ateatro 125.7 BP2010 Il documento di convocazione con l'elenco degli iscritti di Redazione ateatro
A voi, culturame parassitario vissuto di risorse pubbliche che sputa sentenze contro il proprio Paese! (*)
A voi, attori e attrici, artisti e commedianti, registi e teatranti, cantanti e cantautori, servi e accattoni, sempre pronti a genuflettervi e inchinarvi davanti al politico! (**)
A tutti voi, culturame genuflesso, è dedicata la nuova edizione delle Buone Pratiche.
A tutti voi, che amate il teatro, che vivete di teatro e che cercate di fare il migliore teatro possibile e di farlo conoscere, le Buone Pratiche offrono un’occasione di incontro e di riflessione.
Non potete mancare!
Ci vediamo a Bologna il 13 febbraio!
Vi aspettiamo tutti, perché le Buone Pratiche - libere, indipendenti, autogestite e autofinanziate - arrivano alla sesta edizione.
E noi abbiamo moltissimo da dirci e invece le occasioni di confronto e di approfondimento si sono fatte sempre più rare e preziose...
1. Nelle precedenti edizioni delle Buone Pratiche...
BP01
Nel 2004 a Milano abbiamo messo a punto il progetto delle Buone Pratiche, per proporre possibili modalità di sviluppo del teatro e nuove reti di collaborazione.
BP02
Nel 2005 a Mira, parlando di Il teatro come servizio pubblico e come valore, abbiamo lanciato la parola d’ordine L’1% del PIL alla cultura.
BP03
Nel 2006 a Napoli il cuore della riflessione è stata La questione meridionale a teatro.
BP04
Nel 2007 a Milano abbiamo gridato Emergenza!: da un lato il progressivo strozzamento dei finanziamenti e la (prevedibile) crisi del settore, dall’altro la necessità di valorizzare e far emergere i nuovi talenti, con un focus sulla formazione.
BP05
Nel 2008, sempre a Milano, riflettendo sulla possibile Fine del nuovo teatro in Italia, abbiamo fotografato Lo spettacolo dal vivo ai tempi del grande CRAC, con grande attenzione al ruolo dello spettatore.
In questi anni sono intervenuti alle Buone Pratiche centinaia di teatranti, operatori dello spettacolo, amministratori locali, critici e studiosi. Tra gli altri:
Carmelo Alberti, Giancarlo Albori, Paolo Aniello, Raimondo Arcolai, Mirko Artuso, Claudio Ascoli, Natalino Balasso, Patrizia Bartolini, Lisa Bellini, Alfredo Balsamo, Silvio Bastianchic, Matteo Bavera, Teresa Bettarini, Fabio Biondi, Roberto Biselli, Stefano Braschi, Claudio Braggio, Antonio Calbi, Angela Calicchio, Giovanna Capelli, Felice Cappa, Marco Cavalcoli, Ruggero Cara, Giulio Cavalli, Carlo Cecchi, Stefano Cipiciani, Nicola Cremaschi,, Andrea Cortellessa, Giovanna Crisafulli, Angelo Curti, Ninni Cutaia, Danny Rose (Domenica, Maura e Veronica) Francesco De Biase, Filippo Del Corno, Serena Deganutto, Corrado D’Elia, Linda Di Piero, Franco D’Ippolito, Andrea Di Stefano, Agnese Doria, Claudio Facchinelli, Valentina Falorni, Silvia Fanti, Rosi Fasiolo, Edoardo Favetti, Manuel Ferreira, Marco Filatori, Pietro Floridia, Federica Fracassi, Bruno Fornasari, Angela Fumarola, Rachele Furfaro, Adriano Gallina, Monica Gattini, Clara Gebbia, Salvatore Gennuso, Patrizia Ghedini, Gigi Gherzi, Marco Giorgetti, Carmelo Grassi, Daniela Gusmano, Davide Jodice, Rocco Laboragine, Elena Lamberti, Saverio La Ruina, Walter Leonardi, Sergio Longobardi, Massimo Luconi, Roberto Magnani, Erica Magris, Roberto Marcato, Laura Mariani, Luigi Marsano, Marco Martinelli, Fabio