ateatro 115.79 Mario Martone allo Stabile di Torino: la conferenza stampa di presentazione Oltre la banalità del teatro? di Hugo Morra
È andata.
Un due tre si parte.
Si riparte.
Si riparte dal teatro, dall’arte, dalla poesia.
Dalla banalità del teatro.
Conferenza Stampa del 21 dicembre 2007. Direttore del Teatro Stabile di Torino: Mario Martone.
Un artista.
Si respira un po’ di sollievo, ma prima ancora un po’ di sofferenza. Mica il passaggio può essere così indolore. É o non è in fondo Torino città calvinista? Prima di passare al sollievo bisogna ricordare ancora un attimo da dove si arriva.
Freddo della sala in restauro.
Freddo nelle ossa e un po’ anche nel cuore di chi c’era e chi non c’era.
Solo pochi eletti. Laddove il teatro - nella sua immortale longevità trasversale - rivendica la democrazia di poter essere di tutti. E chi c’era si guardava intorno… “solo 70 posti” destinati ai soliti, quelli che avevano “diritto” di essere lì ma un po’ di nostalgia per chi mancava…
Il teatro torna ad essere Teatro a Torino. Dopo anni di sacrifici inutili, di allontanamenti e accentramenti a favore di ciò che “conta”. Che conta perchè visibile. A prescindere. A prescindere dal senso profondo di tale visibilità, ma comunque visibile. Sono stati anni di una sorta di pulizia etnica, via tutto ciò che è piccolo, laborioso, laboratoriale per far spazio al GRANDE. Il grande erano le olimpiadi. Bene le abbiamo fatte, sono state grandi, chi lo nega. Ne avevamo bisogno. Chi lo nega. Ma era necessario spazzare via tutto ciò che “sporcava” per poter grandeggiare indisturbati?
Bho? Non credo. Il teatro a Torino negli ultimi anni era solo più “Lo Stabile” si andava nella miriade di sale dello Stabile, le compagnie potevano solo rivolgersi allo Stabile… É stata un’epurazione graduale e sistematica, come quando si insediano le dittature, i segni ci sono tutti ma all’inizio si è attoniti, si pensa di “aver capito male” di essere “paranoici”…solo quando è troppo tardi si ha il coraggio di ammettere quello che è evidenza agli occhi dei più.
E adesso?
Adesso da un po’, finita l’ebrezza olimpica ci si è guardati intorno spaesati, come reduci di una sbronza collettiva, sparecchiata la tavola delle feste ci si è accorti che mancava qualcosa alla completezza. Si è sacrificata l’arte che è sporca per definizione, incompleta per definizione, in costruzione per definizione… e ci manca.
Così si è corsi ai ripari. Prima un teatro a Vacis poi…poi…
Infine Martone che chiede chi sono gli artisti a Torino. Che chiede quali sono i profeti che sono scappati dalla patria… Che vuole ricreare quell’humus che ha fatto di Torino il laboratorio per eccellenza. Che vuole ricostruire. Per questo la metafora del “cantiere” Carignano?
Forse si!
Forse anche avergli fatto guardare in faccia “la nomenklatura” dei presenti sarà servito a fargli chiedere: “ma chi mancava”?
Noi speriamo che il teatro a Torino torni ad essere democratico, guardiamo a Martone come un Garibaldi all’incontrario, che sia venuto a Torino a renderla parte d’Italia perché il Teatro a Torino può tornare ad essere vivo solo se ha l’orgoglio di essere anche torinese. Non uno che vuole che Torino diventi Roma come il suo predecessore, ma che sia orgoglioso della Torino che è stata culla del meglio, anche se l’ha fatto sempre con una certa, tipica discrezione... E che la valorizzi per quello che è.
Tutti hanno notato la presenza in sala di Le Moli, ma noi ce ne freghiamo. É un ennesimo segno di grandezza autodichiarata: ansia di dichiararsi grande di chi grande non è.
Torino torna ad una lungimirante progettualità.
Martone rappresenta questo. Progetti veri, reali, con forte radicamento. Progetti che vogliono valorizzare il patrimonio torinese e piemontese. C’era aria frizzante in sala, ma anche un po’ mesta e non solo per il freddo. Sù torniamo tutti a lavorare.
Ristrutturiamolo in fretta questo teatro, ma davvero, che faccia di nuovo un po’ di calduccio in sala.
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