ateatro 110.41 Lipsynch: il teatro della voce di Robert Lepage Il debutto a Montreal del nuovo spettacolo: materiali e interviste di Anna Maria Monteverdi e Christiane Charette
Nuovo debutto per Robert Lepage, reduce da Salonicco dove ha ricevuto il prestigioso PREMIO EUROPA (ex aequo con il tedesco Peter Zadek che però non è intervenuto alla cerimonia rinunciando così, al premio e a 60.000 euro).
Sul sito di Radio-Canada una clip audiovisiva che racconta con una breve intervista a Lepage, questo passaggio molto acclamato in Grecia dove ha tra l’altro, interpretato in una scenografia sommaria, alcuni brani dei suoi spettacoli.
La nuova produzione dal titolo Lipsynch, come di consueto debutterà ma in una forma non completa, a Montréal la prima settimana di giugno al Festival Trans-Amérique. Nuovo nome per il pluridecennale Festival dei Teatri delle Americhe ma stessa direzione artistica, stessa formula di spettacoli internazionali co-prodotti e un’ampia vetrina del teatro francese e franco canadese, con l’aggiunta di incontri e tavole rotonde. Cambia solo la cadenza: il Festival sarà d’ora in poi, annuale.
Lo spettacolo di Lepage ha avuto una prima fase laboratoriale e la prima uscita pubblica quest’inverno a Newcastle (al Northern stage).
Theatre sans frontiéres diretto da Sarah Kemp e John Cobb a Newcastle lo ha ospitato per un periodo piuttosto lungo: era una situazione adatta per una residenza coproduttiva poco esposta al grande pubblico e lontana dai riflettori delle grandi città. Ogni nuovo lavoro di Lepage suscita infatti grande attenzione da parte del pubblico, della critica, dei media:
Quando tempo fa feci uno spettacolo a Montréal avevo a disposizione otto settimane di prove e passai quattro di queste a parlare con la stampa. Qui a Newcastle posso andare avanti con il mio lavoro. Non posso farlo a Londra. Fare arte nelle grandi città è talvolta frustrante e difficile. Ecco perché gli artisti vanno in luoghi più piccoli Pensa a Pina Bausch, la cui base è a Wuppertal. Non Francoforte o Amburgo. Wuppertal!
Il nuovo spettacolo Lipsinch prevede un grande dispiego di mezzi tecnologici, una drammaturgia scritta a più voci (in cui ritroviamo Marie Gignac, coautrice anche della Trilogie des dragons) con nove interpreti-cantanti provenienti da diverse parti del mondo. Lo spettacolo ha una durata complessiva (attuale) di cinque ore e trenta minuti suddiviso in diversi quadri narrativi che si misurano soprattutto con una dimensione sonora più che visiva, ed è recitato in francese, tedesco, spagnolo e inglese. La dimensione improvvisativa nella prima fase processuale dello spettacolo, è stata fondamentale: su stessa ammissione di Lepage lo spettacolo si poggia sul lavoro creativo degli attori:
Noi recitiamo. Si crea qualcosa, si portano idee e lavoriamo con queste e improvvisiamo e poi vediamo quello che succede. Dopo un certo periodo di tempo è lo spettacolo a rivelarsi a noi.
Levando ogni enfasi sul ruolo direttivo del regista Lepage afferma tranquillamente che:
Spesso, specie alla fine del processo creativo di uno spettacolo, mi considero meno un regista e più uno che dirige il traffico. Il mio lavoro consiste nel portare idee e pezzi dello spettacolo nelle situazioni dove funziona meglio. Oppure talvolta il mio compito è solo dire: “No”.
Lipsynch è una riflessione sulla natura della voce, che è “il DNA dell’anima”. Pare che la versione finale vedrà la luce solo nel settembre 2008 al Barbican di Londra, dilatandosi fino a nove ore e raccontando storie che vanno dal 1945 al 2012. Lepage mentre continua il tour mondiale dello storico spettacolo La Trilogie des Dragons, che lo aveva consacrato a livello internazionale, sembra così ricongiungersi alla modalità di scrittura collettiva e di narrazione “epica” - con attenzione al multilinguismo - con cui aveva debuttato giovanissimo all’epoca della sua partecipazione al lavoro di Théatre Répere.
Come nelle Sept branches de la riviére Ota, anche in questo nuovo spettacolo sono trattate vite e destini che a distanza di anni, inaspettatamente, si intrecciano. Nella scheda dello spettacolo si legge che “Lipsynch è come un enorme meccano che porta il teatro al punto più alto delle sue possibilità narrative, una sorta di cubo di Rubik che moltiplica le sue facce e lascia aperte nuove possibilità”.
IL TEATRO E’ UN VIAGGIO
Dall’intervista a Radio Canada di Christiane Charette traduciamo in sintesi alcuni passaggi significativi (per gentile concessione di Radio Canada e dell’autrice).
Robert Lepage, lei è reduce dall’Inghilterra da Newscastle dove ha esordito con lo spettacolo Lipsynch: ma perché proprio l’Inghilterra?
Perché è una collaborazione importante dal punto di vista economico ma anche per altre ragioni. Siamo stati ospitati da un piccolo teatro, Théatre Sans Frontiéres con sede nel Nord-Est dell’Inghilterra che ha le nostre stesse idee; eravamo un po’ nascosti dalla capitale e questo è stato un bene. In fase progettuale non volevo distrazioni, volevo tempi lunghi e ho scelto un posto piccolo, nascosto. Certo, ci sono distrazioni anche lì ma non come nella capitale.