Masi, Andrea Maulini, Claudio Meldolesi, Daniele Milani, Giangilberto Monti, Massimo Munaro, Fabio Navarra, Alina Narciso, Cristina Negro, Roberta Nicolai, Cosetta Nicolini, Renato Nicolini, Daniela Nicolò, Elisa Noci, Marcella Nonni, Nicola Oddati, Valeria Orani, Franco Oss Noser, Sara Panattoni, Massimo Paganelli, Riccardo Pastorello, Emanuele Patti, Mario Perrotta, Ottavia Piccolo, Antonia Pingitore, Giuseppe Provinzano, Progetto Pul (Carolina della Calle Casanova, Sarah Chiarcos, Paolo Giorgio, Lara Guidetti) Andrea Rebaglio, Dora Ricca, Luca Ricci, Roberto Ricco Nicoletta Rizzato, Gilberto Santini, Renato Sarti, Alba Sasso, Nicola Savarese, Maurizio Schmidt, Giampiero Solari, Mimmo Sorrentino, Gianantonio Stella, Giulio Stumpo, Antonio Taormina, Barbara Toma, Gian Maria Tosatti, Alfredo Tradardi, Gianni Valle, Gerarda Ventura, Marisa Villa, Serena Vincenzi, Vittorio Viviani, Rosita Volani, Paolo Zanchin, Massimo Zuin...
(e ci scusiamo se abbiamo dimenticato qualcuno... ma se ce lo chedi ti aggiugiamo subito ;-)
2. Nella sesta edizione delle Buone Pratiche...
Avevamo deciso di lanciare e organizzare BP06 come se vivessimo in un paese normale. Un paese dove è necessario e utile discutere della gestione e dell’organizzazione (o dell’auto-organizzazione) dello spettacolo. Volevamo dunque continuare ad approfondire, come abbiamo fatto negl anni scorsi, le questioni legate alla politica e all’economia della cultura.
Volevamo individuare, sulla scia delle cinque precedenti edizioni, i vicoli ciechi e le potenzialità di sviluppo del sistema, le sue inerzie e le sue spinte creative, per poi individuare, insieme, le Buone Pratiche, ovvero le soluzioni più razionali ed efficaci. Senza avere in tasca una formula magica, ma solo esperienze e riflessioni da far conoscere e condividere. Insomma, da mettere in rete.
Volevamo continuare a sondare, esplorare e catalogare quello che sta avvenendo nel teatro italiano, per precisare e rafforzare funzioni e modalità operative “virtuose”, per aiutare chi opera nel settore a definire – o meglio ridefinire – la propria funzione in uno scenario in rapidissimo mutamento, quando emergono nuove tecnologie, nuovi media e inedite modalità comunicative ed espressive, mentre vengono sistematicamente attaccati la funzione pubblica del teatro e la sua appartenenza al settore del welfare.
Avremmo potuto farlo partendo dalla provocazione di Alessandro Baricco sulla “Repubblica” del 24 febbraio 2009, Basta soldi pubblici al teatro meglio puntare su scuola e tv; o dal progetto di legge Carlucci attualmente in discussione, dove l’espressione “teatro pubblico” non compare mai.
Volevamo discutere dei possibili modelli del teatro italiano. Perché abbiamo diverse domande intorno alle quali discutere. Ha ancora senso la centralità dei teatri stabili? O non è più corretto parlare genericamente di una “area pubblica”? Ma questo non indebolisce la funzione storica degli stabili? E in questa inedita ecologia dello spettacolo, come articolare ed equilibrare la pluralità degli organismi che animano le nostre scene?
Volevamo affrontare del problema delle direzioni dei teatri: il profilo professionale dei direttori e dei direttori artistici, la durata degli incarichi, il rapporto con i consigli d’amministrazione e i “presidenti-direttori”, il nodo delle compagnie stabili...
