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Il fotoromanzo dell'Emergenza!
Le Buone Pratiche 04 a Milano

Fra dati scoraggianti, progetti inventivi e tensioni ideali il racconto della giornata del 1° dicembre
di Erica Magris
 

Una Buona Pratica nelle Buone Pratiche: definirei così la giornata di "BP04 Emergenza!", per diverse ragioni. Con ritmi serrati ma ben organizzati - il trillo della torta al cioccolato non è stato impietoso come quello del mitico peperone, anzi, è stato addirittura anticipato da alcuni relatori - figure molto diverse fra loro per competenze e percorsi hanno raccontato da punti di vista altrettanto diversi le possibilità di formarsi, di emergere e di affermarsi nel sistema teatrale italiano attuale. Anche nel quadro non incoraggiante dei dati, gli interventi non sono mai caduti nel lamento e nella polemica: pur manifestando giuste rivendicazioni ed evidenziando problemi oggettivi, sono stati animati dalla volontà di proporre soluzioni, dall'entusiasmo e dalla passione per riuscire a fare ciò in cui si crede.
Fra il pubblico, erano numerosi i giovani - attori, operatori, registi - appena usciti dalle scuole e dagli enti di formazione di cui si è voluto esaminare l'utilità, venuti da diverse parti d'Italia per informarsi e per scoprire nuove opportunità. L'attenzione della platea è rimasta desta e partecipe fino al termine…
...e adesso tocca a me raccontare a chi non c'era come si è svolta questa intensa giornata, cercando di rendere onore all'interesse che i diversi interventi hanno saputo suscitare.



Erica Magris non s’è persa un minuto: grazie da tutta la redazione di ateatro per questo superverbale. Le foto sono di Alice Asnaghi, allieva del corso operatori della Civica: manythanks anche a lei!

Una premessa prima di iniziare: per quanto possibile, in caso di incertezza, ho cercato di verificare, ma non posso garantire al 100% l'esattezza delle cifre citate. Se capiterà che dia i numeri, spero che i relatori reclamino una pronta rettifica!


Introduzione

Ha aperto i lavori Oliviero Ponte di Pino, con un'introduzione che ha chiarito le ragioni dell'iniziativa e ha posto le problematiche che questa edizione di BP si pone l'obiettivo di affrontare (cfr. documento). La riflessione parte dall'osservazione del cambiamento radicale che ha investito negli ultimi anni da un lato la formazione e il passaggio all'esercizio delle professioni teatrali, in particolare quelle organizzative, dall'altro i sistemi della selezione e della visibilità delle nuove leve artistiche. Una situazione in cui la moltiplicazione dei canali di (presunto) accesso al sistema teatrale sembra non significare necessariamente l'aumento effettivo delle opportunità. Da questa premessa, ci si è immediatamente immersi nei dati, grazie al quadro d'insieme disegnato da due "osservatori professionisti" dello spettacolo, Giulio Stumpo e Antonio Taormina.


Il quadro d'insieme: numeri, esigenze e limiti del sistema spettacolo

GIULIO STUMPO dell'Osservatorio dello Spettacolo ha sottolineato un'emergenza che coinvolge giustamente la base stessa di ogni qualsiasi politica per lo spettacolo: i numeri. Raccogliere e conseguentemente interpretare i dati è infatti estremamente difficile, visto che metodi e parametri non omogenei danno luogo a risultati divergenti. L'Osservatorio tenta di arginare questa tendenza alla confusione, partendo proprio dall'analisi delle modalità in cui i numeri sono stati ottenuti e dall'incrocio di diverse fonti, ponendosi inoltre degli obiettivi per stabilire come raccoglierli e come interrogarli. Stumpo passa poi a illustrare i risultati ottenuti, offrendoci un'anticipazione della relazione che verrà presentata a breve in Parlamento (una primizia, quindi!).

I parametri selezionati per valutare la salute e le tendenze del sistema teatrale italiano, sono cinque :

1. Spesa pubblica
2. Spesa privata (incassi)
3. Occupazione
4. Numero dei biglietti venduti
5. Numero degli spettacoli

Per quanto riguarda la spesa pubblica, nel 2006 il taglio del FUS è stato pari al 18%: si è inizialmente passati da uno stanziamento di 464 ad uno di 377 milioni di euro (va osservato che all'editoria, ed in particolare ai quotidiani, un settore che dovrebbe reggersi sul mercato, vengono invece attribuiti 420 milioni di euro). In seguito, col decreto Bersani, il fondo è stato integrato con 50 milioni, ma la perdita è stata comunque pari all'8%, che in qualunque impresa risulterebbe problematica e che lo è quindi anche per lo spettacolo. Ai 427 milioni del FUS bisogna inoltre aggiungere i 20 milioni di euro del fondo di co-finanziamento stato/regioni, di cui però manca ancora un report. Per il momento si può affermare che si tratta del vero elemento di novità introdotto nel sistema dei finanziamenti, ma in cui si è investito molto poco. Ma oltre al FUS, rientrano nell'ambito della spesa pubblica una miriade di altre iniziative che vi ruotano attorno, e che è estremamente difficile valutare. Per esempio i fondi della Commissione Esteri, l'ARCUS, quelli provenienti dal lotto, dall' 8 e dal 5 per mille, quelli elargiti da altri ministeri (Sviluppo Economico, Finanze), dalla Presidenza della Repubblica, senza contare le iniziative degli enti locali. La molteplicità delle unità amministrative da cui questi finanziamenti dipendono rende questi dati, pure fondamentali, difficili da riunire.



L’impeccabile logistica è stata assicurata da alcune allieve del corso operatori, disciplinate da Mimma Gallina: un ringraziamento di cuore per la loro cortesia ed efficienza, ha tutto funzionato alla perfezione.

Anche gli incassi da botteghino non sono facilmente determinabili, a causa della natura anomala della fonte principale di questi dati, la SIAE, un organismo "strano": è privato ma riscuote per conto dello Stato. La SIAE non ha la funzione di fornire statistiche, ma di retribuire gli autori. Il dato più rilevante e sicuro pertanto è quello riguardante l'incasso in biglietteria, mentre risultano più incerti il numero degli spettacoli e degli spettatori. L'anno scorso si sono rilevati poco meno di 950 milioni di euro di incassi. La spesa al botteghino è dunque aumentata del 2%, ma non bisogna lasciarsi ingannare da questo dato positivo, che dipende dai dati riguardanti i circhi, che in precedenza non erano inclusi e che sono cresciuti del 186,7%. Anche in questo caso, bisogna andare a leggere cosa c'è dietro il dato per comprendere la realtà: questo aumento è in realtà dovuto alla tournée italiana del Cirque du Soleil, che ha fatto impennare le entrate.
Un'osservazione ulteriore: bisogna considerare che siamo quindi di fronte a numeri molto piccoli, per cui basta uno spettacolo o un film di successo a modificare completamente i risultati. In conclusione, se si escludono dai calcoli gli incassi dei circi, la spesa per i biglietti è diminuita dello 0,4%.

Per determinare l'occupazione ci si è serviti inizialmente dei dati ENPALS, che pure non sono raccolti a fini statistici, ma per il calcolo dei contributi. L'ENPALS considera quindi le giornate lavorative e le retribuzioni. Grazie a un'indagine più raffinata si evince che nello spettacolo ci sono 140.000 lavoratori; in effetti il numero in realtà corrisponde alle unità di lavoro e non rispecchia quindi la realtà delle persone effettivamente attive. Le giornate medie lavorative sono 61 all'anno, quando significativamente il parametro minimo adottato dall'ENPALS per un anno di lavoro è di 120 giornate. La retribuzione media è di circa 7120 euro all'anno. Tenendo conto che la soglia di povertà relativa per l'ISTAT corrisponde a 11000 euro, si può concludere che il 45% dei lavoratori dello spettacolo è sotto alla soglia della povertà. Se si guarda ai dati d'insieme, le retribuzioni complessive ammontano a 950 milioni di euro, cifra lievemente maggiore agli incassi al botteghino. Da un grafico che classifica le professioni per giornate lavorative e retribuzioni medie, emerge un dato preoccupante: la parte artistica – rappresentata in particolare da concertisti e attori - è quella che ha una situazione più instabile e povera.

