ateatro 125.53 BP2010 Lo spazio dell'indipendenza: tra le radici e l'altrove Un appunto di Pietro Floridia
Quali sono i rischi maggiori per l’indipendenza di un teatro che vorrebbe essere indipendente?
Il criticare un sistema di pensiero, per esempio facendo spettacoli contro, di denuncia, oppure il dedicarsi anima e corpo alla propria ricerca mette automaticamente al riparo dal divenire dipendenti, dall’introiettare le logiche profonde di quel sistema che si critica?
Queste le domande da cui muoverà il mio ragionamento, in cui tenterò di raccontare come e perché secondo la nostra esperienza, sia necessario avere come unità di misura, come materia da plasmare per cercare di mantenere una rotta indipendente, non solo l’azione del proprio gruppo o del proprio spazio teatrale ma più in generale il contesto, l’ambiente dentro cui il teatro opera.
Nel nostro caso il territorio e la comunità che ci circonda. Comunità che però non esiste, esistono tante solitudini, tante individualità, la comunità va ricreata. Questa è la sfida di un teatro che voglia autodeterminarsi. Reinventarsi lo spazio teatrale, reinventarsi rituali teatrali che siano fucina di un agire comune, di condivisione di esperienze, ed attraverso di esse, dunque di realtà non individuale ma sociale, di mondo comune, di un ambiente in cui sia possibile emanciparsi dai valori (o disvalori) che sembrano pervasivi. Un mondo comune che se non vuole chiudersi su se stesso e finire per riprodurre le dinamiche dominanti, non può che farsi squassare, attraversare, mettere in discussione dall’altro, dal diverso, dal portatore di altrove. Nel nostro caso migranti, rifugiati politici, artisti e gruppi che arrivano dagli altrove del mondo.
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