Volevamo individuarele modalità più efficaci per assicurare il ricambio generazionale e una formazione adeguata ai giovani, dentro e fuori dagli Stabili. Come sapete, quello della formazione è uno dei grandi temi – o se preferite, una delle delle ossessioni – delle Buone Pratiche. Da dove attingere le forze nuove? A che punto sono le scuole, sia quelle degli stabili sia quelle “indipendenti”, pubbliche e private? Qual è l’efficacia della formazione “a maestro”? Come può l’area pubblica sostenere – o assorbire-cooptare – chi cresce nel teatro indipendente?
Volevamo mettere a fuoco il rapporto tra il teatro pubblico e le compagnie private, che in Italia godono da quasi un secolo di un sostanziale sostegno pubblico – e accusano il teatro pubblico di concorrenza sleale davanti all’antitrust. Avremmo magari parlato anche di un nuovo teatro privato, quello dei mega-show (spesso musicali) assai vicini per modalità produttive, distributive e di marketing alla mentalità delle grandi major dell’entertainment.
Volevamo verificare se la categoria di “teatro indipendente”, assai utilizzata fuori dal nostro paese, può avere un senso anche da noi: forse può aiutarci a capire meglio quello che sta succedendo oggi, forse può incarnare e dar forza alle esigenze di una parte (almeno) delle compagnie e dei gruppi, stretti tra funzione sociale ed esigenze del mercato.
Volevamo capire quale può essere il rapporto tra residenza e indipendenza.
Volevamo insomma capire come è cambiato (e quale può essere) il rapporto tra lo spettacolo da vivo e il potere politico e i media.
Certamente proveremo a fare tutto questo, e magari con urgenza ancora maggiore, illudendoci di vivere davvero in un paese normale, dove un dibattito su questi temi è possibile e necessario.
3. Invece nella sesta edizione delle Buone Pratiche...
Molto probabilmente il tema di fondo delle Buone Pratiche 2010 sarà un altro. E’ inevitabile. Non parleremo tanto dell’eterno taglio al FUS e della nuova legge che da decenni forse sta per essere approvata ma non si approva mai: sono solo sintomi.
Quello a cui stiamo assistendo da mesi è un profondo cambiamento di scenario, una emergenza prevedibile e prevista da tempo, che però ormai si presenta con un impatto più drastico dell’immaginabile.
In qualunque paese normale, è difficile pensare a un ministro dell’Agricoltura che insulta i contadini quando vengono ricevuti dal Capo dello Stato. In qualunque paese normale, è difficile vedere i ministri della Salute o della Pubblica istruzione prendersela con i medici, gli infermieri, gli insegnanti (e magari anche gli studenti).
In qualunque paese normale, parrebbe buffo un presidente del Consiglio che, controllando la stragrande maggioranza dei mezzi di comunicazione (e dunque in grado di indirizzare sia l’informazione politica sia di plasmare l’immaginario), si presenta come un perseguitato e una vittima dei mass media controllati dai “comunisti”.
Per noi, il nodo centrale è l’indipendenza del teatro.
Per alcuni, il teatro non l’ha mai avuta, fin da quando è nato, nel Rinascimento, come divertimento del Principe – e anche come macchina ideologica di creazione del consenso. Ma le compagnie dei Comici dell’Arte – gli stessi che il Principe chiamava a Corte – sono anche un modello di indipendenza: quando per lavorare si sono associate in libere società (oggi le chiameremmo “imprese”), quando hanno trovato il loro pubblico (liberamente pagante) nelle piazze e poi nei teatri.
