti adeguati, si progetta ferfino la città in funzione di un festival che dura quattro giorni l’anno, i soggetti coinvolto compartecipano a inventare un modo nuovo di vivere un territorio.
E’ evidente la marginalità del teatro italiano rispetto a quello che succede a livello internazionale. È sconvolgente come in Italia - a livello delle nuove normative - si possa pensare di dividere l’attività in internazionale, nazionale territoriale.

Roberto Toni --> Pubblico, commerciale, indipendente: siamo davvero sicuri che oggi possiamo attribuire loro ruoli, funzioni, identità, progetti differenziati?

Francesco De Biase --> Un ragionevole sguardo al futuro. Per nuove politiche culturali







Alessandro Bergonzoni con Velia Papa, Oliviero Ponte di Pino, Giovanna Marinelli (foto di Lorenzo Cimmino).



L'intervento di Alessandro Bergonzoni sul canale youtube di www.ateato.it.

L’indipendenza è ancora una virtù?

Gerardo Guccini --> La rete, lo stagno, il mondo: tre declinazioni simboliche sull’identità dei gruppi
L’identità a cui ci si riferisce è costituita dalla rete dell’insieme di relazioni che connettono la realtà culturale in un insieme di realtà culturali omogenee in un certo periodo. Sono in aumento le organizzazioni teatrali che trovano un senso di identità nel proprio settore di appartenenza: "Dove sto?", "Quali maestri seguo?" "Quali modalità di rapporto ho con la realtà?"
Eugenio Barba usava il termine: “ghetto”. Nel 1976, anno in cui scriveva, le realtà di gruppo avvertivano l’esigenza di un’apertura all’extrateatrale. Eppure Barba difende il concetto di ghetto come principio identitario, che non definisce “chi siamo”, ma “dove siamo”. Dentro o fuori. Ghetto come spazio distinto dal contesto. Il principio identitario rimanda all’immagine dello specchio, una realtà autoreferenziale che però si autodefinisce. Il mito di Narciso è il mito dell’io, ma anche il mito del doppio e il teatro è il luogo del doppio. A questo proposito ci sono due teorie e interpretazioni del mito: una rinascimentale in cui Narciso rifiuta l’amore per essere completamente sé; e una junghiana che vede in Narciso il luogo dell’archetipo. Narciso si riflette e vede l’immobilità. A partire dagli anni 80 il rapporto con il mondo extra teatrale cambia, e comincia l’inclusione di altri mondi all’interno del teatro. Per esempio i carcerati, o extracomunitari che vengono inclusi in un lavoro teatrale di base identitario, volto all’individuazione di nuovi linguaggi.



Gerardo Guccini, Mimmo Sorrentino, Mimma Gallina, Elio De Capitani, Oliviero Ponte di Pino, Pietro Floridia (foto di Lorenzo Cimmino).

Elio De Capitani --> 13566 giorni di vita-nel-teatro
Finalmente, dopo 13566 giorni di vita della compagnia, ecco l’apertura di un nuovo teatro, L’Elfo-Puccini. Tre sale: Fassbinder, Shakespeare, Bausch.
Shakespeare perché porta con se il “moderno”. Anche in un teatro che fa ricerca sul contemporaneo non bisogna dimenticare l’epoca moderna, perché il contemporaneo non ha superato il moderno. Le tensioni e i temi sono comuni ad un arco di tempo molto più grande. Ciò che è stato non deve diventare passato in maniera troppo rapida. E’ sorprendente che si possa pensare – e si riferisce a un articolo recente di Renato Palazzi - che se uno spettacolo arriva a Milano sei mesi dopo il debutto, inserito magari nella stagione teatrale successiva, è già vecchio.
Ecco quindi perché Pina Bausch. Ovvero l’importanza del repertorio, che diventa il patrimonio che incarniamo, il patrimonio che è dentro l’attore, il lavoro che fa l’attore su se stesso non passa velocemente, ma si sedimenta nella sua memoria.
Infine Fassbinder artista e scrittore di cinema e teatro, che come maestro non ci ha lasciato solo prassi, ma un lascito scritto.
Tre nomi di altrettanti grandi artisti per raccontare il progetto di un gruppo.
Anche De Capitani vuole ricordare Claudio Meldolesi e con lui un altro grande maestro Brecht: il saggio Brecht regista di Meldolesi è uno di quei libri che possono cambiare la vita.

Stefano Pasquini --> Cultura e agricoltura
L’agricoltura e il teatro sono entrambe attività antieconomiche con unl’unica differenza: nessuno vuole fare l’agricoltore mentre il teatro vogliono farlo tutti.
Attraverso il finanziamento per l'attività agricola, una legge che finanziava l’attività di agriturismo, le Ariette hanno finanziato anche la propria attività teatrale. Nel 2002 l’agriturismo è stato chiuso.
La passione è una cattiva pratica. Dopo aver dato molto ad un territorio, dopo dodici anni il comune di Castello di Serravalle ci ha tagliato il finanziamento. Erano ben 5000 euro...
Ma anche in tempi di crisi bisogna continuare a radicare il proprio lavoro nel territorio, trasformare il lavoro teatrale insieme ai cambiamenti della società e cercare nuove prospettive. L’agricoltura ci dà uno spunto: i contributi sono piccoli ma vi possono accedere tutti quelli che hanno i requisiti ovviamente in proporzione alla propria attività e questo dà la certezza del diritto e sottrae la valutazione del finanziamento alla discrezionalità. Ma nel teatro non è così ed è per questo che le Ariette non hanno mai fatto richiesta di contributo al ministero.
Sarebbe ora di fare un po’ di sindacalismo. I francesi hanno fatto saltare Avignone, in Italia non ce ne sarebbe il coraggio.

Pietro Floridia --> Lo spazio dell'indipendenza: tra le radici e l'altrove
Quando pensiamo qualcosa, crediamo di essere separati dall’oggetto della nostra analisi o critica, ma in realtà siamo dentro lo stesso gioco.
L’indipendenza non è legata solo alla propria ricerca, ma anche all’influenza del sistema. Dimenticarlo, sarebbe come pensare di poter scegliere quale aria respirare. Ulisse per interagire con il contesto e ascoltare il canto delle sirene senza rimanerne schiavo si fa legare all’albero della nave e dice ai suoi uomini di disattendere il suo ordine di slegarlo. Per interagire con il contesto senza rimanerne schiavi non basta pensare per sé, imbastire in maniera artigianale una serie di contrappesi che tirino in senso apposto al nostro per mantenerci in equilibrio. Paradossalmente mettere in discussione la propria identità come qualcosa di fisso.
L’indipendenza non è sciogliersi dai legami, ma scegliere da cosa dipendere, di quale sistema diventare parte. Il Teatro dell’Argine ha scelto di dipendere dal territorio, dalle persone normali che lo abitano, dalla comunità, ma non basta che le persone abitino uno stesso territorio per fare una comunità. Di questi tempi è come se la terra fosse friabile e mancasse l’acqua per amalgamare tutto. Ho sempre visto il pubblico come tante solitudini fino a quando non ho fatto la mia esperienza in Palestina in cui la comunità condivide, parla, tira fuori quello che si pensa.