A partire dai dati così raccolti, l'Osservatorio ha elaborato un indicatore sintetico dello sviluppo dello spettacolo relativo al periodo 2001 al 2005, per il cui calcolo si è tenuto conto dell'inflazione. Nel quinquennio considerato, la crescita è stata del 4%, ma includendo anche il cinema. In realtà, senza il cinema si è verificata una diminuzione del 0,3%, perché nel cinema sono cresciuti i numeri degli spettacoli (+36%). Nello spettacolo dal vivo invece gli spettacoli sono diminuiti, se pur in maniera quasi irrilevante ( -0,21%), sono diminuite significativamente le giornate lavorative (-15%) e i finanziamenti (-19%), mentre sono aumentate la spesa privata (+8%) e il numero dei biglietti venduti (+19%).

Per concludere con una nota positiva, Stumpo ha comunicato che è stato finanziato un progetto di armonizzazione delle statistiche per gli osservatori regionali: finalmente si è presa di coscienza della necessità di capire come si raccolgono i numeri per poterli interpretare e trarne delle conclusioni, anche operative, corrette.



Mimma Gallina, Oliviero Ponte di Pino, Giulio Stumpo e Antonio Taormina.

ANTONIO TAORMINA della Fondazione ATER ha approfondito i dati presentati da Stumpo, focalizzando l'attenzione sulle problematiche legate all'occupazione e alla formazione in ambito teatrale. Dal lavoro congiunto realizzato con Stumpo, i dati relativi al teatro di prosa presentano un aumento del personale artistico (+16%) e tecnico-amministrativo (+13%), mentre diminuiscono le giornate lavorative e le retribuzioni. Non si riscontrano quindi segnali positivi, al limite una continuità con le tendenze passate. Ma, al di là dei numeri, è fondamentale cercare di capire cosa richiede il mercato oggi e come la formazione risponde alle esigenze del mercato.

Il mercato esprime una forte esigenza di figure gestionali e organizzative altamente specializzate, le cui competenze vanno oltre il management, e possono essere piuttosto definite come cultural planning, che comprende quindi discipline come lo sviluppo urbano, l'antropologia culturale, ecc.. Le formazioni richieste dovrebbero essere quindi sempre più avanzate, e preparare professionisti in grado di agire e di reagire alle trasformazioni. Il livello che si chiede oggi è molto superiore a quello di vent’anni fa e paradossalmente, le imprese hanno difficoltà a trovare le persone di cui hanno bisogno, nonostante l'offerta di formazione sia sempre più ampia.

Il problema fondamentale è che la formazione offerta è troppo generica, ed in parte ciò è dovuto alla sovrapposizione della formazione universitaria e professionale. All'inizio degli anni Ottanta, soprattutto in ambito dell'organizzazione, il fondo sociale europeo, le iniziative di alcuni istituti e di alcune regioni hanno permesso lo sviluppo di un valido sistema di formazione professionale, che è però entrato in crisi con la riforma dell'università. All'università sono infatti attribuiti oggi quei compiti che erano invece delle regioni, causando la moltiplicazione dei corsi e degli istituti. Il mondo universitario però ha paura della specializzazione, come dimostra il fatto che proprio parole fondamentali come "organizzazione" e "spettacolo" sembrano essere un tabù nei titoli dei master. La riforma universitaria non ha inciso sul mercato in realtà, ma ha messo in luce la mancanza di strumenti per valutare le esigenze del mercato.
Un'altra carenza del nostro sistema formativo siamo è l'assenza di aggiornamento e di formazione continua: si è cercato di formare nuove figure senza cercare di cambiare quelle già attive. Inoltre, non esistono programmi che permettano di stabilire un dialogo fra gli operatori di enti privati e pubblici.



L’affollata e diligente platea delle Buone Pratiche.

Nel complesso si riscontra un disordine della moltiplicazione, in cui giovani che cercano di costruirsi dei percorsi si trovano di fronte a un'offerta ampia e indiscriminata. Non esistono metodi per valutare la qualità delle formazioni, ad esempio facendo riferimento alle qualità dell'impiego trovato in seguito ad esse, e forse ci sono anche cattivi maestri.

Taormina indica delle possibili soluzioni a questo paradosso innanzitutto nello sviluppo di strumenti per analizzare l'andamento del mercato, che siano attivi ad esempio negli osservatori regionali, e quindi di forme strutturate fra università, enti di formazione, istituti di ricerca ma anche organizzazioni sindacali. Una buona iniziativa in questo senso è l'istituzione di poli formativi da parte di alcune regioni, nei quali si realizzano tutti i processi riguardanti la formazione e l'inserzione professionale, dall'analisi di mercato all'introduzione delle figure formate nel mondo del lavoro. Inoltre, il miglioramento della situazione attuale può basarsi sulla definizione di rapporti sinergici fra Governo e Regioni per creare politiche comuni che coinvolgano la cultura, la formazione, il lavoro, e infine sull'incentivazione delle imprese che vogliono investire in formazione.

Per quanto riguarda il finanziamento della formazione, negli anni Novanta si è creata una situazione anomala dovuta all'intervento del fondo sociale europeo e all'istituzione dei master (nel 1996 per esempio erano attivati 150 corsi di formazione finanziati tutti dal fondo sociale europeo). Mancano completamente i fondi strutturali del ministero dello spettacolo o del ministero dell'università.

Vi è infine la questione fondamentale delle qualifiche professionali, che sono attribuite dalle Regioni sulla base di standard stabiliti dalle Regioni stesse. Mentre il sistema spettacolo è nazionale, le qualifiche sono diverse da regione a regione, e si sovrappongono in alcuni casi a quelle rilasciate dalle università. È un grave problema di cui si è recentemente presa coscienza, anche sulla spinta delle indicative europee. Si è da poco costituito per iniziativa del Ministero del Lavoro un tavolo di discussione con Università, Regioni e Province per confrontare i dati e uniformare le qualifiche. Ma il sistema unificato (nazionale ed europeo) per lo spettacolo è ancora lontano, e i tempi per la sua messa a punto saranno ancora lunghi.

Nelle relazioni di Stumpo e Taormina le parole chiave sono quindi dispersione, mancanza di coordinamento, moltiplicazione e genericità, frammentazione. La mancanza di organizzazione, che penalizza ulteriormente l'innegabile carenza di risorse, rende quindi l'accesso e la visibilità nel mondo dello spettacolo, e nel teatro in particolare, estremamente instabile e difficoltoso sia per gli organizzatori che, soprattutto, per gli artisti. Nuove tendenze sembrano però andare nella direzione di una se pur lenta soluzione di tali disfunzioni strutturali.


Una reazione e una proposta dalle istituzioni

Fuori programma, interviene a questo proposito la SENATRICE GIOVANNA CAPELLI.



La senatrice Giovanna Capelli.

