ateatro 110.8 Milano: la Triennale sfratta il CRT dal Teatro dell'Arte Una riflessione di Mimma Gallina
Il CRT di Milano ha tenuto lunedì 9 luglio la conferenza stampa di presentazione del cartellone 2007/08 in una circostanza particolarmente delicata: come si sentiva dire da mesi, la Triennale ha chiesto di rientrare in possesso del teatro dell’Arte - che è parte del complesso in cui ha sede - alla scadenza della convenzione con cui il Comune ne concedeva l’uso al centro diretto da Sisto Dalla Palma.
Vale la pena di ricordare che la sala di viale Alemagna, una delle più belle di Milano, e sicuramente la meglio attrezzata fra quelle orientate alla ricerca, è gestita dal CRT dal 1985, seppure non con continuità: lavori di ristrutturazione incomprensibilmente lunghi, hanno costretto a peregrinazioni in diversi spazi cittadini per quasi dieci anni (spazi che si sono affiancati al Salone di via Dini, da sempre punto fermo).
In sintesi: il principale Stabile di innovazione milanese, anche Centro di promozione danza, è sfrattato dalla sua sede principale, senza la quale rischia oltretutto di perdere in termini formali e sostanziali i riconoscimenti ministeriali (e comunali).
Ma non intende proprio andarsene, e per restare non sceglie certo (o forse ha già dovuto abbandonare) le armi della diplomazia – argomentate critiche e molta ironia per l’assessore Sgarbi, qualche parola gentile solo per Antonio Calbi, perlomeno presente - e mette in atto una doppia strategia: punta in alto, con un appello al Presidente della Repubblica e alzando i contenuti dello scontro, e organizza la resistenza, contando almeno sull’appoggio dell’opposizione. Lunedì mattina il tono prevalente non era di lamentela, ma di riflessione, di preoccupazione per le sorti del teatro, di critica per l’evoluzione locale e nazionale della politica culturale.
In un’atmosfera di solidarietà da parte dei numerosi operatori presenti e sistemati sul palco, il direttore artistico Sisto Dalla Palma, ha tenuto un discorso introduttivo intenso e lucido, rivendicando la storia e il rigore del CRT non come richiamo nostalgico a fasti passati, ma come chiave di lettura e guida nel presente. A evocare il percorso, la platea vuota: non in segno di smantellamento, ma in ricordo delle memorabili Troiane di Thierry Salmon, illuminata solo da un riflettore puntato su un non meno evocativo e commovente banco de La classe morta di Kantor.
Secondo Sisto Dalla Palma, l’attività e la politica culturale milanese si è caratterizzata negli ultimi anni per una bulimica superficialità, indirizzata alla commercializzazione – apparentemente giustificata dall’identificazione con la moda e co il design - all’evento, alla prevaricazione di fatto delle differenze, delle alterità, della sobrietà, del rigore intimo del teatro. E’in nome della specificità del teatro che sembra essere impossibile un accordo con la Triennale: la multidisciplinarità (che pure anche per il CRT è stata una tentazione) nasconde troppo spesso il frammento, il vuoto e –proprio nelle linee della Triennale - la mercificazione implicita nei fini e dei modi con cui si carica di enfasi l’”oggetto” (e i suoi profeti: gli stilisti, i designer). E’questa “linea” che rende la cultura serva di interessi economici, dei “poteri forti” e asseconda la deriva di una città sempre più distratta.
In questo mare magnum di occasioni e eventi, il teatro è diventato sempre più subalterno (e non dovrebbero esistere culture subalterne), le organizzazioni riconosciute, i teatri convenzionati, sono stati arrostiti sulle “griglie” dei parametri comunali, tutti occupancy e fidelity, un processo che ha aperto la strada, o ha consentito di tollerare lo sbilanciamento verso scelte vergognose come Mito e gli Arcimbolti, un insieme di orientamenti che costeranno alla città in tre anni venti volte più di quanto spenda per tutte le convenzioni. E in questo trionfo del “pensiero unico” a soffrire saranno –sono- soprattutto le periferie, su cui si dovrebbe concentrare lo sforzo delle amministrazioni e di chi opera nella cultura. E alla sfida delle periferie – da dove in realtà non è mai partito con l’attività di via Dini - tornerà il CRT, e a maggior ragione se non dovesse vincere questa battaglia. Ma se dovesse perderla, a perdere non sarà certo solo lui.
Un discorso denso, ricco di temi su cui riflettere, troppi forse per porre in modo sensato le molte possibili domande rimaste sospese.
Dopo la presentazione della stagione e dei progetti speciali (fra cui una relativamente provocatoria risposta all’idea lanciata dall’assessore Sgarbi sul festival “DIO”, nel senso di dramma italiano odierno), è rimasto spazio per un saluto di Emma Dante, che deve al CRT il sostegno produttivo che ha favorito la sua recente e meritata affermazione internazionale, e che ha uno spazio particolare nel cartellone del prossimo anno, col repertorio e le nuove produzioni. Fra le presenze più significative i ritorni di Abbondanza/Bertoni, Cesar Brie, le Belle Bandiere, Short Formats e l’ospitalità al Mercadante di Napoli col testo del giovane premio Riccione, Mimmo Borrelli.
Presenti e chiamati in causa hanno espresso la loro solidarietà Nando Dalla Chiesa e Piefrancesco Majorino, che si è chiesto tuttavia in modo molto pertinente – e auspicando il dialogo - perché la città si trovi costretta a scegliere fra CRT e Triennale.
Penso che questo sia un momento per la solidarietà (e non per la critica, dei programmi o delle gestioni passate). Però le situazioni evolvono: nell’arco di tre decenni al CRT si sono affiancati altri centri, altre sedi che si dedicano alle stesse aree e a linee di ricerca analoghe, o molto affini (anche se raramente si sono dimostrato in grado, come il Centro e il suo direttore, di teorizzarli e di collocarli nella storia e nell’evoluzione dei linguaggi teatrali: anche il patrimonio teorico non va disperso). In ogni caso, il “sistema” dell’”innovazione” in città va ridisegnato, l’”offerta” rischia di sovrapporsi, di essere eccessiva, di non offrire chiavi di lettura, percorsi interni.
E le scosse aiutano a ricomporre gli assetti e ridisegnare i paesaggi. In questo quadro si poteva ingenuamente pensare che l’entrata in campo della Triennale non significasse uno sfratto, che potesse essere gestita in modo da favorire una riflessione sull’interrelazione fra arti visive e performing arts, con specifici spazi e modi di gestione per un progetto comune, e senza nulla togliere all’identità di ciascuno e agli spazi del CRT.
Il tutto e subito di Rampello per la Triennale può rientrare? O corrisponde a una linea concordata col Comune?
E l’attacco alla mercificazione e all’eventizzazione di Sisto Dalla Palma - che pure condivido - non rischia di essere un po’ khomeinista? C’è stato uno scambio nel merito dei contenuti tra i due enti?
La chiusura al dialogo - da tutte le parti - rischia non aiuta neppure il rigore.
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