Stefano Pasquini parla, lo ascoltano da sinistra Mimmo Sorrentino, Mimma Gallina, Elio De Capitani, Oliviero Ponte di Pino, Petro Floridia, Luigi Dadina (foto di Lorenzo Cimmino).

Luigi Dadina --> CISIM una casa del popolo a Lido Adriano
(intervene con Marco Cavalcoli di Fanny e Alexander)
Per fare teatro è indispensabile sapere di essere stranieri, per stare in gruppo bisogna sperimentare la solitudine. Ravenna è stata un po’ la capitale del teatro italiano contemporaneo giovane alla fine degli anni Settanta. Dopo quindi anni di lavoro, il Comune di Ravenna ha avuto l’intuizione di dare in gestione i teatri della città al Teatro delle Albe. Il 21/23 maggio ci sarà un piccolo festival e la città si popolerà di trenta gruppi di Ravenna, alcuni giovanissimi, di cui almeno dieci professionisti…Bello, bellissimo!
Ma c’è una perplessità: qual è il futuro per questi gruppi? Non potranno avere accesso ai finanziamenti. Un’ipotesi è quella di aprire una sede teatrale dove far convivere più compagnie e fare un’unica associazione per condividere l’organizzazione e mantenere ciascuno la propria identità artistica.
Un progetto complementare: Lido Adriano è un posto popolato da molti stranieri e gli italiani presenti sono a loro volto immigrati dalla Sicilia, da Napoli... Essere stranieri per essere curiosi per la vita degli altri. È una vocazione delle Albe lavorare con gli stranieri.

Massimiliano Civica --> La poetica dell'economia: indipendenza e mercato nelle loro interrelazioni
Direttore del Teatro della Tosse, stabile privato di interesse pubblico, Civica porta la testimonianza di due sistemi differenti.
Come regista di una compagnia di teatro di ricerca ho prodotto uno spettacolo con un solo attore, che si proponeva per cachet che andavano da un minimo di 400 euro fino a 1500 (ma al massimo ne ha ottenuti 1200). Questa politica era vincente riferendosi ai soggetti del teatro di ricerca quindi al proprio bacino di riferimento. Il costo dello spettacolo era conveniente ed è riuscito a girare molto. La presidentessa di un circuito teatrale estivo (il testo era un classico) ha visto lo spettacolo e voleva acquistare trenta repliche. Sono seguiti i contatti con i responsabili tecnico-organizzativi: lo spettacolo ha esigenze vicine a zero per montaggio, smontaggio e scheda tecnica.... Le trenta repliche sono state subito cancellate! Quello spettacolo non faceva lavorare tecnici, service, ecctera. Non era funzionale a quel sistema.
Quando sono stato nominato direttore del Teatro della Tosse, sono partito con l’atteggiamento ingenuo di chi vuole fare una politica culturale rigorosa. Parlando con molta franchezza al cda sostengo che i frutti del lavoro, e quindi del mio progetto, dovevano avere il tempo di maturare e di far cambiare il territorio... Diciamo dieci anni! Ma poi paradossalmente ho continuato a firmare contratti di tre mesi. Come si può fare programmazione se si ha un respiro settimanale?
La prima stagione programmata era decisamente improntata sul teatro contemporaneo di ricerca (Danio Manfredini, Saverio La Ruina, i gruppi giovani). Insomma, una programmazione da festival. A marzo non sono stati dati gli stipendi. Ho fatto qualche conto e osservato che sarebbero bastati 45 spettatori in più a sera per evitare quella situazione.
Per rimanere indipendenti bisogna rimanere aperti. Se avessi fatto scelte meno integraliste nessuno avrebbe dovuto rinunciare allo stipendio. Come neo direttore pensavo di dover mettere da parte per quel triennio la mia attività di regista, per non essere uno di quei direttori che si producono i propri spettacoli, ma ho subito solo critiche per questa scelta.
Un altro semplice conteggio: scegliendo una compagnia giovane che costa 4000 euro ne incassavamo 2000, mentre uno spettacolo con Peter Brook, che costava 9000 euro, avevo un disavanzo di soli 1000 euro, perché la sala era piena.
Non è semplice riuscire a trovare una propria legittimazione anche di fronte al grande un pubblico. E d’altronde le compagnie di ricerca non conoscono il pubblico delle signore impellicciate (che incredibilmente si rigenera). La domanda che mi pongo è: sono in grado di comunicare a tutti? No: mi sto rivolgendo solo a un 20% del pubblico. E in ogni caso non riesce a cambiare il sistema. L’unica soluzione è lavorare per un teatro d’arte popolare, mantenendo una propria dignità ma parlando a tutti.
Ho vinto l’Ubu con Il mercante di Venezia non perché questo spettacolo fosse più bello dei precedenti, ma perché questo premio si inserisce nella tradizione - pur essendo di ricerca - e un titolo come quello ermetteva di conciliare i due sistemi.



Mimmo Sorrentino, Mimma Gallina, Elio De Capitani, Oliviero Ponte di Pino, (foto di Lorenzo Cimmino).

Mimmo Sorrentino --> Dalla Buona Pratica alla Buona Teoria? E ritorno?
L’hanno scorso ho presentato alle Buone Pratiche il mio metodo di “teatro partecipato”. Da allora la mia esperienza è maturata, ma soprattutto si è sviluppata la necessità di analizzarla ed è nato un libro, con la postfazione di Oliviero Ponte di Pino. La riflessione, il confronto, le domande che il libro ha innescato, il libro stesso, hanno generato legittimazione e ampliato la rete dei soggetti interessati al mio teatro.

On. Emilia De Biasi --> Un commento alla mattinata
Forse di una legge per il teatro in effetti non c’è bisogno: se fosse solo una questione di finanziamenti, basterebbero i regolamenti ministeriali, anche se in un sistema discrezionale.
Ma l’art. 1 del nuovo disegno di legge dice che lo spettacolo dal vivo è una parte essenziale del patrimonio italiano ed europeo. È questo lo scopo principale della legge: un passo in avanti, uscire fuori dallo steccato. E’scandaloso che lo stato destini alla cultura lo 0,3 del PIL in un paese che secondo l’Unesco possiede il 52% del patrimonio mondiale. L’on. De Biase – cofirmataria del disegno di legge “bipartisan" - precisa di non condividere la linea del governo, e crede che il parlamento debba riappropriarsi della sua potestà legislativa (mentre attualmente si va avanti solo con decreti legislativi emanati dal governo). Il disegno di legge è il risultato di una mediazione. Il sistema dei finanziamenti FUS non funziona, ma cosa si può fare?
Il 60% del FUS è risucchiato dalle Fondazioni liriche sinfoniche dove davvero dovrebbe esserci un maggiore rapporto tra pubblico e privato. Bisogna favorire le defiscalizzazioni senza le quali non è possibile incrementare l’apporto dei privati.
Rimpinguare il FUS. Individuare altre risorse. E’ necessario introdurre una distinzione precisa tra amatorialità e professionismo, con fondamentali ricadute fiscali e assistenziali.
L'on. De Biase recepisce il suggerimento di introdurre i “bilanci di responsabilità sociale” (proposta Calari) da parte dei teatri. Le legislazioni devono essere leggere e si deve riconoscere una funzione pubblica anche al privato. La cultura deve essere una zona franca. E’ da respingere il punto di vista per cui ci sono due o tre eccellenze, poi tutti uguali e pezzenti. Bisogna fare in modo che i finanziamenti si moltiplichino e creino uno scorrimento dei soggetti, contribuiscano a togliere la casta. Non va confusa l’identità, l’autonomia artistica, con la legge, che si limita a emanare dei parametri.