Pur ammettendo che la Commissione Istruzione e Beni Culturali, di cui fa parte, si è per il momento occupata principalmente della pubblica istruzione, afferma che essa può giocare un ruolo centrale in questa fase, in cui sono forti le esigenze di un cambiamento radicale e in cui è stata presentata una nuova proposta di legge per lo spettacolo. Purtroppo il mondo dello spettacolo dialoga principalmente con il Governo, mentre il Parlamento potrebbe e dovrebbe svolgere una funzione determinante per discutere e decidere delle politiche condivise. Come osserva una spettatrice, ciò potrebbe essere dovuto alla mancanza di una legge per il teatro, che ha reso inevitabilmente l'esecutivo il referente principale di un settore regolato da circolari ministeriali. D'altra parte Mimma Gallina evidenzia due problemi : il primo, che nel settore teatrale esiste un fondamentale problema di rappresentanza ; il secondo, che il Parlamento dovrebbe vigilare affinché l'attribuzione dei finanziamenti diventi trasparente, e si emancipi da una gestione clientelare.
L'invito avanzato dalla senatrice Cappelli di costruire una piattaforma di dialogo che agisca tramite l'organizzazione di convegni, di approfondimenti pubblici è comunque significativa e incoraggiante.


Le fondazioni bancarie: una nuova opportunità

Nell'intervento seguente si abbandona temporaneamente l'ambito delle istituzioni pubbliche per esplorare invece una Buona Pratica realizzata da soggetti privati, il cui orientamento è proprio la trasparenza: le fondazioni bancarie.

ANDREA REBAGLIO della Fondazione Cariplo offre una panoramica sulle attività svolte dalle fondazioni bancarie, un sistema recente, la cui costituzione risale al 1990 e la cui reale attività è iniziata alla fine degli anni Novanta.
Le fondazioni bancarie sono soggetti privati ma con finalità di pubblica utilità, deputate ad erogare fondi al territorio. Esistono attualmente in Italia 88 fondazioni, riunite nell'Acri (www.acri.it), un organo volto a stabilire un certo coordinamento nonostante gli inevitabili squilibri dovuti alla loro natura territoriale. I finanziamenti possono essere ottenuti non da individui ma da soggetti formalmente costituiti, siano essi enti no profit, enti pubblici o religiosi.
Spetta alle singole fondazioni determinare i propri ambiti di intervento. Tutte prevedono quello artistico-culturale, per il quale mediamente stanziano il 30% delle risorse. Anche le finalità di statuto e i documenti strategici sono stabiliti singolarmente, ma un dato che le accomuna è la messa a punto di strumenti che permettono di monitorare e valutare i risultati del loro operato. Le possibili modalità di intervento sono molto varie:

- tramite erogazioni territoriali, di solito annuali, e istituzionali, pluriennali;
- attraverso la pratica del bando, molto diffusa e ugualmente diversificata (dal bando generalista a quello estremamente specifico);
- tramite progetto, vale a dire attività in ambiti prioritari con maggiore coordinazione e intervento;
- tramite società strumentali create dalle fondazioni(fondazioni o s.p.a. per perseguire finalità specifiche).

Rebaglio entra poi nel concreto, offrendo una rassegna delle più importanti fondazioni per attività erogativi. Nel complesso, i primi dieci istituti concedono il 70% dei finanziamenti sul territorio nazionale, pari a 850 milioni di euro, di cui un terzo è destinato all'ambito artistico-culturale. Con una certa approssimazione si può affermare che al teatro siano destinati complessivamente a 100 milioni, ma senza tenere conto delle legate invece alla formazione che rientrano in altri ambiti di intervento.

- La Fondazione Monte dei Paschi (www.fondazionemps.it) interviene sul territorio nazionale, attraverso un solo bando, con due tipologie di progetto (fino a 500000 euro con almeno il 20% co-finanziato dal richiedente, per più di 500000 con almeno il 30% co-finanziato dal richiedente).
- In Piemonte sono attive la Compagnia di San Paolo (www.compagnia.torino.it) e quella della Cassa di Risparmio di Torino (www.fondazionecrt.it) , la cui azione è considerevole. San Paolo (che interviene su quattro regioni: Piemonte, Val d'Aosta, Liguria, Campania) eroga a favore di particolari enti, ma emana anche bandi specifici per rassegne e stagioni teatrali. La fondazione della CRT è più strutturata, e realizzata progetti gestiti direttamente dalla fondazione (per esempio la rassegna "Not&Sipari" per il teatro giovanile). Dei 30 milioni erogati, la metà è per lo spettacolo dal vivo.
- Meno impegnate sul fronte dello spettacolo sono le fondazioni del Nord-Est : la fondazione Cariverona (www.fondazionecariverona.org) è più volta al restauro, e quindi le attività di spettacolo finanziate sono spesso legate a luoghi restaurati, mentre nelle attività della fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo (www.fondazionecariparo.it) è piuttosto presente la musica, mentre del tutto assente è il teatro. Un'eccezione in questo senso è la Fondazione Cassamarca (www.fondazionecassamarca.it), che eroga in totale 4 milioni l'anno, ha costituito una società Teatri Spa per la gestione dell'ambito teatrale. Attualmente la società gestisce 5 strutture teatrali finanziate con 3 milioni di euro. Cassamarca è quindi diventata una fondazione operativa.
- La fondazione Cassa di Risparmio di Bologna (www.fondazionecarisbo.it) presenta un'attività teatrale legata al sostegno sul territorio su enti specifici, come Teatri di Vita e Teatro Aperto.
- La fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia (www.fondazionecarige.it) sancisce bando generalista in cui il teatro è previsto tra le linee prioritarie.
- La fondazione Cariplo (www.fondazionecariplo.it) ha un'attività molto ricca, di cui il progetto Être è un esempio (cfr. documento).



Al tavolo, Oliviero Ponte di Pino e Andrea Rebaglio.

Secondo Rebaglio, è necessario che gli operatori teatrali si informino e intervengano in questo ambito, che sta vivendo un momento di trasformazione e sviluppo. Bisogna interagire e insistere con le fondazione, perché sono alla ricerca di idee per diversificare e rendere più efficaci le proprie attività.


Geografie a confronto: Milano e Napoli

Dalla panoramica nazionale sulle attività delle fondazioni e sulle opportunità che esse possono offrire, l'attenzione si è poi spostata sull'esame di alcune realtà territoriali specifiche che stanno vivendo situazioni apparentemente molto lontane: Milano, che da tempo vive una profonda crisi culturale, e Napoli, che invece pare entrata in una fase particolarmente felice.

