ateatro 120.13
Il polverone Baricco
Impressioni aspettando che si diradi
di Mimma Gallina
 

Maramaldo Baricco
La mia prima impressione dopo la lettura del pezzo di “Repubblica” è stata quella di un’inutile volgarità: non tanto una brunettata, piuttosto un’azione da Maramaldo, un infierire su chi è già a terra. Che corrisponda a una strategia o si tratti di danni collaterali inevitabili del pensiero veloce, la violenza c’è stata (proprio come ci sarebbe nel film americano cui si ispira l’azione). Quanto rimediabile non so.
Non ho nessun dubbio ovviamente che il teatro sopravviva (e a lungo) ai maramaldi baricchi, ma di entità agonizzanti in giro ce ne sono parecchie.
Quella del FUS –per esempio - è la cronaca di una morte annunciata e forse siamo al dunque: dopo un lungo e lento deperire, la situazione sta precipitando e si tratta solo di capire chi toglierà la spina e quando. Maramaldo aiuta.

La pubblicità negativa non è pur sempre pubblicità?
Ma cerchiamo di essere positivi. Maramaldo sbatte il teatro in prima pagina (in quanto moribondo e mostro: un vero reality), così forse qualcuno si accorge che esiste (il teatro, intendo, non Baricco che è – si sa - molto popolare e di pubblicità non ha bisogno).
Infatti così è stato; fra le tante interessanti riflessioni, anche qualche voce di destra che ha detto cose di sinistra, e chi sa che a qualcosa non serva. Magari è stata tutta una beffa, un po’ alla Orson Welles, allo scopo di risvegliare l'attenzione intorno al vecchio malato. Oppure è una vera e propria campagna coordinata, ideata dallo stesso acuto pubblicitario che ha pensato lo spot governativo (mi riferisco all'imperdibile "il teatro allunga la vita", ribattezzato "questo è un paese per vecchi": qualcuno lo segnali per un premio speciale agli Olimpici!).
Bene o male, purchè se ne parli. O no?

Esercizi à la manière de
Ho già detto che non mi metterò anch’io a confutare gli argomenti, ma una delle ragioni per cui non ne vale la pena è che l'ha già fatto il nostro scrittore: suggerisco un divertente esercizio di stile (che potete anche applicare ad altri esempi di prosa baricchesca): invertite l'ordine dei pensieri, cioè mettete gli argomenti negativi prima dei positivi e i contenuti si ribalteranno. Vi troverete così bella e pronta una lezione dal tema "ecco perchè si devono dare soldi al teatro", e non trascurate la possibilità di usarla per convincere assessori e affini, risparmiando ricerche bibliografiche e altre dotte citazioni (sofisti e avvocati del diavolo possono essere molto utili).

Traumi e cause scatenanti
Ma perché questa provocazione ora? Forse c’è qualche cosa di nuovo negli argomenti, qualcosa che non colgo a prima vista, oppure ci sono traumi antichi, una causa scatenante (come spiegano i profiler dei telefilm). Di traumi da finanziamento pubblico nella biografia di Baricco – per la parte pubblica naturalmente - non se ne individuano apparentemente. Di certo non nella assidua frequentazione dei palcoscenici finanziatissimi di Romaeuropa (ci sarebbe mai arrivato senza i lauti contributi del Comune di Roma? Ingrato!).
E se il trauma risiedesse nell’essersi sempre schierato dalla parte perdente nelle successioni allo Stabile di Torino? Forse: deve essere sgradevole sentirsi king-maker in fondo all’anima e non vedere mai incoronato il proprio uomo.
Di recente – ma tanto da farne una causa scatenante? - c'è il contesto politico eccezionalmente favorevole a qualunque maramaldo: limitandoci a questioni connesse (cioè lasciando fuori sicurezza, convivenza civile, crisi economica etc.), lo smantellamento della scuola, dell'università pubblica, della ricerca, gli attacchi all'informazione, l'eterna farsa delle nomine RAI e la pace ventilata fra il blocco televisivo pubblico e privato, lo sfaldamento della sinistra, la scarsità di intellettuali a destra... Ma tutto questo è sufficiente?