L'intervento di Emilia De Biasi: ascoltano attenti Elio De Capitani, Mimma Gallina, Oliviero Ponte di Pino (foto di Lorenzo Cimmino).

Il teatro come funzione pubblica: produzione, programmazione, distribuzione

Mimma Gallina introduce la sessione ricordando le posizioni sul progetto di legge già espresse su ateatro(L'ultima nuova legge di Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino), e in particolare la convinzione della necessità di un teatro pubblico – e di istituzioni pubbliche che funzionino - anche se molti, teatri pubblici di certo funzionano male. Gli interventi affrontano la funzione pubblica senza separazione fra produzione, distribuzione e gestione delle sale nella convinzione che questi tre ambiti vadano ricondotti alla stessa logica; si alternano quindi direttori di teatri stabili pubblici e di circuiti e si illustrano esperienze di particolare interesse collegate alla gestione dell’attività teatrale nelle città e alle politiche delle amministrazioni pubbliche.

Raimondo Arcolai --> Un teatro stabile pubblico nella regione (Marche) dei 100 teatri
Il Teatro Stabile delle Marche ha dato vita a un programma artistico dinamico, ragionando su base triennale con Carlo Cecchi. La scelta di un artista di riferimento (che ha formato una generazione di attori e registi), ha portato buoni risultati. Nel corso degli anni si è inoltre messa a punto una modalità di lavoro con il Circuito, basata sul buon senso, evitando meccanismi di monopolio. C’è stata collaborazione su alcuni progetti, ma nella massima autonomia. Inoltre riteniamo che la nostra funzione sia anche quella di cercare artisti giovani e offrire, o sostenerli o suggerire opportunità di lavoro, come è stato per il concorso Nuove Sensibilità (ETI) e altri. I teatri stabili devono tornare alla funzione principale, quella di produrre spettacoli. C’è una dinamica invasiva della politica insopportabile: in particolare la politica decide i direttori senza nessun riguardo al merito e alle competenze.

Gilberto Santini --> Diventare ciò che siamo: organismi di formazione del pubblico
Prima consulente, attualmente direttore del circuito Amat (Associazione Marchigiana Attività Teatrali), conferma la concordia di obiettivi con il teatro stabile della regione, un accordo basato sulla chiarezza e la distinzione delle funzioni: c’è soggetto per la produzione, e uno per la formazione e distribuzione. Avevamo inventato la “produzione leggera” (era stata una delle “buone pratiche” della prima edizione), oggi il Ministero ha escluso qualunque forma di produzione, affossando di fatto quelle esperienze (anche se raccomanda la commissione di testi originali!).
Si sofferma sul compito di formazione del pubblico (associato a quello della distribuzione). La nostra organizzazione è fondata da Regione, Province e comuni (ben 83): un organismo così legato ai luoghi non può limitarsi alla distribuzione, deve ragionare sui meccanismi di conoscenza, rendere meno occasionale il rapporto tra amministrazioni, operatori e artisti, e spesso non è semplice il confronto con gli assessori alla cultura.
E’ compito della distribuzione trovare modi intelligenti perché un lavoro trovi le sue strade. Quello che si può sperare è di avere dei recinti, delle zone franche in cui costruire progetti di una qualche durata. Lo spazio per la ricerca va annullandosi. La formazione del pubblico dovrebbe andare in due direzioni: da un lato rivolgersi agli amministratori, un vero e proprio corso di formazione per gli amministratori pubblici (e chiedo ai critici di non inventarsi sempre una nuova generazione, quando ancora non si è finito di spiegare il lavoro delle precedenti, e aumentando il rischio di scomparsa delle compagnie), dall’altro essere finalizzata ad un apporto non occasionale con lo spettatore (ci proviamo con il progetto “Scuola di platea”, rivolto alle scuole, con giovani esperti che si stanno formando e incontrano anche i Cral e i centri anziani.



Da sinistra, Oliviero Ponte di Pino, Mauro Boarelli, Raimondo Arcolai, Mimma Gallina, Ilaria Fabbri, Maria Grazia Panigada, Gilberto Santini e, in prima fila, Fabio Bruschi (foto di Lorenzo Cimmino).

Ilaria Fabbri --> Il sistema quale orizzonte dell'intervento pubblico della Regione Toscana
La Regione Toscana ha appena approvato il testo unico per la cultura. Per delineare le linee di un nuovo assetto si è utilizzata l’opportunità offerta dal Patto Stato-Regioni: il progetto finanziato, era infatti dedicato all’analisi e messa a sistema delle diverse organizzazioni sul territorio.
Il metodo privilegiato è stato quello della concertazione: la Regione ha individuando nei territori soggetti attuativi si cui si potessero far convergere i finanziamenti (il processo è andato avanti anche nel 2009, in assenza di contributi statali, grazie all’aiuto della Fondazione Monte dei Paschi di Siena). In particolar si sono cercati interlocutori territoriali che da sempre si occupano dei giovani per configurare possibili sistemi “alternativi”.
La scelta è stata quella di valorizzare le “residenze”: una modalità operativa che consente di riavvicinare i territori e il pubblico (forme di stabilità leggera come cerniere col pubblico). La legge rafforza inoltre una linea distributiva “intelligente”: si cerca di costruire un modello distributivo che limiti le politiche localistiche e favorisca forme di progettazione comune.
Anche il progetto “lirica per l'infanzia” va in questa direzione. La principale caratteristica innovativa della legge riguarda quindi: la centralità dell’intervento pubblico, per il pubblico, l’aggregazione, la triennalità dei finanziamenti.



Gilberto Santini, Mimma Gallina, Ilaria Fabbri, Maria Grazia Panigada, Raimondo Arcolai, Patrizia Coletta (foto di Lorenzo Cimmino).

