ateatro 118.13 Una rete dei nuovi progetti In risposta a La fine del (nuovo) teatro di Teresa Bettarini
3 settembre 2008
Buongiorno Oliviero,
Ho guardato il sito di ateatro e ho visto che con il numero di agosto ci hai consegnato un bellissimo intervento. L’analisi, lucida e approfondita, che fai della situazione del teatro (ma non solo), gli interventi di politica culturale della sinistra che ripercorri dal dopoguerra fino agli ultimi anni, le nuove forme di teatro, il sistema teatrale, le prassi… non possono che trovarmi concorde. Cosi’ come concordo con le conclusioni: siamo ad un punto di arrivo, o riusciamo a svoltare, oppure non ci rimane che una resa incondizionata.
Un messaggio di allarme che ormai sta arrivando da più parti, un sentimento diffuso, sotto pelle. E sempre piu’ cogente la domanda: che fare?
Hai ragione Oliviero: che fare? Siamo in un’epoca “straordinaria”. Se Serena Sinigaglia avesse voglia di aggiungere un quarto capitolo alla sua Trilogia sulle epoche straordinarie, dopo il ’48, il ’68 e l’89 dovrebbe sicuramente occuparsi del 2008. Colpisce la scansione in ventenni di questi momenti, la ciclicita’. Ad ognuna di queste epoche e’ seguito un momento di apertura; di nuove idee e anche di nuove frontiere, di nuovi mercati. Una ripresa economica e culturale. Speriamo che anche questa volta si riesca ad uscire dal tunnel.
Il momento e’ complesso, siamo di fronte ad una crisi che coinvolge tutti i settori del vivere sociale.
E’ in crisi l’economia occidentale , e anche il concetto di globalizzazione che e’ stato l’elemento trainante (culturalmente ed economicamente) degli ultimi decenni, finisce per assumere connotati farseschi nel momento in cui l’Occidente (e gli Stati Uniti in primis) sono di fronte alla piu’ preoccupante recessione dagli inizi del Novecento a oggi. A cui si contrappone lo sviluppo dei paesi asiatici.
Siamo di fronte ad una crisi ambientalistica frutto di una industrializzazione selvaggia.
Siamo di fronte ad una crisi politica, con il pericolo dell’accendersi di un nuovo fronte Stati Uniti/ Russia (e l’Europa? Che fine hanno fatto l’unita’ e la coalizione dell’Europa?) che verrebbe a sovrapporsi allo scenario già “caldo” del Medio Oriente.
Siamo di fronte ( e in Italia piu’ che altrove) ad un fenomeno di flussi migratori di straordinaria portata, con conseguenti problematiche di ordine sociale e di integrazione culturale , per cui gli stessi concetti di identita’ culturale vacillano di fronte alla nuova realtà delle nostre città.
Siamo di fronte a una crisi del concetto di unita’ nazionale.
Siamo di fronte alla crisi dei modelli settecenteschi di democrazia elettiva.
Siamo di fronte al riaccendersi di integralismi religiosi in un momento in cui la religione viene a rappresentare l’unico messaggio forte da un punto di vista culturale ed etico, nel momento in cui assurge (di nuovo) a ideologia trainante nei processi di identità e di conflitto fra popoli.
Momenti di crisi come questo avrebbero bisogno di uomini eccezionali per governarli, che non compaiono all’orizzonte.
Cosa può fare il teatro, cosa può fare la cultura?
Come sottolinei nel tuo intervento, il teatro italiano negli ultimi anni è venuto progressivamente ad assumere un ruolo sempre più “celebrativo” e “autoreferenziale”. Se la politica della sinistra in ambito culturale negli anni Cinquanta e Settanta è stata una politica centrata sulla diffusione dell’istruzione, della cultura come “servizio pubblico”, negli ultimi anni abbiamo assistito ad una politica di “Grandi Eventi”.
La cultura è venuta a conformarsi sempre più ai meccanismi del sistema produttivo: l’industria della cultura. Le energie organizzative sempre più appesantite da un lavoro quotidiano sui parametri di mercato, di distribuzione, il marketing, sul rapporto costi-ricavi. Gli eventi visti come motori di sviluppo turistico e occupazionale.
Aspetti che non voglio demonizzare: e’ inevitabile che in una società’ contemporanea, e nei paesi europei in modo particolare, la cultura debba assolvere anche a questi compiti e che debba essere una forma di investimento e di occupazione.
Non può però abdicare a un altro compito: aiutare a interpretare il contemporaneo ricercando nuove modalità di sviluppo e di convivenza.
Un ruolo un tempo caro alla sinistra che si rivolgeva agli intellettuali chiedendo loro di assolvere in primis a questo.
Citi nel tuo articolo alcuni esempi di teatro politico degli ultimi anni: da Beppe Grillo ad Ascanio Celestini. Potremmo citare anche i best seller Gomorra e La Casta. Espressioni culturali che hanno denunciato situazioni di malcostume, di camorra, di corruzione del nostre Paese, divulgando le notizie a un pubblico vasto. Ma che rischiano di perdere incisività nel momento in cui diventano “prodotti di largo consumo”. Un consumo veloce, che ingurgita, digerisce, espelle, ma non metabolizza, non sedimenta.
Credo che ci sia bisogno di un passo avanti, che ci sia la necessità di analisi più approfondite, come tu proponi. Che ci sia la necessità di inventare nuove forme di comunicazione, nuove modalità di informazione e di apprendimento. Di ricreare un tessuto di rapporti, di confronto, ormai totalmente sfilacciato.
Un “fronte più arretrato”? “Isole felici”? Forse si.
Non ho ricette. Forse dovremmo pensare a delle azioni che possano aiutare a rompere il muro che si frappone fra questa molteplicità di individualismi arresi.
Dovremmo cercare di costruire una rete dei nuovi progetti.
E allora, una rivista, un magazine è strumento di primaria importanza.
Capisco la pesantezza di un lavoro portato avanti in questi anni con molta passione, rigore professionale, fatica personale. Capisco i dubbi sull’utilita’ di questo lavoro in un momento in cui tutto sembra ruotare in senso contrario. Ma proprio per questo c’è bisogno di strumenti, di progetti che possano fungere anche da collante, da catalizzatore di un dibattito, di nuovi percorsi.
Perdona la passionalità e forse anche la banalità di questo mio scritto.
Non ho la pretesa che possa essere di aiuto alla redazione per ritrovare il senso, e la forza, di ripartire a settembre con rinnovate energie per il prossimo appuntamento de Le Buone Pratiche. Ma lo auguro vivamente.
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