Gli inglesi la adorano, ha un rapporto privilegiato con l’Inghilterra anche se è conosciuto in tutto il mondo...
In Inghilterra ci sono soldi, risorse, idee. Poi i quebecchesi sono molto inglesi!
Come?
L’inglese è prima di tutto un modo di pensare.
Ci sono attori eccezionali in Inghilterra.
Si, e sono capaci di passare con facilità dal teatro al cinema.
I critici inglesi sono cattivi? Lei è mai stato “cucinato”?
Sono stato in realtà, molto viziato, ho vinto molti premi; non me la sono mai presa per le critiche, magari posso non essere d’accordo su certe cose, ma accetto le critiche. I Sette rami del fiume Ota alla prima di Edinburgo fu stroncato mostruosamente e poi l’anno dopo è stato votato come lo spettacolo più influente.... Le stesse persone che ti stroncano poi ti osannano. Ci sono registi che fanno uno spettacolo ogni cinque anni, io ne faccio 10-12 l’anno. I primi, se li stronchi sono rovinati ma io ho una produzione così ampia che se anche ho una stroncatura non mi cambia granché! Certo, può succedere che uno spettacolo riesca o non riesca, puoi accettare le critiche. Non me la prendo ma in generale mi considero trattato bene dalla critica inglese.
Spesso Lei va in scena quando lo spettacolo non è finito.
Uno spettacolo non finisce, ho bisogno di mostrarlo anche non finito. La premiére per me non è mai il debutto, io cerco un dialogo col pubblico. Per molti autori antichi succedeva così, come per Shakespeare: c’era bisogno della risposta del pubblico per vedere se lo spettacolo funzionava. Non mi interessa veramente la perfezione, mi interessa quanto uno spettatore può dare allo spettacolo.
In Lipsynch che è recitato in inglese, tedesco spagnolo francese c’è un grande apporto degli attori, delle loro improvvisazioni, ancora non sappiamo cosa verrà fuori. Io in questo spettacolo non recito, mi considero un allenatore più che un regista. Non tutti riescono a lavorare con me perché io mi aspetto la risposta dagli attori, lascio loro molto spazio, molta libertà. Ci sono persone però, che hanno bisogno di una direzione. Io comincio ma non conosco la direzione di uno spettacolo. Veramente, non so dove si va a finire. La vita ti deve portare, non puoi sapere dove andrai, così è nel teatro.
Lipsynch dura cinque ore e mezzo. Perché è così lungo?
Avevamo promesso 4 ore e mezzo poi cinque... Non è lungo perché quando sei lì non sembra affatto lungo. Quando sei a teatro il tempo si dilata, succede la stessa cosa di fronte a una cosa bella. Se lo spettacolo è bello, cioè quando è ispirato, la gente è disposta a stare due ore in più. Personalmente mi prendo tutto il tempo che ci vuole per raccontare, per spiegare quello che succede e perché succede, i collegamenti tra le storie.... In TV tutto deve essere ridottissimo. L’intervallo poi ha una funzione sociale importante tanto quanto lo spettacolo. Gli spettatori mangiano, bevono, è una maratona per tutti, spettatori e attori. Alla fine quando sarà finito, sarà di nove ore, dalle 14 alle 23 di sera con intervalli variabili di lunghezza. In fondo è un viaggio, uno si fa imbarcare. Le persone più lo vedono più gli piace e vorrebbero che durasse di più perché lo considerano un viaggio, un viaggio fatto insieme appunto.
Di cosa tratta Lipsynch?
Lipsynch E' uno spettacolo sulla voce. Come teatro siamo associati di più all’immagine, abbiamo come una “firma visuale”. Questo spettacolo invece è più improntato sulla voce che è diversa dal linguaggio, non è la stessa cosa. Spesso si confonde voce con parola e linguaggio ma sono tre temi differenti. La voce è associata alla madre, la lingua è un codice e la parola è l’individuo.
E’ un po’ intellettuale come spiegazione!
Questa differenza è una scoperta che ho fatto studiando la voce: la voce è ciò che ti sconvolge, è quella che vai a scoprire per avere spiegazioni sul mondo. La voce è importante, quando il bimbo è in grembo sente la voce della madre. E la parola appartiene all’individuo ed è quello che lo rispecchia. Il linguaggio è un codice di comunicazione, all’interno del quale rientra il teatro, la danza, il movimento, la musica: è sempre un linguaggio. La parola è l’azione dell’esprimersi. La voce è più interiore, è legata ai sensi, alla filosofia dell’esistenza.
Nello spettacolo metto in scena dei personaggi che entrano in conflitto con la voce o con la parola o con il linguaggio. Ci sono come degli inciampi, delle rotture legate a queste tre cose. Per esempio, c’è una giovane che ha un tumore nella zona del cervello legata alla parola e diventa afasica. Si può esprimere però con la voce, non ha la parola ma ha la voce.
Cosa pensa lei della sua voce?
La sto scoprendo sempre di più. Io non mi sono mai ascoltato veramente. Mi hanno fatto moltissimi complimenti per la mia voce recentemente: non pensavo di avere questo potere evocativo. La radio poi, provoca più immagine nella testa delle persone che la Tv, evoca sensazioni.
Sarebbe stato sprecato in radio!
Negli anni Ottanta ero in piena crisi e avevo pensato di fare radio, avevo dimenticato perché facevo quello che facevo. Però mi piace davvero la radio. Accetto più facilmente interviste alla radio che in TV. Alla radio c’è una libertà maggiore.
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