Patrizia Coletta --> Distribuire o diffondere? Clientele o clienti?
Vorrei cambiare il punto di vista: da pubblico inteso come “servizio pubblico”, a pubblico come “persone”. Il nostro circuito (quello piemontese), è rinato dopo un periodo critico: commissionamento, azzeramento del contributo ministeriale.
Ma l’ultimo bilancio consuntivo (2009) presenta numeri inequivocabili per definire il concetto di “cliente”: le risorse derivano per il 41% dalla Regione Piemonte, solo per l’1,55% dal Ministero (quasi solo uno sponsor da citare sui materiali promozionali), per il 37% dai comuni e per il 21% dal pubblico. Nel 2007 il pubblico contava per il 13%.
Abbiamo un vantaggio: non facciamo un teatro “dell’obbligo”, dobbiamo convincere i finanziatori a continuare a finanziarci e siamo costretti a fare spettacoli che parlino a quelle comunità. Il pubblico non è stupido, e possiamo contare su un ulteriore vantaggio: la città di Torino e il grande fermento artistico che la caratterizza. Abbiamo un pubblico che ormai si muove, i circuiti non fanno “decentramento”, cercano di interessare il pubblico e far sì che il pubblico torni. Stiamo anche cercando di uscire dai teatri, per coinvolgere i giovani, utilizzando spazi/situazioni giovani, che si trovano “fuori” dai teatri. Si sono inoltre aperti spazi di dialogo con tutti quelli che ci sembra stiano lavorando bene in regione, tra cui il festival delle colline.

Mauro Boarelli --> Pubblico, privato e altro ancora
Funzionario del Comune di San Lazzaro, racconta l’esperienza che ha portato all’attuale forma e linea di gestione del teatro. Tutto è cominciato a tredici anni fa: si trattava di inventare qualcosa che non esisteva.
Il primo punto è stato: un nuovo teatro per tutti non ospiterà di tutto. Non sarà un contenitore generico, dove appiattire offerta, o per un’offerta commerciale. Si tratta di un servizio pubblico (non è scontato scriverlo né perseguirlo).
Si sono definiti poi altri punti fermi: che fosse un teatro di produzione, si doveva legare il territorio a una scelta produttiva. Che si occupasse della formazione del pubblico in modo costante: il pubblico frequenta questo posto in modo critico. Che perseguisse un rapporto equilibrato tra la fidelizzazione e l’apporto nuovi spettatori e sviluppasse la capacità di attrarre con progetti specifici segmenti di pubblico diversi.
E’ un modello in evoluzione, che può rafforzare il ruolo anche progettuale della pubblica amministrazione (il comune gestisce direttamente alcuni progetti) e mantenere l’indipendenza delle realtà teatrali.

Maria Grazia Panigada ---> Alla ricerca di un’armonia: le radici di una scelta
La relazione parte dall’esperienza di responsabile della programmazione del teatro Donizzetti di Bergamo e di direzione artistica della rassegna Altri percorsi.
Uno dei doveri principali di un teatro pubblico è l’inclusione. Il pubblico deve diventare parte delle scelte, della vita del teatro. Fare programmazione qualificata, girare e vedere tanto teatro non basta: si deve riconquistare un ruolo per il teatro nella polis, crei identità. E’ necessario che il teatro detti le politiche culturali della città. Un vantaggio delle edizioni Altri percorsi negli ultimi anni è stato quello di darsi un tema, diverso per ciascuna stagione. I progetti partiti intorno al tema dello straniero per esempio hanno stimolato 31 progetti laboratoriali (sempre italiani e stranieri insieme, non laboratori per soli stranieri). Sono stati coinvolti - chiamati a concorrere a questo indirizzo - musei, assessorati non solo alla cultura, compagnie, associazioni... Tutti insieme a lavorare su unico tema, creando sinergie e promuovendo cultura diffusa. Non quindi nella direzione dei grandi eventi finalizzati ad una visibilità immediata (che arriva lo stesso), ma ricerca di senso.
Anche le compagnie sono state quindi stimolate a sperimentare linee di lavoro che, da sole, non avrebbero svolto. Si è quindi inteso il teatro come luogo comune, un progetto globale. Creare teatro diffuso è stato anche l’obiettivo del Carnevale: in questo caso i gruppi venivano provocati da un artista, stimolati a creare un progetto di piazza. Il risultato è stato anche un aumento degli abbonati! E di certo una maggiore vicinanza fra teatro e territorio. E’ significativo che molti di questi progetti abbiano voluto andare avanti autonomamente.



Il pomodoro, il peperone, la mela tengono il tempo mentre parla Maria Grazia Panigada (foto di Oliviero Ponte di Pino).

Interventi

Maria Merelli
(Presidente del Teatro Stabile Pubblico ERT)
A volte si attribuisce al Presidente di un ente come Emilia Romagna Teatro un ruolo politico/burocratico. Penso invece che il Presidente debba avere un’idea del suo teatro e dell’ orizzonte verso cui si muove. Concordo sull’importanza del pubblico come elemento fondativo del sistema teatrale del nostro paese. Penso che la missione dei teatri pubblici vada ridefinita per rispondere alla domanda di cultura delle cittadinanza e al bisogno di ridefinire il ruolo del teatro pubblico.
Nel corso di questi anni si è andata definendo per ERT un’identità progettuale, credo sia una necessità di tutti i teatri pubblici individuare la propria identità: un progetto culturale triennale trasparente che possa essere comunicato agli artisti, al pubblico e ai politici.
Certo, i consiglieri sono tutti di nomina politica, ma l’ autonomia è fondamentale e l’abbiamo sicuramente perseguira in un territorio come quello dell’Emilia Romagna. Fa parte dei miei compiti, come Teatro Stabile pubblico, quello di comunicare, convincere e educare i politici, ma è così che ci si radica nel territorio, non me ne lamento (nonostante la fatica di tessere relazioni con giunte che cambiano...), spesso siamo sottoposti a qualche pressione/suggerimento sulla programmazione (personaggi famosi..) e non me ne stupisco.
Esiste un protagonismo degli assessori che mira a creare - attraverso attività dirette - un tasso di consenso il più alto possibile. Ci siamo ritrovati a contrastare questa logica in questi anni, anche in considerazione delle risorse limitate.
Il cda di un teatro stabile deve avere un ruolo molto corretto di netta distinzione delle funzioni rispetto alla direzione artistica e organizzativa di un teatro. Penso che l’invasione di campo renda la gestione e il progetto culturale di un teatro confusi, instabili e incapaci di comunicare con le istituzioni e pubblico di riferimento. Non sono tuttavia per abolire i cda –come si è da qualche arte proposto- perché penso che svolgano un ruolo cerniera fra le istituzioni e, verso l’interno, con le proposte artistiche che il direttore con il suo staff porta avanti e che devono essere trasmesse e capite anche all’esterno.