Argomenti ottocenteschi
Nelle argomentazioni che gridano “basta soldi pubblici al teatro”, di nuovo non ho trovato proprio niente, se non un sottofondo di echi ottocenteschi passati al sintetizzatore, che potremmo far risalire alla passione per l’opera.
Il popolare scrittore torinese ha di certo sentito parlare del dibattito che 160 anni fa circa, proprio nella sua città, sanciva l'inizio della fine della Compagnia Reale Sarda (che tutti gli studenti di storia del teatro studiano come primo caso di un qualche respiro - e unico fino al 1947 - di compagnia stabile sostenuta da uno Stato). Gli suggerisco di leggerlo o rileggerlo: troverà insospettabili affinità con i deputati savoiardi più conservatori (che si rifiutavano di pagare con i soldi delle province i piaceri della capitale), o con chi ricordava – sinistra ante litteram - che c'erano scuole e ospedali da costruire prima di sostenere i teatri, o con chi infine invocava la concorrenza e il mercato (già allora).
Dejà-vu? O forse Baricco cambierà parte, e si immedesimerà nell'appassionato deputato Brofferio - come lui scrittore e come lui allora abbastanza di moda, ma oggi dimenticato - che si batte invano e come un leone (eroe civile romantico) per salvare quella "stabile". Ho spesso pensato quanto quel vivace e appassionante dibattito del parlamento cisalpino fosse moderno, mi viene il dubbio oggi che siano gli argomenti "modernisti" ad essere pre-risorgimentali. (Per inciso: è un dibattito molto teatrale, magari qualcuno potrebbe metterci le mani: sarebbe una buona idea per i 150 anni dall'unità d'Italia ).

E se la vera novità fosse... che questo governo farà la legge?
Candido Baricco! Vede "fiumi di denaro" dove c’è un rivolo o al massimo un torrente (che certo, senza un letto ben tracciato e argini può fare danni). Ignora le statistiche sulla spesa pubblica per lo spettacolo (che ci fanno vergognare in tutta Europa). Non si è accorto che lo spostamento di risorse verso l'industria culturale - stampa e televisione - è già in atto da una ventina d’anni. Crede nel mercato salvifico (incredibile dopo quello che è successo!), e nelle case editrici che investirebbero in spettacolo (quale?). Ha perfino fiducia nella lungimiranza educativa della tv.
Ma l’ignoranza va preservata, è ormai un valore nazionale, forse è un po’ per questo che il teatro è antipatico alla gente (si veda il blog di “Repubblica”). Il teatro, dunque, si merita che la legge organica tanto attesa si materializzi nel momento storico di massima impopolarità.
Nella mia vita professionale di progetti di legge, di partito e governativi, ne ho visti e studiati così tanti che non li saprei ricostruire. In alcuni momenti ci si è quasi arrivati (a vararli), ma sarebbe troppo lungo qui raccontare perché “quasi”. Ma di certo un motivo è la ricerca dell’accordo fra le parti in causa (non sempre solo lobbies), una pratica di mediazione continua che ha logorato i mediatori e prodotto mostri e aborti, ma aveva qualche parentela con la democrazia. Credo che questo sia il primo governo che di queste pratiche se ne infischia (non ascolta neppure l’AGIS quando prova a fare la voce grossa), i soldi sono pochi, gli interessi in fondo trascurabili, il consenso si costruisce facilmente (e il mondo dello spettacolo non è fatto di eroi). Insomma: non è troppo difficile con queste premesse essere decisionisti, basta deciderlo.
In una lettera un po’ piccata di commento a una presa di posizione dell’Agis eccezionalmente dura (col ministro Bondi: a proposito, si dice che sa in uscita), l’onorevole Gabriella Carlucci, informa che la discussione della legge quadro in commissione cultura è “in fase avanzatissima”. Dopo aver ricordato la crisi economica, precisa anche:

“Di fronte a una situazione del genere, straordinaria, emergenziale, non si può continuare a chiedere interventi a pioggia da parte dello Stato, spesso assegnati verso destinazioni ed usi improduttivi. Occorre una svolta epocale, una rivoluzione che ci permetta di abbandonare l’approccio statalista ed assistenzialista fin qui seguito e ci consenta di gestire il mondo dello spettacolo dal vivo con le regole del libero mercato e soprattutto della redditività economica e finanziaria.” (“Il Giornale dello Spettacolo, n. 3, 13 febbraio 2009).

Il trabocchetto del mercato (e dell’enfasi sulla buona gestione)
Anche Carlucci (nel pezzo sopra citato) cita Carruba. Ci si è molto soffermato Franco D’Ippolito (mi riferisco al commento dell’intervento sul “Sole”).
Chi non è d’accordo che vadano fatte scelte di fondo e analizzati i meriti? Ma di fronte a tagli che vanno molto oltre le necessità della crisi economica (smettiamo di crederli normali), e che sparate come quelle di Baricco sono funzionali a giustificare, un’enfasi così insistita su una buona gestione, non così limpida e non così facile da misurare, è un equivoco. Una trappola in cui i teatranti si scanneranno senza fine (la cattiva gestione è sempre quella del vicino, la “storicità” negativa sempre quella altrui), fra parametri e regolette, in cui commissioni di economisti, entusiasti neofiti dello spettacolo, discetteranno di misuratori e tassi più o meno fantasiosi o scientificamente credibili, in cui le performance organizzative ed economiche non avranno niente a che fare con la qualità artistica, la vitalità, la necessità, in cui la clientela continuerà ad avere la meglio. In cui i principi e le ragioni di fondo dell’intervento pubblico - qualità, accesso/diffusione, formazione delle coscienze, e anche libertà “dal” mercato - saranno del tutto stravolti: come si può sostenere senza cogliere il paradosso che le regole del libero mercato regoleranno il finanziamento pubblico?
L’equivoco fra pubblico e privato, mercato e Stato, è del resto costitutivo del nostro sistema: anche qui niente di troppo nuovo. Così può succedere che a Milano - da dove scrivo - si pensi di creare una fondazione - di cui proprio sentiamo la mancanza - e si spenda qualche milione di euro di denaro pubblico (quello che ci dicono sempre che non c’è), per gestire quello stesso teatro degli Arcimboldi che un impresario privato (David Zard) si era offerto di programmare gratis, praticamente con gli stessi spettacoli. A Roma del resto l’’ETI mette all’asta il Quirino. Quando va bene il privato, e il mercato, e quando no? Quali sono le regole del gioco?

Ma il teatro è altrove
Per fortuna. Baricco pensa che gli epigoni del teatro di regia che conosce siano IL teatro (dominante). Io penso – e non sono sola - che sia un teatro agonizzante. C’è ancora qualche buon regista dei tempi e dello stile cui si riferisce, certo, e ci sono registi in evoluzione. Ma c'è anche e soprattutto un teatro nuovo, che si sta facendo strada da qualche hanno, una ricerca che ha recuperato necessità e sobrietà e che di contributi pubblici ne riceve davvero pochi (proprio per questo resisterà meglio). Non è necessariamente giovane, anche se spesso lo è, e sta anche riempiendo i teatri, e non di rado (e non sempre piccoli). E’un teatro che cerca nuovi modi di produzione e nuovi modelli organizzativi. Basta girare l’angolo, ne trovi dappertutto.

Epilogo
Non sono ottimista, Francesco Ferrucci soccombe a Maramaldo. Ma avete già visto un monumento a Maramaldo o una via Maramaldo?
A da passà a nuttata: la notte più lunga non è eterna.
Inoltre, pensare rapidamente gioca brutti scherzi. Sono certa che esiste un proverbio cinese che dice: "Se pensi di dover esercitare il pensiero veloce, siediti e rifletti".


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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