Per altri, la propria indipendenza il teatro italiano l’ha persa durante il fascismo, quando in seguito all’avvento del cinema l’intero settore è sprofondato in una gravissima crisi industriale (come avverrà qualche decennio più tardi al cinema con l’avvento della televisione): le compagnie (allora esistevano solo ed esclusivamente le “ditte” private, commerciali) poterono sopravvivere solo grazie alle sovvenzioni del regime – al prezzo, naturalmente, di un pesante controllo politico. E tuttavia le sovvenzioni pubbliche consentirono la creazione dei teatri stabili nel dopoguerra (a cominciare dal Piccolo Teatro); e ha sostenuto poi lo sviluppo delle cooperative e del teatro di ricerca a partire dagli anni Settanta. Per decenni il teatro italiano, malgrado tutte le sue storture e i suoi difetti, è stato vitale e ricco di fermenti. Ha costituito una importante occasione di crescita democratica, culturale e dunque politica. Ha permesso di sperimentare e mettere a punto nuovi linguaggi e variegate creatività.
Per altri ancora, il teatro italiano la propria indipendenza l’ha persa negli anni Sessanta, con il consociativismo e la lottizzazione, quando i consigli d’amministrazione e in genere i meccanismi delle sovvenzioni, sono stati gestiti “in quota partito”, imponendo scelte artistiche dispendiose e obbligatoriamente rassicuranti. Così anche i teatranti – o almeno i vertici della piramide – sono diventati una casta, che continua a prosperare e mantenere i suoi privilegi grazie a una rendita di posizione pressoché intoccabile.
Per altri, il peggio è arrivato all’inizio degli anni Novanta, con l’avvento del maggioritario, che sta via via cancellando gli spazi di mediazione e trasforma gli avversari politici – compresi i membri della casta che stanno dall’altra parte della barricata – in nemici da annientare. Affossato il consociativismo, tramontata la stagione dell’inciucio, il gioco si sta facendo sempre più duro – e magari scorretto. Anche perché ci sono due aggravanti: la più grave crisi economica del dopoguerra; e la necessità di controllare lo scenario culturale e mediatico, compresa quella realtà marginale che è il teatro, mettendo sotto controllo tutte le possibili voci di dissenso. Ma proprio da questa drammatica impasse – lo sappiamo – i teatranti possono trovare e stanno trovando le spinte per reagire.
Lo spettacolo sorge da obiettive condizioni storiche, da circostanze concrete, e appare come il luogo e il modo per cui una collettività prende le decisioni necessarie alla sua vita: naturalmente sul piano dell’inconscio collettivo, da cui successivamente come conseguenza scaturiscono gli atti immediati, giornalieri, coscienti.
(Vito Pandolfi, Spettacolo del secolo)
4. Dunque, nella sesta edizione delle Buone Pratiche, a Bologna...
Dunque continueremo a far finta di vivere in un paese normale, con un teatro normale. Un paese e un teatro dove è dunque possibile discutere normalmente dei nostri problemi e delle nostre speranze.
Lo faremo il 13 febbraio, a Bologna all’ITC-Teatro San Lazzaro .
Abbiamo scelto Bologna perché ITC-San Lazzaro ci ha garantito totale autonomia e indipendenza, condizioni imprescindibili per l’esistenza di www.ateatro .it e delle Buone Pratiche.
Bologna ci è sembrata una sede opportuna anche perché è in posizione centrale e rapidamente raggiungibile da gran parte delle località della penisola.
La giornata sarà strutturata con alcuni interventi introduttivi, una serie di tavole rotonde sui temi qui sopra accennati e la presentazione delle Buone Pratiche 2010.
Chi è interessato a partecipare, con un intervento, una relazione, una buona pratica, o semplicemente come uditore, è pregato di scrivere a info@ateatro .it.
Il programma definitivo è ancora in fase di elaborazione e verrà pubblicato (e aggiornato) sul forum di www.ateatro .it.
(*) Vedi Renato Brunetta, mini¬stro della Pubblica amministra¬zione e dell’Innovazione, intervento alla scuola di formazione del Pdl, Gubbio, 12 settembre 2009.
(**) Vedi Sandro Bondi, ministro dei Beni culturali, lettera al “Foglio”, 13 novembre 2009.
Altre info e adesioni sulla pagina FB di ateatro
e sulla pagina dedicata all'evento su FB
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