Paolo Cacchioli
(Direttore Teatro Stabile Privato Nuova Scena / Arena del Sole)
I ritardi nella legge sono tendenzialmente colpa alle istituzioni e alla politica. Ma anche dei teatranti che, affidandosi troppo alle risorse pubbliche, hanno alimentato un sistema vizioso. Se non si riesca ad approvare un progetto davvero credibile, indipendentemente dal valore dei politici, sono meglio i decreti. Non è utile affermare in modo demagogico il ruolo del teatro, che va affermato invece come progetto, come necessità di costruire cultura su territorio. Bisogna richiamare le istituzioni a fare una scelta seria tra politica del consenso (eventi) e una politica di costruzione di cultura, in particolare rivolta ai giovani.



Maria Merelli, Mimma Gallina e Paolo Cacchioli (foto di Oliviero Ponte di Pino).

Verso un teatro geneticamente modificato: festival, centri, residenze, formazione

Paolo Ruffini --> I.R.A. indipendenza rispondenza arte
Parte dalla sua esperienza professionale, assieme di operatore e critico, e del punto di particolare vista che ne deriva. Il pubblico è importante. Ma per le generazioni giovani anche l’attenzione critica ed istituzionale è fondamentale. Ma è importante sviluppare una libertà di analisi critica indipendente dal sostegno pubblico e confrontarsi con diversi tipi di pubblico (nello specifico per Roma). Qualcosa sta cambiando in questi ultimi due anni, però è importante chiedersi come lavorare per e con il pubblico. Che cosa significa costruire il proprio esercizio artistico in funzione del pubblico? un pericolare ruolo possono svolgere organizzazioni che svolgono una funzionano di “intermediazione” e che creano un collegamento tra creazione artistica e pubblico.

Vito Minoia --> La forza generativa del teatro di interazione sociale
L’opportunità di pubblicare, a partire dal 2003, con sostegno di ETI, ha consentito di stimolare la riflessione e documentare il fenomeno emergente. L’area del teatro di interazione sociale, non è da considerare un territorio di serie B, vanno indagate e comprese le ragioni di esperienze che si aprono al mondo. Le contaminazioni di oggi corrispondo al II atto di un’antropologia teatrale (Giacchè), che “comprende” il diverso. Dobbiamo riflettere sulla concezione del teatro educativo e sociale, e del teatro tutto, che non può essere avulso dal carattere solidaristico e dalla persona come essere sociale (non votata al rendimento). Non considerare tutto in funzione dell’economia neoliberista è necessario per non perdere il filo rosso della ricerca. L’attuale situazione economica e politica ha determinato una caduta di ottimismo, e nei momenti di crisi è necessario tornare a interrogarsi sulla propria identità. La forma che Monodia suggerisce è quella di iniziative di un’autoconvocazione con cadenza annuale - come l’ultima dedicata a Meldolesi - che ci dovrebbe spingere ad essere più incisivi. Possiamo lanciare un appello per autoconvocazioni, con iniziative molteplici come molteplici sono i nostri teatri.
Credo che la distribuzione sia fondamentale anche perché ci sono tante esperienze poco conosciute, bisogna farle conoscere per evitare il pregiudizio (che si traduce nel fatto di considerarlo un teatro di serie B): dare più spazio alle esperienze di interazione sociale che possono offrire nuove prospettive al di là del neoliberismo.



Antonio Taormina, Vito Minoia, Sergio Ariotti, Enrico Casagrande, Massimiliano Cividati (foto di Oliviero Ponte di Pino).

Massimo Paganelli --> Perché lavorare sulle utopie
Il core business di Castiglioncello sono le residenze e il festival In Equilibrio. Le residenze sono foriere di ciò che vediamo nel festival e sono occasione per discutere nella comunità interessata al teatro. Il rapporto con la comunità teatrale è l’obiettivo che tutti perseguiamo, vorrei che si parlasse di una comunità che si muove attorno al teatro come mallevaria per parlare d’altro, detesto gli abbonati perché sono anime morte, detesto gli spettatori perché guardano in modo passivo e si specchiano.
La mia utopia è quella di garantire uno spazio agli artisti, pensando di fare qualcosa che sia utile all’arte per l’arte, mi dicono che sia un lusso e lo rivendico. A chi ha cose da dire artisticamente è giusto garantire uno spazio. Il pubblico non ci sarebbe se non ci fossero gli artisti. Gli artisti li sceglie il direttore che in quel momento si assume la responsabilità di far interagire e creare alchimie tra artista e territorio. Questo è l’obiettivo di chi ha a cuore il fare arte oggi in Italia. Non credo che sia giusto che tutti i cittadini vadano a teatro, ci deve andare chi lo desidera e a chi vuole andare per vedere Manfredini anziché Gassman deve essere garantito il diritto di vederlo.

Sergio Ariotti --> Un festival tra territorio ed Europa
Il Festival Colline torinesi esiste da quindici anni, siamo un associazione culturale indipendente che lo gestisce e ha rapporti con enti pubblici, senza scopo di lucro (non possiamo certo competere con Napoli Maciste). Nasciamo come progetto costruito con gli attori, progetto del giocare tra le linee, tra il pubblico, e soprattutto con gli artisti. Bisogna riuscire a portarli a realizzare i loro progetti.
Ogni spettacolo va costruito sul territorio perché non finisca come un fungo che non si sa cosa sia, se buono, velenoso o cos’altro. L’identità del Festival delle Colline è composta dagli artisti che ci sono venuti. Il direttore deve colloquiare con gli artisti nascondendo la sua natura artistica. Oggi si affaccia una nuova generazione di teatranti, con le idee molto chiare ma che va sostenuta e portata avanti perché non si disperda.
Il progetto Carta Bianca ha come obiettivo la distribuzione: portare artisti italiani in Francia e viceversa e sollecitare tavoli di confronto. In Francia i direttori di stabili si incontrano e confrontano, si parlano. La mancanza di tavoli è un deficit tremendo del teatro italiano, la mancanza di rapporto vero tra artisti e istituzioni. La marginalità del teatro italiano è una scemenza contro cui lottare. Non viviamo in un mondo di quartieri ma di grandi quartieri internazionali. Dobbiamo incazzarci per i tagli che continuano a essere una minaccia folle sul teatro italiano.

Enrico Casagrande --> Singolare/Plurale Santarcangelo 2009/2011
Come compagnia (Motus), i nostri lavori si vedono soprattutto nei festival più che nelle stagioni. Non credo nell’idea di un festival vetrina, che sia espressione di un insieme di spettacoli che vanno a comporre qualcosa che dovrebbe essere visto nelle stagioni teatrali. Le compagnie entrano in modo molto dialettico nella direzione del festival. Ego sum ego cum. Siamo tre compagnie, un insieme di artisti, e invitiamo artisti con un progetto per far si che all’interno di un contenitore riparta la sperimentazione, il dialogo e il rischio di qualcosa in divenire. Questa è la natura dei festival che vogliamo costruire. Stiamo cercando di rischiare su qualcosa di incompiuto che si pone delle domande che saranno ben visibili. Il progetto è transitorio, dura tre anni, quindi abbiamo solo tre colpi. Non abbiamo la bellezza della continuità.