ANTONIO CALBI si misura con la realtà milanese. Per Calbi, Milano non riesce a intraprendere la strada della sua ridefinizione culturale, a causa di un problema fondamentale di risorse e di regole condivise, che coinvolge più in generale la gestione della città.
Nel secondo dopoguerra, con la fondazione del Piccolo – che, va ricordato, fu fondato da due ventenni con l'appoggio di un sindaco illuminato - il sistema teatrale milanese costituiva un'eccellenza del sistema teatrale italiano. Nei sessant’anni successivi, si sono verificati picchi positivi e cadute negative, che hanno condotto ad un perdita di importanza e di influenza. Il modello romano, che costituisce una serra creativa ineguagliabile rispetto a Milano, secondo Calbi rischia di disperdere le proprie risorse perché, anche se ben organizzato dal punto di vista mediatico, manca di un vero e proprio sistema. In questo senso Milano offriva qualcosa di diverso, forse meno stimolante ma meglio organizzato. Dalla nascita del Piccolo, e in alcuni casi proprio in opposizione a questa istituzione così forte, sono nate infatti altre realtà, fra cui ad esempio Teatridithalia e il Teatro Franco Parenti, creando un tessuto ricco e ben programmato. Negli anni Ottanta e Novanta questo sistema ha subito però un fenomeno di degradazione inevitabile, perché il teatro è inscindibile dalla collettività di cui è lo specchio: la città ha perduto la propria identità culturale, e il teatro non ha più saputo raccontare la nuova realtà in cui si è trovato ad operare. Attualmente il sistema è ancora ricco, perché vi resistono realtà storiche che continuano ad avere fiducia nel futuro, alle quali si aggiungono realtà giovani ed "emergenti", ma è necessario capire come riorganizzarlo.
Una strada potrebbe essere quella della razionalizzazione, anche rispetto al sistema della convenzione che pure fa parte del bagaglio della città e del suo senso civico. Anche se il modello della convenzione permette agli operatori di avere continuità e fiducia, contiene delle aberrazioni e si basa su criteri inefficaci, ad esempio le performance dei teatri sono valutate a volte in modo uniforme, senza una reale assunzione di responsabilità da parte degli organi preposti alla valutazione.
È inoltre importante approfondire il dialogo fra i diversi enti locali, ma anche con le fondazioni, per costituire una vera e propria rete. Infine la questione delle regole e della trasparenza, per cui l'amministrazione si sta dotando di nuovi criteri per gestire finanziamenti anche di piccola entità. Nel complesso, bisogna mirare a costituire un albero orizzontale di relazione con il mondo del teatro, che tenga conto dei suoi diversi rami, delle loro diverse caratteristiche ed esigenze (fondazioni, teatri storici di produzione, piccoli teatri con flessibilità di regolamenti, gruppi indipendenti, teatro amatoriale), in maniera tale che l'operatore non si senta isolato ma parte di un arcipelago articolato. Indubbiamente sono necessarie maggiori risorse, sia da parte delle istituzioni pubbliche, sia dai privati. Milano si deve rilanciare, deve recuperare la crisi che si è meritata con uno scatto di orgoglio, nonostante il rischio sia grande perché non c'è al momento una regia riguardante la vita cittadina.

ANGELO CURTI di Teatri Uniti riscontra la distanza, quasi la complementarietà che separa Milano e Napoli - una ha avuto il primo stabile italiano, l'altra l'ultimo ad esempio – e che le renderebbe, se fosse possibile unirle, una grande città. A proposito del tema dell'"emerso" e dell'"emergenza", Curti richiama l'immagine dell'iceberg, in cui una parte sommersa è invisibile, ma alimenta il movimento e dà sostegno alla parte visibile. Milano forse è un iceberg al contrario, in cui la parte strutturale e visibile manca però di un nutrimento che ne renda possibile il funzionamento, mentre a a Napoli si verifica il contrario.



Angelo Curti.

A proposito dei numeri citati riguardanti i finanziamenti – pubblici e privati – Curti ricorda una frase di Lucio Amelio, una grande figura per i "ragazzi degli anni Settanta" che all'epoca iniziarono a occuparsi di cultura a Napoli, che riuscì a creare un vivace tessuto artistico operando esclusivamente in ambito assolutamente privato: "Il mondo è pieno di soldi, basta saperli trovare". Attualmente però la tendenza all'intervento economico nel settore della cultura è di spostare il centro delle risorse dall'ordinario allo straordinario, il contrario di ciò che avveniva un tempo e che permetteva di normalizzare, di integrare le realtà emergenti. Ad esempio, per Falso Movimento agli inizi il borderò richiesto dal ministero rappresentava una garanzia di stabilità.
Teatri Uniti riceve oggi 365.000 euro dal ministero, che ovviamente non sono sufficienti. Bisogna inventarsi risorse diverse, per una cifra almeno equivalente, trovando vie alternative, che esistono. Anche se Curti lascia aperto il dubbio sul fatto che sia un bene o meno, bisogna accettare questo stato di fatto, diventando flessibili e precari, presentandosi però in maniera più forte nell'industria culturale, stabilendo relazioni con altri contesti, e cercando di esprimere sempre quel valore aggiunto che il pubblico cerca. La tendenza alla precarizzazione è un atteggiamento che coinvolge i soggetti e gli operatori. Secondo Curti, bisogna rivendicare con forza l'aumento del dato assoluto di investimento sulla cultura, e, se pure con risorse minime intervenire con grande forza e visibilità. La visibilità e la selezione sono due cose che non vanno distinte, perché si è selezionati quando si è visibili.

EMANUELE PATTI dell'Arci, illustra le risposte che l'associazione, in particolare nella provincia di Milano, può fornire alle "emergenze" teatrali attuali. L'Arci, che ha cinquant’anni ed è fra le più grandi associazioni culturali e ricreative d'Europa, ha svolto un ruolo importante nella storia del teatro italiano, perché all'interno del suo circuito sono iniziate carriere importanti, come quella di Dario Fo. Attualmente, in particolare a Milano, diverse nuove realtà hanno trovato nell'Arci il loro bacino ideale. La città conta 170 circoli, di cui solo una ventina fanno promozione culturale quotidiana, e può vantare 73.000 soci, a riprova di quel senso civico di cui parlava anche Antonio Calbi. A livello nazionale, gli spazi dell'Arci dedicati alla cultura, in particolare alla musica, sono circa 2000.
Gli spazi Arci vogliono essere presidi di realtà in decadenza, che rischiano la marginalità, in cui è difficile creare aggregazione. L'organizzazione è no profit, ma nonostante tutto riesce a creare dei posti di lavoro, e si basa su un funzionamento orizzontale, non verticale. La forma associativa è prescelta da un buon numero di artisti e operatori, per realizzare il loro sogno nel cassetto.
Il teatro entra in questi luoghi in vari modi : non esiste un vero proprio un settore dedicato alle arti sceniche, ma le iniziative nascono piuttosto da esigenze che vengono dal basso. Una prima ragione per cui gli artisti si rivolgono all'Arci è per avere spazi di rappresentazione e di prova. Un altro momento di contatto sono le rassegne, fra cui alcune hanno continuità e visibilità. Infine, molte compagnie hanno attraversato l'Arci, ed hanno elaborato progetti che poi sono diventati autonomi. Il comitato provinciale ha anche inventato la "Festa del teatro" il 29 ottobre, la cui organizzazione è stata poi ripresa dal comune ed ha assunto dimensioni più vaste. Si richiedeva ai teatri di abbattere il costo del biglietto e in qualche circolo venivano promossi spettacoli di emergenti.
Un'ultima iniziativa, il progetto "Via libera" realizzato con l'appoggio della Fondazione Cariplo per aiutare la circuitazione di eventi nati all'interno dei circoli. Al momento ci sono quattro produzioni teatrali che stanno girando.
Per concludere, secondo Patti, l'attività per il teatro del comitato della provincia di Milano è scarsa, insufficiente, per due motivi principali: da un lato i costi alti del teatro rispetto alla povertà delle risorse Arci, dall'altro la difficoltà dell'associazione a dialogare con singoli soggetti, una rete sarebbe certamente più consona all'organizzazione.
L'emergenza a cui l'Arci riesce a dare una risposta è la mancanza di spazi, a causa della vocazione stessa dell'associazione, che è riempita con istanze che vengono dal basso e che riempiono di contenuti i circoli.

PATRIZIA BORTOLINI, responsabile del settore cultura della Federazione PRC/Sinistra Europea di Milano, interviene fuori programma sulla situazione milanese. Bortolini mette in luce il problema dell'identità, e in particolare dell'intolleranza e della memoria, e sottolinea il fatto che il sistema culturale milanese si è ormai appiattito sul modello e sui contenuti del sistema televisivo privato. In questa crisi bisogna ricostruire il rapporto società-politica e indurre le persone a contribuire al governo.
Nello strettissimo rapporto fra società e teatro che è emerge da questi interventi, il sistema teatrale sta subendo un processo di precarizzazione globale, che investe le figure professionali, gli enti ma anche lo statuto stesso delle arti sceniche nel tessuto sociale, e che sembra incrinare il legame necessario fra visibilità e selezione. In questo contesto, agli operatori, artisti e organizzatori è richiesta una sempre maggiore inventiva e determinazione, ed una capacità di cogliere e provocare le occasioni attraverso canali non istituzionali. Si impone quindi il tema della formazione, vale a dire degli strumenti che il sistema esploso delle formazioni può offrire ai giovani per affrontare questa situazione.


