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BP04: Il razzismo, la memoria
(geografie)
di Patrizia Bortolini
 

Il titolo di questo incontro parla di emergenze. Anch’io vorrei partire da due di quelle che mi paiono emergenze milanesi: il razzismo e la memoria. Mi spiego.
Nel teatro, luogo multiculturale per antonomasia, forse non si percepisce che invece è ormai dilagato un senso comune ferocemente razzista, si sta, secondo me, sottovalutando l’effetto che hanno fatto, e stanno facendo, sulle persone certe prese di posizione ed affermazioni da parte di politici e giornalisti. L’immigrato è ormai l’untore: stupratore, ladro, spacciatore, omicida. L’uomo nero delle fiabe si incarna in ogni persona con sfumature di colore di varia natura tendenti allo scuro. Basta salire su un mezzo pubblico per assistere a scene incredibili: insulti, gente che li apostrofa come terroristi, una ragazza che parlando di una signora extracomunitaria dice “non è dei nostri”. Un generalizzato fastidio che diventa disponibilità ad accettare qualsiasi soluzione politica per quanto riguarda “gli stranieri” ormai non più solo extracomunitari. Tutto questo è pericoloso, il pericolo è grande anche per tutti i cittadini italiani, un rischio di limitazione della democrazia, perché le restrizioni democratiche finiscono sempre per riguardare tutti.
La seconda emergenza, dicevo, è la memoria. Non intendo la memoria celebrativa, istituzionalizzata, lo studio della storia, che comunque male non farebbe, intendo l’interruzione di una narrazione che ha estirpato senso comune, prodotto anomia e smarrimento di identità. Intendo l’aver lasciato allo sbaraglio, soli e in fila per uno, davanti allo sfruttamento intere generazioni. Per memoria intendo il cosa c’era, prima che fosse rasa al suolo la Stecca degli Artigiani, fabbrica trasformata in luogo d’arte, ora vi saranno dei palazzi, il primo Leoncavallo dove ora c’è un anonima casa, via Morigi che vogliono sfrattare, oppure, ed è ben più grave, le fabbriche dove nel 1944 si fecero gli scioperi durante l’occupazione nazista (Falck, Breda, Magneti Marelli, Pirelli), ed ora ci sono centri commerciali, uffici e università. A Milano si sta cancellando ogni e qualsiasi luogo o segno che abbia rappresentato qualcosa di alternativo al pensiero dominante. Non solo politicamente, ma culturalmente. Non è solo il tempo che passa, ben vengano cambiamenti e novità. La linea è ristabilire l’ordine, cancellare la memoria. Non ricordare che noi eravamo poveri e immigrati, che si lottava per la libertà, la democrazia, per i diritti nel lavoro, che abitavamo nelle case di ringhiera con il bagno fuori, che le donne morivano di aborto clandestino, che non potevano accedere a molte carriere professionali, che potevano essere sposate a forza dall’uomo che le aveva rapite e violentate, era previsto nell’ordinamento giudiziario persino il delitto d’onore, e si deve arrivare agli anni ’70 per cancellarlo! Potrei parlare per ore di quanto abbiamo perso in coscienza e conoscenza. Non si può ricordare tutto, certo, ma qualche fondamento della nostra vita attuale forse varrebbe la pena.
Allora per fare tutto questo abbiamo bisogno, tanto, anche del teatro. Milano ha bisogno del teatro per non dimenticare se stessa . Questo paese ha bisogno di recuperare il senso della democrazia, quello vero e profondo che ci hanno consegnato dopo averla perduta con il fascismo. Non celebrazioni, ma senso quotidiano. Democrazia come dialogo, rapporto, conflitto con i luoghi delle istituzioni, come senso critico, come idea che non siano solamente gli esecutivi a decidere ma esista un rapporto dialettico tra la società e la politica, capisco il timore di cooptazione, ma la politica non può diventare quel luogo, come diceva qualcuno parlando del teatro, dove mentre si parla di politica ci si dimentica la vita. Concludo con una riflessione che attiene la democrazia. In molti interventi si rincorre il problema dei finanziamenti, prima si parlava di trasparenza nell’utilizzo dei fondi pubblici, di senso civico. Si parlava del sistema Milano. Ecco diciamo che su questo vi sono diverse considerazioni da fare che accenno solamente. Per quanto riguarda il primo aspetto dico solo che il Sindaco di Milano è in questo momento indagato, non giudico, tutto potrà risultare legalmente ineccepibile. Rimane il giudizio politico di quegli stipendi a 200.000 euro l’anno (“una novantina di funzionari con stipendi a volte triplicati” da Il Sole 24 ore 29.11.2007, “Una simile indagine è condotta parallelamente anche dalla magistratura contabile della Corte dei Conti. Nel mirino, oltre alla nomina di super dirigenti, la scelta del sindaco di affidare proficue consulenze a professionisti esterni. All'origine dell'inchiesta giudiziaria un esposto dell'opposizione in cui si legge che l'assunzione di super consulenti scelti all'esterno dell'amministrazione grava sul bilancio comunale del 2007 con una spesa di 40 milioni e 607 mila euro: un milione in più rispetto al 2006” da la Repubblica 29.11.2007). Non commento. Poi parliamo dei 19 milioni di euro dati dalla Regione Lombardia alle Comunità montane. Nulla contro di esse, per carità mi chiedo se sia una cifra compatibile visto che si continua a parlare di mancanza di soldi pubblici. E per quanto riguarda il “fare sistema”, non dimentichiamo che il Sistema a Milano c’è. Al Teatro Arcimboldi, costato ai contribuenti decine di milioni di euro, ora si fa Zelig. Bellissimo, sapete di quale rete fa parte. In Triennale c’è un’installazione su Striscia la notizia, nulla in contrario. Ho fatto solo due esempi. Ma le persone che lavorano nello spettacolo credo potrebbero aggiungerne. Passa di lì la strada. Non sempre, ma spesso e volentieri. D’altra parte quando un’azienda controlla televisioni, case editrici, teatri, giornali... Andrebbe aperta una riflessione sulla libertà della cultura, una cultura oltretutto costretta alla precarietà. Precarietà della cultura precaria. Ma qui concludo, con l’annuncio degli Stati Generali della Sinistra a Milano. Questo ambito è quello che vorremmo diventasse casa comune per tutti coloro ai quali questo stato di cose non piace e credono che un mondo diverso sia ancora possibile.


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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