Massimiliano Cividati --> Case, fra pubblico e privato (Etre)
Alcuni anni fa, 2002, Antonio Calbi disse: "Io guardando il vostro lavoro, vedo i segni di una ricerca a livelli diversi, quello che vi manca è la capacità di tradurre la ricerca estetica, artistica, in una pratica produttiva." Da allora non è successo molto ma a livello imprenditoriale un primo segno di qualcosa di nuovo sono i progetti di residenza declinati a livello nazionale in modi diversi. Anni fa un coordinamento indipendente di compagnie lombarde si presentò dall’assessore Zanello dicendo che avevano fatto più di 60.000 spettatori l’anno recedente, avevano lavorato in diversi comuni eccetera. Lui rispose che la sera precedente a Telelombardia aveva fatto 115.000 spettatori.
Con Fondazione Cariplo si aprì un tavolo di lavoro da cui è nato il bando che ha originato il progetto ETRE, da allora sono state assegnate in Lombardia -che come Regione non ha manifestato nessun interesse - 22 residenze che si sono associate in una rete. La dote economica che il bando ha messo a disposizione ha permesso alle compagnie di forzare la mano degli enti locali. Noi siamo qui da anni, voi avete uno spazio vuoto: la dote ha aperto un sacco di porte consentendo alle compagnie di insediare una stabilità leggera, caratterizzata da contaminazione e ascolto del territorio.
Le associazioni stanno cercando di condividere una serie di servizi e di coordinare una serie di attività in rete. La difficoltà costruire dei tavoli di lavoro maturi, senza narcisismi, mettendo il proprio ego da parte per coltivare un progetto comune. Nel 2009 abbiamo organizzato un piccolo circuito per consolidare delle pratiche e far conoscere le compagnie tra di loro. Nel 2010 organizzeremo un festival di tre settimane in cui ci saranno molte ospitalità anche internazionali. Nel 2009 abbiamo mandato quattro compagnie al Festival di Edimburgo e si sono creati rapporti internazionali.
Paradossalmente Zanello, cui abbiamo proposto di promuovere residenze per giovani compagnie, non lo accettà, perché in Lombardia ci sono già CRT e gli stabili di innovazione....

Fabio Biondi --> La rappresentazione dei luoghi

Maurizio Schmidt --> Paradossi della formazione tra teatro pubblico, commerciale e indipendente
Le scuole sono il luogo della genetica del sistema ma non possono essere il luogo di questa ibridazione perché sono troppo indietro. E’ una logica darwiniana, in un sistema che è refrattario alle nuove generazioni.
La Paolo Grassi diploma cinquanta persone all’anno, negli ultimi cinque anni tra tutte le accademie è altissimo il numero di giovani artisti che chiedono di essere avviati in un sistema che non li riceve. Il sistema produce disoccupati. C’è più offerta che domanda di formazione.
I giovani che si avvicinano al teatro si preparano a fare qualcosa che probabilmente non potranno fare o che comunque non potranno fare come l’hanno studiato. Di fronte ad un sistema così frastagliato tutta la formazione è propedeutica, è arretrata ed incompleta, manca il momento fondativo che è l’incontro con lo spettatore, che è il primo escluso dal sistema di formazione. All’estero non è così, con modalità diverse si recepisce il bisogno di formazione avanzata e lo si porta avanti. Ritengo che la grande assente delle strutture istituzionali di formazione sia la formazione continua.
Per formazione continua intendo quella applicata, non quella che avviene nelle quattro pareti di una scuola, è solo fuori che esiste il teatro. Questo quando i tempi contemporanei chiederebbero una grande specializzazione, proprio per la povertà del sistema produttivo.
Ci sono delle pratiche che non fanno sistema e che spero lo faranno. Alla Paolo Grassi abbiamo tentato di costruire uno studio permanente, incontrando la sordità della politica, l’opposizione ad una scuola aperta e internazionale.
Segnala un progetto di formazione di formatori che avrà sede a Venezia, con Vassiliev: bisogna uscire dall’idea che i formatori nascono per cooptazione.

Antonio Taormina --> Per un sistema della formazione dello spettacolo in Emilia-Romagna
La formazione dello spettacolo in Emilia sta attraversando un momento complesso che potrebbe portare a ripensare questo sistema nato all’inizio degli anni novanta, un sistema policentrico, suddiviso su molti soggetti che lavorano nel campo, una vera esplosione di enti di formazione ed imprese, enti accreditati come l’università che lavorano nel campo della formazione artistica e gestionale.
Diversi fattori avevano portato a questa scelta: in particolare l’attenzione e la condivisione delle imprese (ATER nasce per volontà di tre imprese), la presenza del Dams a Bologna. Questo progetto ha accompagnato l’evoluzione del sistema regionale, progetto nato dagli operatori sostenuti dalle istituzioni che pensavano si potesse convogliare una parte dei fondi dell’’Europa anche sulla cultura.
Oggi non si può parlare di buone o cattive pratiche ma solo di pratiche e tentare di fare qualche riflessione su cosa può significare fare formazione in questa regione. Sono da rivedere gli obiettivi (occuparsi di multiculturalismo, area del disagio, teatro carcere, teatro e handicap psichici....). Si tende a non finanziare più l’offerta formativa ma la domanda così come necessitiamo di strumenti per leggere un sistema e gli andamenti del mercato (gli osservatori culturali). Credo che si debba andare a tavoli unici, in cui siano presenti imprese, enti di formazione, istituzioni. Oggi c’è assenza di una programmazione a medio e lungo termine, serve condivisione strategie e obiettivi. La formazione è un investimento, non un costo. Anche per gli enti di formazione si sta ripartendo dal bilancio sociale.



Maurizio Schmidt e Antonio Taormina (foto di Oliviero Ponte di Pino).

Le Buone Pratiche degli incontri, delle reti e delle aggregazioni, del movimento, della formazione del pubblico e dei premi

Il protrarsi degli interventi oltre i tempi previsti limita il tempo dedicato alle buone pratiche, c’è un po’ di stanchezza e alcuni partecipanti hanno problemi di viaggio.
Non ci si sofferma a precisare i criteri di scelta e accorpamento delle pratiche prevenute (indicati genericamente nel titolo), quasi tutte documentate sul sito.
Ma l’attenzione si ri-compatta con una platea un po’ diradata ma particolarmente interessata ad ascoltare specifiche esperienze.
Ex post, è stato interessante cogliere la corrispondenza fra alcuni temi ricorrenti negli innterventi e linee introno a cui si erano composte le Buone Pratiche: l’importanza di individuare e sperimentare modalità di lavoro aperte alle differenze e alle comunità multiculturali, tese a “includere” (un termine che è tornato spesso). Nuove strade per “unirsi”, fra compagnie e esperienze di “dimensioni” e magari anche “poetiche” diverse, o impegnarsi, nello studio – nel cercare di capire - o nella resistenza. E il pubblico: protagonista indiscusso della giornata, e nuovi possibili modi di dialogare, informare, aggregare. Alcune comunicazioni riguardano infine l’evoluzione di buone pratiche illustrate nelle edizioni precedenti.