La formazione: innovazione e confronto internazionale

La Scuola d'Arte Drammatica Paolo Grassi offre una formazione diversificata che prepara differenti figure professionali – attori, registi, organizzatori e tecnici – ed è una delle istituzioni storiche del sistema formativo teatrale italiano. MAURIZIO SCHMIDT sottolinea i problemi, gli interrogativi e le trasformazioni che ritiene necessario affrontare in qualità di neodirettore della Scuola. L'esperienza di formazione della Paolo Grassi è stata indirizzata fin dalla sua fondazione verso l'innovazione teatrale, con una tendenza che si è affermata attraverso diverse palingenesi. Il suo problema è che un organismo grande e complesso, che per evitare di perdere le tracce delle sue motivazioni deve periodicamente interrogarsi e mettersi in discussione. Non si tratta solo capire quali sono le esigenze del mercato, ma di prevedere e immaginare ciò che il mercato richiederà, come cambierà, per formare persone che una volta uscite dalla scuola saranno in grado di cambiare il sistema.
Schmidt auspica un superamento del generalismo, inteso come impoverimento della specializzazione finalizzato a stabilire l'essenza di ciò che va comunicato per avviare alla professione. È necessario al contrario uscire dall'ottica dell'avviamento professionale ed entrare invece in quella della formazione permanente, che d'altra parte è una cifra caratteristica della prospettiva di vita e di lavoro dell'artista.
Negli studenti di oggi riscontra un ritardo culturale dovuto alla scuola secondaria, ma anche un ritardo di tipo "esperienzale". È ormai evidente una parificazione inevitabile dell'estrazione sociale degli allievi. Poiché la scuola stessa e la vita a Milano costano molto, la maggior parte dei ragazzi proviene dalla classe media e questo ha delle conseguenze negative sulla carica innovativa e immaginativa. Con queste premesse, la formazione rischia di diventare un momento di chiusura, che assorbe completamente, impedendo di esplorare il mondo proprio nel momento in cui sarebbe più necessario.
L'aspirazione di Schmidt, che a suo avviso è anche una necessità impellente, è creare un luogo con molteplici bacini di utenza, che offra una formazione multiforme e permanente, dall'orientamento al perfezionamento, dove tutte la fasi di pedagogia abbiano casa. Altrimenti, se tutto viene concentrato e rinchiuso in tre anni, tutto diventa privo di esperienza, di legame con la vita, completamente autoreferenziale. Un primo passo già operativo in questa direzione è un lavoro di apertura verso il teatro, verso gli ex-allievi e verso i professionisti.
Per quanto riguarda il rapporto formazione - accesso alla professione, anche se molte cose sono già state fatte, bisogna allungare ulteriormente il trattino fra i due termini. Non si può trascurare l'ex-allievo a 4 o 5 anni dal diploma, quando ha conosciuto le aberrazioni del sistema e proprio allora ha bisogno di trovare la sua strada per riuscire a creare nuovi linguaggi.
Formazione significa acquisire un alfabeto di base che si possa ricomporre in nuovi linguaggi. Il generalismo diffuso delle scuole è nemico di questa visione della formazione, perché i singoli elementi diventano sempre più difficili da ricomporre, e per questo è così raro arrivare all'innovazione.

BRUNO FORNASARI, attore formatosi all'Accademia dei Filodrammatici, presenta Ecole des Ecoles,
un'iniziativa che vede collegate diverse istituzioni europee che si occupano di formazione dell'attore (cfr. documento). Il progetto parte dalla necessità, ugualmente espressa da Schmidt, di un polo culturale di formazione europea, che sia una piattaforma di confronto e un punto di riferimento, in cui ci si ponga il problema della formazione dei formatori, alla ricerca di metodi e non di formule.


Accesso e visibilità: l'apertura del teatro e il superamento dei generi

Le due Buone Pratiche presentate in questa sezione riguardano un modo diverso di guardare al teatro, che tende a superare le distinzioni fra i generi e a proporre una prospettiva unitaria allargata alle arti sceniche.

ANGELA FUMAROLA ha raccontato la storia e le scelte di Armunia, associazione nata nel 1996 per iniziative di diverse amministrazioni lovali con il compito di gestire le attività legate allo spettacolo. Dopo qualche anno in cerca di identità, Armunia ha spostato l'attenzione dal piano dello spettacolo al piano della residenzialità - sfruttando pienamente la potenzialità della sua sede (Castello Pasquini a Castiglioncello) - e a quello del coinvolgimento attivo del territorio.
Ad esempio, il progetto "Teatro fuori di sé", ideato in collaborazione con l'Università di Pisa e Ichnos (Laboratorio filosofico sulla complessità), presenta un diverso approccio al teatro, di cui si parla attraverso la vita. L'iniziativa prevede l'organizzazione settimanale dei "Dialoghi" su parole chiave proposte dai coordinatori, durante i quali ci si riunisce e si discute di diversi argomenti. Non si mira necessariamente a portare la gente a teatro, ma a creare una comunità che riflette e che si confronta.
Inequilibrio costituisce l'incontro dei diversi aspetti della missione di Armunia (spettacolo, residenzialità, rapporto con il territorio), che non si limita solo al festival estivo, ma dura tutta l'anno, in una ricerca continua di nuove forme e di nuove forme di confronto. Inequilibrio esploso, Il progetto è nato per rispondere alle esigenze del patto Stato/Regione, rappresenta in particolare una sintesi degli obiettivi di Armunia. Durante due fine settimana al mese le compagnie in residenza presentano i risultati del loro lavoro, con anteprime, incontri e prove aperte.
Completano l'attività dell'associazione: la dimensione internazionale, con la promozione di incontri fra gli operatori rispetto ai modelli organizzativi e ai progetti artistici; l'intervento in ambito giovanile, con il "Teatro dei ragazzi", che, incrociandosi con gli altri percorsi, offre delle occasioni di collaborazione fra artisti, insegnanti e operatori; l'attenzione alla poesia, con la recente creazione de "Ai margini del bosco", un progetto di contatto diretto fra poeti e pubblico, in cui gli autori scelgono i luoghi in cui evocare il loro lavoro.
L'identità di Armunia si basa quindi sull'esigenza continua di ridefinirsi che la conduce, per usare un gioco di parole, a smarginare dal teatro per rimanere in equilibrio.



Il banchetto-libreria: Hystrio tra gli Ubu e le Principesse.

