ateatro 120.14 A che gioco vogliamo giocare? Ancora su Baricco e i fondi allo spettacolo di Franco D’Ippolito
Devo subito confessare che gli interventi apparsi sulla stampa e online a proposito dell’articolo di Alessandro Baricco su “Repubblica”, aldilà delle posizioni espresse, mi fanno sorgere spontanea una domanda: “Perché le posizioni forti di Baricco suscitano tale dibattito e quelle serene di Carrubba (vedi il suo articolo su “Il Sole 24 Ore”) passano pressoché inosservate?”.
Oggi Baricco è tornato a scrivere su “Repubblica” in risposta a quei tanti interventi, difendendo - come è giusto che sia - le sue posizioni iniziali e cercando di spiegarle “a uno che ti ascolta mentre gioca alla playstation” (come lui stesso definisce i suoi interlocutori). Dice sempre Baricco che la sua è “una battaglia giusta e sacrosanta in un gioco diverso, con regole differenti e un campo da gioco ridisegnato”. Il problema, secondo me, sta proprio qui.
Nessuno (è vero, più a parole che con comportamenti concreti) intende difendere l’attuale gioco dei finanziamenti pubblici allo spettacolo, le sue regole obsolete e la “foto di gruppo” dei soggetti finanziati. Io personalmente men che meno. Quello che non condivido assolutamente della strategia di Baricco è però proprio il nuovo gioco, le nuove regole e il nuovo campo di gioco che lui ipotizza. E’ questo il punto, non dietrologie pseudo-politiche o presunte libertà da oligopoli culturali.
Gli Enti Lirici e i Teatri Stabili sono nell’occhio del ciclone, sono gli esempi di mala gestio citati da Baricco e da tanti. Essi sono solo la punta dell’iceberg, che nasconde situazioni diffuse su tutto il territorio nazionale di altrettanti privilegi, gestioni personalistiche e inefficienze gestionali. Le soluzioni avanzate da Baricco non possono in alcun modo, né modificare tutto questo (chiudere Enti Lirici e Stabili non li modifica, li elimina), né rappresentare per tutti gli altri ipotesi virtuose di rinnovamento artistico e gestionale. Spostano risorse verso settori almeno altrettanto bisognosi di un ripensamento generale ed auspicano un intervento di capitali privati irrealistico, se non in una dimensione di mecenatismo.
Ripartiamo dalla funzione indispensabile di sostegno dei finanziamenti pubblici allo spettacolo dal vivo (che neanche Baricco sembra mettere in discussione, mentre sembra metterne piuttosto in discussione i destinatari) e dal ruolo pubblico da assegnare ad “alcune” strutture di produzione-programmazione. Abbiamo mai provato negli ultimi trent’anni ad aggiornare il pensiero (che, qui sono completamente d’accordo con Baricco, “non può farsi dare il calendario dalla politica”) su come “attualizzare” il finanziamento pubblico allo spettacolo e il ruolo (e perché no, anche il numero) delle strutture pubbliche? E’ sbagliato, io credo, buttare a mare il bambino con l’acqua sporca, ma è più semplice. Invece io penso che proprio quel bambino (chi svolge il proprio ruolo con coerenza) vada urgentemente separato dall’acqua sporca. Perché non proviamo a rileggerci l’articolo di Carrubba?
Una ultima precisazione. Quando Baricco scrive di “non aver paura di lasciare campo all’iniziativa privata” sa che oltre i 14 Enti Lirici e i 17 Teatri Stabili ad Iniziativa Pubblica, dietro le centinaia di altri soggetti teatrali e musicali (e di danza) ci sono altrettanti “privati” cittadini/imprenditori culturali che cercano (non tutti, per carità, ma neanche nessuno) “con l’aiuto del denaro pubblico, di andare a lavorare nella direzione della qualità e della diffusione più ampia e giusta possibile.”? E’ questo, tutto insieme, il campo di gioco da ridisegnare con nuove regole per giocare nel 2010 e fino almeno al 2020, quando sarà necessario ripensare ancora una volta il sistema, perché il mondo cambia e lo spettacolo non può non farlo.
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