Gianni Berardino, Angelo Romagnoli per Scuola Superiore Santa Chiara/Università degli Studi di Siena --> Playing Identities: creolizzare la pratica teatrale

Massimo Luconi --> Ritorno in Senegal: dalla formazione alla produzione di uno spettacolo nel sud del Senegal
Punto di ritorno di una buona pratica. Alle buone pratiche di tre anni fa era stato presentato un progetto di formazione/produzione in Senegal su tre anni. Qesto percorso positivo si è concluso con lo spettacolo Quando spuntano le ali allestito in Italia, con anteprima alla Paolo Grassi e residenza precedente in un piccolo paesino della Toscana. In Senegal è stato selezionato un gruppo di giovani (50 circa) per attività di formazione in ambito artistico ma anche organizzativo e tecnico. Lo sbocco è stato un master all’Uni Bicocca di Milano, i senegalesi hanno lavorato producendo lo spettacolo con un budget bassissimo (4000 euro in tre anni). C’è stato una tournèe in Senegal: quattro date, che ha dato forza alla compagnia che si è costituita (un po’ fragile dal punto organizzativo, ma forte dal punto di vista creativo).

Marinella Manicardi --> Moline/Arena in cinque minuti
A metà del 2005 mentre si stava programmando la stagione 2005/06 si sapeva che sarebbe stata l’ultima stagione del Teatro delle Moline, uno spazio di 50 posti esistente dal 1973 che ha prodotto 50 spettacoli: un’esperienza molto bella, e prima di chiudere il teatro si è deciso di parlarne con un teatro più grande. Si sono considerate due possibilità in regione: l’Ert (un teatro pubblico) e l’Arena del Sole (stabile privato). Ma parlare con Modena significava mettere in crisi i rapporti con Bologna, quindi è venuto naturale parlarne con l’ Arena del Sole. Prima ancora si era pensato di fare una alleanza tra teatri piccoli ma l’idea è naufragata. Il bilancio delle Moline era in pareggio e quindi l’Arena non ha trovato ostacoli, si è ceduta l’attività, il repertorio e tutto quello che esisteva del Teatro delle Moline e tutto è stato preso in carico da Arena del sole dopo aver consultato tutti qli enti che partecipavano al finanziamento delle Moline. Tutti dicevano che saremmo stati schiacciati invece le Moline resistono, c’è libertà produttiva, mezzi e visibilità molto superiore rispetto al passato, non c’è la condivisione ideale di una volta, ma l’esperienza è sostanzialmente positiva.



Marinella Manicardi (foto di Lorenzo Cimmino).

Emanuele Valenti --> Lavori in corso a Punta Corsara
Fino a dicembre 2009 Renzo Martinelli e Debora Pietrobono avevano la direzione di Punta Corsara, insieme ai 15 ragazzi che si sono formati nel corso di due anni. (Emanuele Valenti, che del gruppo che ha lavorato in questi anni fa parte, “prende il testimone”: è questa alternanza programmata che si propone come buona pratica).
A Scampia si è ricreata l’idea del teatro delle Albe: parola d’ordine trasversalità, creare qualcosa e mettere radici. La formazione ha riguardato 22 ragazzi, diventati successivamente 15. Si è lavorato all’interno dell’Auditorium di Scampia, precedentemente abbandonato per 22 anni, e utilizzato con un’agibilità straordinaria (forse ora i lavori possono cominciare). Il senso del progetto è quello di mischiarsi, di cercare delle relazioni anche impossibili. Formazione come “non scuola”, un incontro con poetiche, modi di immaginare il teatro. Anche l’incontro con le compagnie ospitate va in questa direzione, spettacoli che potessero “sporcarsi”: così i ragazzi di Scampia si sono inseriti per esempio in uno spettacolo dei Motus, le scuole di danza del quartiere sono diventate luogo aperto, non si pratica l’esclusione e è possibile vedere bande di ragazzini che vanno a vedere Scimone-Sframeli o Manfredini.

Gli Omini e Massimiliano Civica > Compagnia... Attenti!
Gli Omini è un gruppo del tutto autonomo e autoregolamentato, finché l’anno scorso Massimiliano Civica ha propostr ai quattro attori che lo compongono di far parte della sua nuova produzione. E’ un'esperienza nuova: per le giovani compagnie è difficile campare, ed è inusuale che una struttura più impegnativa la prenda “in toto” per inserirla in una produzione, lasciando margini di libertà, garantendo una visibilità diversa, e anche un compenso adguato.
Alla base il rapporto di reciproca stima: dopo essere stati ospiti alla Tosse per due anni, in occasione di una festa, è scattata la scintilla.
La scelta per Civica è: prendere un gruppo che ha una propria identità e traghettarla in una situazione più ufficiale, un’esperienza nuova, in particolare per il Teatro dell’Umbria, produttore dello spettacolo, che raccoglie 13 persone senza “nome”, ma che portano la dignità e l’esperienza della propria ricerca: un modo di riconosce subito a dei giovani la propria professionalità.



Riccardo Goretti (foto di Oliviero Ponte di Pino).

Davide D’Antonio e Agostino Riitano (Teatri della Contemporaneità) --> Un punto di non ritorno. La pratica costruzione dell'impossibile

Dal 21 al 31 luglio 2009 una serie di operatori si sono riuniti per un convegno. E’ emerso che esistevano molti punti in comune, collegati dalla “contemporaneità”. Si è cercato di sviluppare un progetto a tappe, con tavoli di lavoro su tematiche specifiche, aggregando le persone coinvolti in una sorta di associazione informale e trasversale, con soggetti che vanno dal teatro di piccole dimensioni, a residenze, a festival e cercano di lavorare insieme sui temi della produzione e della distribuzione.
Si è formato un gruppo di 26 operatori sui 100 riuniti inizialmente, che si sono riuniti a Castiglioncello, al Teatro Furio Camillo, e prossimamente a Milano e Campsirago. Ci si è divisi in quattro sottogruppi che lavorano su tematiche complesse: identità e creazione di un manifesto, analisi di proposte per nuovo modello di finanziamento, realizzazione di un codice deontologico degli operatori, analisi di proposte per tutelare la fragilità del teatro contemporaneo.

Enrico Pittaluga (Studenti Paolo Grassi) --> Preoccup-azioni in Paolo Grassi
Nel mese di luglio la Fondazione Scuole Civiche di Milano ha deciso di non rinnovare il mandato al direttore della Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi, Maurizio Schmidt; l’assurdità dei tempi e delle modalità di assunzione e comunicazione della scelta è a maggior ragione grave considerando che l’operato del direttore era particolarmente gradito e condiviso dagli studenti e dalla maggior parte dei docenti. La reazione degli studenti è stata decisa e attiva: in particolare, nel periodo di sostegno alla ricandidatura di Schmidt, si è programmato un vero e proprio festival, con più spettacoli a sera, e momenti di incontro con personalità del teatro milanese. La lotta è così diventata un momento formativo e di grande confronto, rafforzando e la convinzione degli studenti sulle proprie ragioni e arricchendo la loro esperienza, tanto in termini culturali, che politici che organizzativi.