LINDA DI PIETRO di ADAC Toscana sottolinea con energia che la danza, visto che è meno istituzionalizzata, può offrire lo spunto per ripartire, per inventare nuove formule e nuove forme. Come ha messo in luce il Tavolo Nazionale dei Coordinamenti e delle Reti Regionali della Danza Contemporanea, è evidente la necessità di un'unica legge per lo spettacolo che permetta di superare le barriere di genere, di parlare invece di creazione contemporanea, di nuovi autori contemporanei, e di evitare che le compagnie siano obbligate ad autocertificare la propria attività come danza. Occorre una liberalizzazione del teatro dal vivo che dia gas al motore della libera circolazione delle opere.
Il Tavolo Nazionale ha prodotto una petizione provocatoria contro l'art. 3 comma 3 della bozza di Decreto Ministeriale riguardante il nuovo regolamento per la Prosa, che elimina l'obbligo di qualsiasi percentuale di danza, di giovani emergenti, e di internazionali dalla programmazione dei teatri stabili, pur invocando la interdisciplinarietà. I lavori del Tavolo Nazionale hanno provocato una grande attenzione da parte del Ministero, ma anche fra gli operatori di diversi settori, Concretamente, per facilitare questo processo necessario di apertura dei generi bisognerebbe iniziare a non parlare più di danza, di teatro, ma di arti della scena.
Il Patto Stato/Regioni andava in questa direzione, perché non presentava distinzioni di genere, ma parlava di "spettacolo dal vivo". Purtroppo poi ogni amministrazione ha preso una strada propria.
Il Patto ha rafforzato alcune strutture già esistenti, ma ha anche una proposta interessante di creazione di strutture leggere, entità agili preposte al sostegno dello start up delle compagnie emergenti, per evitare che l'unico metro di identificazione e di ufficialità sia data dal costituirsi come oggetto, contenitore, che domanda dei finanziamenti. In questo senso, è bene guardare a singole importanti esperienze internazionali e all'Europa, cercando di riprendere ad esempio il modello produttivo di Cultura 2000.
Fra i risultati del Patto, ci sono iniziative come il Festival di Dro che finanzia 5 compagnie emergenti per 3 anni, il bando Dimora Fragile del Festival Esterni, che offre servizi e opportunità (materiale tecnico, ospitalità nei festival, ecc.) a 10 giovani compagnie.
Per Di Pietro, tutto questo (nuove forme e nuovi modelli) viene dalla danza perché la danza è marginale, e la marginalità permette una maggiore libertà. La danza può essere quindi una dinamo che lancia buone pratiche coinvolgendo l'insieme delle arti della scena (sul tema vedi anche il documento di Roberto Castello).


Formazione e vocazione: due esperienze

Dopo l'osservazione dei dati, di alcune situazioni geografiche e di alcune realtà "istituzionali", la giornata prosegue con l'ascolto di due esperienze personali, in cui i temi della formazione, dell'accesso al lavoro, della visibilità sono indissolubilmente legati alla passione e all'esigenza di fare del teatro non solo una professione, ma una scelta di vita.

La prima è un'esperienza di attore, avviata da una formazione anomala e soprattutto dall'incontro con una compagnia : ROBERTO MAGNANI racconta infatti il suo percorso al Teatro delle Albe. Mi sembrerebbe proprio un peccato cercare di parafrasare e sintetizzare il suo discorso, preferisco riportarvene le parole che sono riuscita a catturare, spero che Magnani mi perdoni se non sono proprio esatte.

"Faccio parte della Albe da dieci anni, ma con questa mia storia parto da ancora prima, quando quattordicenne sono andato all'istituto tecnico a Ravenna con l'idea di fare da grande il biologo marino. Il giorno dell'iscrizione ho visto appese nell'atrio le fotografie del laboratorio teatrale dell'anno precedente – la Non-scuola delle Albe, appunto - e ho subito chiesto di potermi iscrivere. Lì ho incontrato la prima volta i veri "squali", Maurizio Lupinelli e Marco Martinelli, e me ne sono innamorato. Ho partecipato e ho riconosciuto uno stesso linguaggio nell'intendere il teatro. La Non-scuola sono laboratori per le scuole, e si chiama così perché in realtà non andiamo a insegnare teatro, ma andiamo a giocare con gli adolescenti che sono ancora nessuno, ma potrebbero essere tutto, e in questo gioco, si distruggono i classici attraverso l'improvvisazione. Finito il laboratorio, vado da Marco e dico: "Voglio fare l'attore". Lui mi dice di aspettare, che c'è tempo. Allora io ho fatto il laboratorio per quattro anni, e poi finalmente mi hanno chiesto ciò che io aspettavo fin dall'inizio: partecipare al laboratorio che organizzavano per scegliere 12 attori per uno spettacolo, I Polacchi da Ubu Roi di Jarry, per la cui messa in scena Marco ha riprodotto l'idea originaria di Jarry, il quale aveva creato il personaggio di Ubu con i suoi amici. E sono preso. Poi ci sono state le prove, un'immersione totale nel mondo del Teatro delle Albe. Nel frattempo però avevo sviluppato un disamore totale per la scuola, pari alla passione per il teatro. E forse decido inconsciamente di lasciare la scuola, perché do fuoco al crocifisso a lezione e vengo cacciato. Allora ritorno a teatro e dico "io sono qui". I Polacchi avevano debuttato e la mia vita si rispecchiava completamente all'interno del Teatro delle Albe. Solo chi come me si è rispecchiato completamente, con un incontro reciproco ha iniziato a dedicarsi anche alle altre attività della compagnia. Entriamo a far parte della bottega del Teatro delle Albe, ci siamo mischiati e confrontati con tutti, e a poco a poco abbiamo appreso: si impara facendo, imparando l'economia, la parte tecnica, tutto. Il Teatro delle Albe non si esaurisce nella produzione degli spettacoli, ma è una creazione continua di mondo.
Poi mi capita di tornare all'ITI per fare da guida al laboratorio della Non-scuola: è come l'attraversamento dello specchio. L'anno dopo lo ripeto, e poi tengo sempre più laboratori. L'immersione è sempre più radicale, sempre più piena, perché veniamo fatti soci della cooperativa Ravenna Teatro, che fa parte dei mondi che le Albe creano. Ho avuto una grande fortuna, perché la Non-scuola è un'eccezionalità, un unicum, e sappiamo di essere invidiati. Il fatto di avere una comunità alle spalle implica una grande richiesta, una richiesta di vita, un confronto feroce e quotidiano, perché per fare teatro come lo facciamo noi si richiede la vita, non una professionalità. Bisogna far corrispondere la vita al teatro al 100%. Come soci ci assumiamo sempre più responsabilità e ci rendiamo conto che a Ravenna Teatro il fatto economico non è disunito dall'atto artistico, ma anche questo è creazione di mondo, è una costruzione artistica, tutto è sullo stesso piano. E la concretizzazione dell'idea comunità anarchica è anche qui, perché noi nuovi siamo entrati con lo stesso stipendio proletario di tutti gli altri. Sono cresciuto veramente tanto, ho avuto la possibilità di fare esperienze artistiche importanti. L'ultimo attraversamento dello specchio è arrivato con il rinnovamento dei Palotini: io ero l'unico sopravvissuto, come una sorta di allenatore in campo. Quest'anno ho smesso, ma sono passato dall'altra parte, perché mi sono tramutato in maschera e ho preso le fattezze del Capitano Bordure. È come Pinocchio al contrario, e credo che sia il sogno di ogni attore, diventare una marionetta…".



Oliviero Ponte di Pino tra la Non-Scuola (Roberto Magnani) e il Dams (Claudio Meldolesi).

CLAUDIO MELDOLESI, docente del DAMS di Bologna, invitato a parlare della situazione della formazione nelle università, regala alle BP una riflessione ben più profonda, sul teatro, sulla sua forza e sul suo mistero. Anche in questo caso tento di riprendere le sue parole, chiedendo scusa per eventuali e probabili inesattezze.

"Io sono diplomato attore all'Accademia Silvio D'Amico. Non ero molto bravo, ma avrei potuto ugualmente fare l'attore, il regista, ma poi ho scelto un'altra strada. La cosa per me era ed è importante è che il teatro è un'entità sfasata rispetto alla vita. A teatro non si riflette il mondo, ma si crea mondo, anzi addirittura ha ragione Leo De Berardinis quando dice che la vita imita il teatro. Perché il teatro è una sintesi di esperienza umana che come un fiume ha attraversato le epoche, le etnie, le storie collettive, e ha costituto una seconda natura dell'uomo, una realtà orientata ogni volta a qualcosa. Io penso davvero che il teatro sia il dono degli dei, che l'esperienza del teatro sia una rinascita. Penso a Lessing che diceva che l'attore non ha altra via per conoscersi che imitare l'attore della compagnia che gli somiglia di più, finche l'imitazione non diventi originalità.
Sono tutti i misteri, ma il teatro è mistero. Non c'è identità da trasmettere, ma stimoli, che ognuno raccoglie, interpreta e sviluppa in maniera diversa. Per questo i Palotini funzionavano e per questo le scuole falliscono, perché non hanno senso se uniformano e danno un espressivismo medio. L'entità del teatro non è mai del tutto identificata. Non sapremo mai come recitava la Duse, non era mai del tutto identificata, e pure è stata la fondatrice del nostro tempo teatrale. Perché l'Accademia di Roma e la Civica di Milano sono state così importanti? Perché hanno costituito entità non formalizzate. A Milano erano ingaggiati per certi periodi dei maestri straordinari, come Kantor, e all'accademia c'era a insegnare regia una non regista, la Pavlova, che portava però un patrimonio suggestioni culturali e di desideri di regia.
Il teatro è educazione alla informalità, alla indefinibilità. Un'arte di questo tipo dovrebbe essere più sostenuta dai governi di quanto non sia, perché educa alla complessità. L'informalità è questo elemento non paradossale, perché corrisponde alla dimensione della vita, e chi fa l'attore deve abituarsi alla variabilità delle assegnazioni di valore.
Nel DAMS mi sono trovato bene perché c'erano figure molto distanti tra loro, Scabia e Squarziana, che facevano venire agli allievi la voglia di scoprire un mondo più vasto.
Il Premio DAMS è stato organizzato proprio per i giovani che ricercano lo sviluppo della creatività selvaggia attraverso l'incontro con i maestri. E questo vale anche per gli organizzatori. Bisogna guardare all'origine familistica del lavoro teatrale, alla sistemazione famigliare dei ruoli e alle variabili professionali che si costruivano intorno alla variabile centrale dell'attore. Si trattavadi famiglie anticonformiste, al punto che una compagnia poteva essere affidata a una ragazzina…Questa capacità del nuovo è ciò che ci manca oggi. L'organizzatore, il promotore è un intellettuale, è colui che percepisce quale è il nucleo da affermare in una compagnia e quale è la proposta strategica da formulare. Nel 1963 fondammo il gruppo Teatro Scelta con Gian Maria Volonté e Carlo Cecchi ed è stata una delle cose più belle della mia vita: era l'abbraccio del sociale al teatro, era la scoperta del teatro in posti in cui non era mai arrivato. Tutto è possibile a teatro, questa è la questione. Non dobbiamo sottomere l'idea dell'organizzazione alla pratica del possibile, il possibile deve essere un valore fondamentale ma come infinitudine. In questo senso l'organizzatore è come l'artista. E poi i nemici del teatro sono gli esattori fiscali…"

Al termine degli interventi, Mimma Gallina parte da un'osservazione che Meldolesi avanza nel suo saggio Fondamenti del teatro italiano a proposito della carriera degli attori. Secondo Meldolesi, all'epoca dei grandi attori, si salta sempre una generazione nell'affermazione degli attori: in un sistema più avanzato come quello attuale questo fenomeno continua a verificarsi, come se fosse fisiologico, e riguarda anche gli altri campi professionali di ambito teatrale. Secondo Gallina è una responsabilità condivisa a cui non bisogna sottrarsi, occupando dei posti senza confrontarsi con le giovani generazioni: l'accesso e la visibilità sono il vero nodo da sciogliere perché si possa superare il problema dell'emergenza.


Il circolo vizioso dell'identificazione fra visibilità e selezione

Nel suo intervento ADRIANO GALLINA parte da un'immagine efficace per descrivere l'emergenza: la spiaggia di Riccione ad agosto, una sorta di girone dantesco in cui si lotta furiosamente per accaparrarsi uno spazio minimo che permetta di "stare", e quindi di esistere. Richiamando poi la teoria darwinana, Gallina dimostra che l'identificazione fra la sopravvivenza e l'affermazione, la selezione e la visibilità non permette alle realtà emergenti di svilupparsi e di dare origine al nuovo e al mutante (cfr. documento).

Come commenta però Mimma Gallina, nuove pratiche si stanno diffondendo a contrastare questa tendenza, componendo un panorama molto diverso da quello descritto istituzionalmente. Gli interventi che seguono mostrano proprio alcuni luoghi di questo paesaggio in trasformazione


Accesso e visibilità: energia e condivisione per giovani artisti, organizzatori e nuovi spettatori

TERESA BETTARINI
presenta il progetto Officina Giovani del Comune di Prato, una cittadina in cui l'attività teatrale è molto radicata e ha sempre goduto di grande attenzione. La ricchezza di gruppi e compagnie agisce in un sistema che non è strutturato, più vicino a quello romano che a quello milanese, in cui la dispersione di risorse e energie si accompagna alla nascita di nuove realtà spontanee.
Officina Giovani, nata da un'idea di Massimo Luconi, ha iniziato la sua attività 10 anni fa nello spazio degli ex-macelli. È dedicata ai giovani artisti di varie discipline ed è legata alla peculiarità del suo spazio, una cittadella con vari edifici al suo interno. La struttura è luogo di prove e di lavoro, in cui vengono ospitati anche progetti in collaborazione con altre istituzioni, come con Fabbrica Europa per la danza ad esempio. Ma Officina è anche uno spazio di rappresentazione, dove si lavora per rompere il circolo vizioso della selezione e della visibilità, attraverso l'organizzazione di rassegne settimanali, aperte gruppi giovani ma un po' più affermati, ma anche di debuttanti, a cui partecipino anche operatori. Per ora un capannone è in restauro, e dovrebbe essere pronto per il 2008. Da quel momento saranno avviati progetti di residenze brevi, di qualche mese, per avere l'occasione di incontrarsi con il mondo artistico giovanile che gravita intorno a Officina.
Officina è anche uno spazio laboratoriale, per ora limitato ad alcuni corsi, dove si sono trattati i temi dell'organizzazione teatrale, legati al corso di laurea per organizzatore di "eventi". Frequentando gli studenti Bettarini ha osservato che spesso alle conoscenze di marketing e fund raising non corrispondo altrettante nozioni sul sistema teatrale, percepito come un magma. Per ora i corsi di formazione riguardano l'organizzazione e l'orientamento. Si stanno anche avviando workshop limitati nel tempo, ma interdisciplinari, perché il mettere insieme giovani che mettono da discipline diverse è molto fertile.

Polo di formazione permanente, spazio di crescita, di visibilità e di creazione interdisciplinare, Officina Giovani si inserisce quindi nel filo rosso che passa da un intervento all'altro. Nelle cinque Buone Pratiche (cfr. documenti) presentate successivamente, la voglia di condivisione, l'esigenza di intervento "politico" nel tessuto sociale, ed il desiderio di valorizzare e far circolare le energie creative sono gli elementi forti che accomunano approcci e soluzioni altrimenti molto diverse.



Si presentano le Buone Pratiche: da sinistra, Roberta Nicolai (Teatri di Vetro), Edoardo Favetti (Pim), Adriano e Mimma Gallina, Teresa Bettarini (Officina Giovani), Rosi Fasiolo (Teatro.net), Luca Ricci (Kilowatt Festival), Antonia Pingitore (Bancone di prova).

ROSI FASIOLO di TeatroNet spiega come crearsi un circuito alternativo e indipendente mettendo insieme le forze artistiche in difficoltà. EDOARDO FAVETTI racconta l'esperienza organizzativa altamente innovativa del PiM, una "casa di cultura" che si è volutamente posta al di fuori del mercato per attuare un ideale di incontro e di apertura alla ricerca di rapporto umano fra le persone che fanno arte e quelle che ne usufruiscono. LUCA RICCI presenta l'idea "visionaria", nata pensando al finale dell'Orlando Furioso de Ariosto, in cui la nave con il poema giunge finalmente in porto e i lettori la accolgono festanti, di costruire in un territorio periferico rispetto al teatro un festival – Kilowatt Festival – il cui centro è il pubblico. ANTONIA PINGITORE spiega come la voglia di scoprire nuovi testi che parlino del contemporaneo abbia portato a un'iniziativa laboratoriale spontanea e aperta di confronto fra autori, attori e spettatori, Bancone di Prova. ROBERTA NICOLAI infine presenta un'iniziativa che organizza e porta alla luce il vasto ricchissimo sottobosco della realtà teatrale romana, che, come indica il nome Teatri di Vetro, è altrimenti invisibile, e quindi estremamente fragile.


…e la politica?

Di fronte a questo ricco paesaggio in movimento, la politica sembra invece rimanere ferma, incapace di elaborare una indispensabile griglia interpretativa aggiornata, rimanendo legata ad un approccio quantitativo obsoleto e sganciato dalla realtà. Questa è l'opinione di FILIPPO DEL CORNO, invitato a fare il punto della situazione tre anni dopo il suo polemico intervento a Mira e la sua esperienza in prima persona in ambito politico. Del Corno era partito dalla volontà di incontrare e capire le istanze di realtà apprezzate ma non conosciute. Dall' incontro "Non lavorare stanca" emergeva la richiesta di essere riconosciuti, non aiutati, ma incentivati senza essere inseriti nello stesso sistema della grandi realtà. Bisogna superare un sistema pensato il sistema in termini di generi, e operare una rivoluzione copernicana dell'ideologia sulla base di cui vengo attribuiti i finanziamenti ragionando in termini di fasce orizzontali create sulla base della dimensione degli enti.
La vera emergenza del teatro italiano è che esistono solo due categorie di artisti: i sommersi e i salvati. I primi lo sono indipendentemente dalla qualità del loro lavoro: non riescono a intercettare il potere, e sono costretti a stare sotto la superficie per stabilità, circolazione, capacità di lavorare. Hanno in comune il dato anagrafico, sempre più alto, sono costretti a stare sul mercato – cosa che andrebbe bene se il mercato non fosse drogato - e non hanno alcun problema invece a trovare occasioni di produzione e di distribuzione all'estero.
I secondi sono tali sempre e comunque, secondo il parametro della storicità è una sorta di tabù che difende qualsiasi cosa da qualsiasi intervento, e la scusa del costo sociale di una loro eventuale riduzione. Le risorse che impiegano sono enormi.
Il compito che bisogna provare a dare alla politica in termini di scelte e regole è assumersi l'obiettivo di invertire questa tendenza, salvare i sommersi e sommergere i salvati.


Geografie: l'interculturalismo e l'apertura ad altri mondi

Le ultime due relazioni riguardano un altro tipo della più volte invocata apertura del teatro al mondo, il dialogo con culture diverse. MASSIMO LUCONI spiega un percorso di scambio con giovani senegalesi - profondamente radicati nella tradizione artistica, culturale, familiare africana, ma anche estremamente aperti e ambiziosi - iniziato vent'anni fa senza intenti buonisti e volontaristi (crf. documento).

GERARDA VENTURA racconta la sua esperienza decennale nell'ambito della collaborazione con artisti del sud del mediterraneo interrogandosi sulle motivazioni e sui risultati di questo tipo di operazioni. Gli artisti arabi hanno "scoperto" la rappresentazione in Occidente, perché nei loro paesi questo non esiste, e l'idea di luogo della rappresentazione è stato ugualmente esportato dalla cultura occidentale. Se pure si sono sviluppate una serie di strutture per il teatro e la danza, sono governative e spesso di regimi totalitari. La produzione indipendente non è finanziata, se non dall'UE e da fondazioni, anche americane. Questi artisti stanno cercando forme di creazione contemporanea ma non strettamente legate alla tradizione occidentale, interrogandosi sul senso del fare arte performativa e sul valore dell'incontro e della trasmissione. Per molti di loro il senso del lavoro artistico è sociale e politico, nel senso più ampio, è parte integrante delle loro lotte e delle loro rivendicazioni. Ad esempio per alcuni artisti palestinesi, l'arte è uno strumento per rendere i cittadini responsabili. Incontrare queste esperienze è fondamentale per la realtà italiana, dove al contrario il senso sociale e politico di fare arte sembra essersi perso. Nel momento in cui si parla di mercato, visibilità, non ci si interroga sulla finalità di tutto questo, mentre l'emersione significa dare un senso al rapporto con la cittadinanza e a quello che si vuole esprimere.
L'approccio con culture diverse ha un valore per noi italiani che supera quello della conoscenza, perché permette di riappropriarsi del senso del fare cultura.


Breviario per il giovane emergente

La giornata si chiude con l'ironico intervento della coreografa Barbara Toma, che presenta due liste di Buone Pratiche, una rivolta a se stessa e una a un ideale giovane coreografo. Eccone qualche punto…

1. Buone pratiche per me stessa

mettere sempre in dubbio il mio lavoro;
ripartire con equilibrio le ore trascorse fra il computer, la ricerca di uni stipendio e l'allenamento;
non lavorare gratis;
non cedere alla voglia di essere vista a tutti i costi;
dedicare tempo alla ricerca e studio
difendere il mio mestiere;
battermi perché vengano cambiate le leggi;
abituarmi a ripetere sempre le stesse cose come:
il teatro e la danza sono la stessa cosa, la danza ha bisogno di più visibilità, la Lombardia ha dato alla danza contemporanea lo 0,04% delle sue risorse;
condividere le informazioni e i colleghi;
condividere le informazioni con chi vuole iniziare il mio mestiere.

2. Buone pratiche per un giovane coreografo

chiediti se è proprio questo quello che vuoi fare;
cercati organizzatore;
cercati un coreografo affermato con cui confrontarti;
cerca di crescere sempre e non tornare mai indietro
mantieni bassi i tuoi prezzi;
aggiornati e studia;
fatti vedere all'estero
denuncia ciò che non ti piace;
se non riesci a ottenere buona visibilità, cambia nome, prova con nome straniero, di solito funziona;
Non creare spettacoli su temi che ti interessano, ma cerca temi e collaboratori che rientrano nei bandi;
Non ti scoraggiare di fronte all'insuccesso e non ti montare la testa di fronte al successo, perché non hanno niente a che fare con i tuoi meriti.


In conclusione: l'urgenza nell'emergenza

Le sollecitazioni della giornata sono numerose e invitano a riflettere in maniera più approfondita e specifica su singoli temi. Nell'insieme, quello che personalmente mi ha più colpito è che pure nelle storture del sistema e nella carenza di risorse, si sta disegnando in Italia un paesaggio alternativo molto interessante in cui organizzatori e artisti inventano nuove modalità di incubazione e di lancio del nuovo, rispondendo a una spinta ideale, a un'esigenza profonda di intervenire nella società. Non si tratta solo di affermarsi, ma di incontrare e formarsi il proprio pubblico, recuperando in qualche modo la necessità del teatro, o meglio, delle arti sceniche, nel mondo contemporaneo.



C'è chi pensa al futuro: la creatura di Alessandra Vinanti alla sua prima esperienza di formazione chiede la consulenza di Emanuele Patti.


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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