David Spagnesi, AmniO e Teatro Moderno di Agliana (PT) --> Cambio Palco 2010: dalla rete distributiva alla rete di residenze
Si racconta l’evoluzione di una pratica illustrata in una precedente edizione. L’idea era quella di creare un circuito fra gruppi giovani, con e senza sede. Si è organizzata inizialmente una settimana di incontri fra molte e diverse realtà. Da lì era nata l’idea di costruire una storia, uno spettacolo “condiviso”: un’esperienza realizzata insieme, ma con autonomia artistica. Poi è successo che l’amministrazione comunale di Agliana ha ristrutturato il teatro cinema e l’ha affidato al gruppo promotore di questi incontri, Amnio (il nome richiama la veste con cui nascono alcune volte i bambini, quelli nati con la camicia appunto: e siamo in effetti stati fortunati). Ora è intenzione del gruppo far crescere l’esperienza di Cambiopalco in residenza, e mettere altre residenze in rete.

Rosi Fasiolo --> Teatronet: oltre i circuiti
Teatronet lavora a questo progetto da quattro mesi. Nel 2006 l’iniziativa è nata come un circuito nazionale dedicato al nuovo teatro di ricerca a cui si può accedere associandosi e organizzando spazi e compagnie. Si sono inoltre organizzati incontri a tema che esplorano i rapporti fra teatro e filosofia, ambiente, economia: argomenti connessi al teatro anche se diversi. Il tutto senza sovvenzioni pubbliche.
Il nuovo progetto riguarda ipotesi di “residenza” per le compagnie socie, secondo il seguente schema: si fornisce vitto, alloggio e spazio alle compagnie selezionale (10) che ruotano ogni 15 giorni su 3-4 spazi, allargare le esperienze a diverse zone, al termine lo spettacolo sarà una coproduzione tra spazi e luoghi di residenza e circuiterà in forma non retribuita solo negli gli spazi ospitanti. L’obiettivo è creare una linea di continuità tra produzione distribuzione, promuovere il piccolo produttore e far girare spettacolo su un vasto territorio. La responsabilità del finanziamento del progetto è demandata agli spazi che dovranno verificare le disponibilità economiche sul proprio territorio.

Cristina Palumbo --> Educare all'arte scenica contemporanea ragazzi e giovani. Giovani a Teatro-esperienze di Fondazione di Venezia
Giovani a teatro è una semina che Fondazione Venezia ha avviato alla ricerca di una propria specifica funzione e identità nel campo della formazione del pubblico a teatro. Il programma offre opportunità di formazione culturale della persona, permette di verificare convinzioni, valori e ipotesi. Principi del progetto sono: l’opera è parte del percorso di conoscenza, insinuare il dubbio che la formazione possa essere anche nel godimento dell’opera, nell’incontro con gli artisti, i media, i mediatori culturali, connettere i saperi con i cittadini. Il primo stadio è stato prendere in considerazione l’offerta teatrale del territorio, proponendo la prenotazione attraverso call center e prezzi particolarmente contenuti (e questa pratica è stata percepita dal sistema come una competizione). L’approccio esperienziale è stato il secondo stadio, ovvero l’incontro con gli artefici (Brie, Tarantino, Manfredini...). Una nuova sezione è “Portare Sapere” e consiste in percorsi dedicati rivolti agli insegnanti. La settimana sulla drammaturgia –caratterizzata da diversi approcci drammaturgici- è stata frequentata da 1500 ragazzi.



Le Buone Pratiche: la parola a Cristina Palumbo (foto di Lorenzo Cimmino).

Francesca Napoli --> Una buona pratica dalla musica: gli Amici di Sentieri selvaggi, dalla community all'autofinaziamento
Nata nel 1997 per diffondere la musica contemporanea, l’associazione Sentieri Selvaggi produce e ospita una stagione. Dopo 10 anni, grazie al bando Cariplo per il miglioramento gestionale, si è messo a punto un pacchetto di benefit e proposte rivolte ai sostenitori: dalla riduzioni del prezzo del biglietti, agli approfondimenti (come per esempio condividere momenti di incontro e lavoro con i compositori). Il programma ha consentito di ampliare il bacino di pubblico e creare una comunità di 60 sostenitori. Sono stati raccolti 12.000 euro, pari la 10% del bilancio dell’associazione

Riccardo Carbutti --> Risorse video per la promozione del teatro e delle arti performative
Si parte dal punto di vista dello spettatore curioso, che va alla ricerca di spettacoli e suggestioni nuove, anche da parte di compagnie momentaneamente “invisibili”. Il progetto consiste nella creazione di una piattaforma video dedicata alle compagnie invisibili – appunto - che vogliano apparire. Le compagnie trasmettono mail e richieste e non si ha alcuna possibilità di verificare se uno spettacolo può interessare o meno. La piattaforma è indirizzata a teatri, festival, agenzie di distribuzione, circuiti e consiste in qualche minuto di video e scheda sintetica dello spettacolo. Il progetto verrà sperimentato a giugno e avviato a partire da da settembre.

Valeria Ottolenghi --> Il Premio Nico Garrone: gli artisti premiano i maestri
L’idea di questo nuovo premio, dedicato al critico scomparso, consiste nella individuazione e premiazione di “maestri”. Saranno le compagnie a indicare i critici che le accompagnano, anche nomi poco noti ma importanti per loro. Si tratta di raccogliere i nomi dei critici e farli avere ai teatri e festival italiani perché possano essere invitati: è importante il ricambio artistico e estetico ma anche lo sguardo dei critici si deve rinnovare.

Valentino Ligorio --> Premio Knos: cercare il filo / verso il centro del discorso

Elena Lamberti (per Festival Voci di Fonte) --> Il Premio Lia Lapini, un progetto di accompagnamento per giovani compagnie

Elena Guerrini --> Il Festival del Baratto
Si tratta di un Festival in Maremma, in un paesino dove non c’è teatro, il paesino dei nonni: è un progetto basato sul baratto, il pagamento avviene in natura, non è monetario. All’inizio un festival senza patrocini e senza sovvenzioni, totalmente indipendente.
Oggi le compagnie ricevono un rimborso spese monetario - 200-300 euro - più l’incasso che è tutto in natura: vino, formaggi, salami.... Il periodo è in bassa stagione – la seconda settimana di settembre - e, in un paesino di quattromila abitanti, ci sono in media cento spettatori a sera, si portano la sedia da casa, non ci sono tecnologie o scenografie, per gli oggetti di scena, si cercano nelle case e si scelgono al momento.
 


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
Se cerchi (e se vuoi comprare) su ibs un libro o un autore di cui si parla in questa pagina
 
Titolo:
Autore:
Editore:
Argomento:
Esegui la ricerca: